Non è vero che la qualità dei film italiani al giorno d’oggi è deludente. Si tratta di un tabù che va assolutamente sfatato. Certo, da anni il nostro cinema è afflitto da tanti problemi (il finanziamento pubblico, le sbagliate campagne promozionali, l’eccessiva produzione di titoli, la disorientante offerta nelle sale, per non parlare della nuova – pessima – legge promossa dall’ex ministro Sangiuliano che rischia di soffocare le piccole e medie imprese dell’industria), ma nessuno di questi può essere ricondotto a un discorso prettamente artistico. Anzi: negli ultimi tempi, il nostro settore ha saputo lanciare una serie di registe e registi che sono riusciti a portare idee e prospettive interessantissime nel panorama cinematografico nazionale.
Per questo abbiamo deciso di stilare una lista di sette cineasti italiani che, anche solamente con pochi lungometraggi alle spalle, stanno contribuendo a fornire nuovi sguardi e tendenze autoriali – a dimostrazione del fatto che il valore della nostra produzione non ha bisogno di ergersi solamente sui soliti noti (Sorrentino, Garrone, Martone, Amelio) o sui grandi maestri di lunga data (Bellocchio, Moretti). Sette registi capaci di stupire con i loro esordi e di confermarsi (in buona parte) anche con le opere seconde, sempre più difficili delle prime. Sette nomi – qualcuno già pienamente onorato in contesti festivalieri – le cui carriere sembrerebbero ormai lanciatissime. Nell’elenco che segue troverete solamente autori la cui filmografia è composta al massimo da due titoli: non ci saranno, quindi, i fratelli D’Innocenzo (3 film più una serie tv monumentale), Alice Rohrwacher (4 film) e Jonas Carpignano (3 film). Spoiler interessante: 4 nomi su 7 sono di registe donne.
Maura Delpero
Nel 2019 ha stupito Locarno con il suo esordio Maternals. Cinque anni dopo, ecco la prova del nove al concorso della Mostra del Cinema di Venezia: Vermiglio, una pellicola collocata silenziosamente in una selezione formata da nomi a dir poco altisonanti e rivelatasi a sorpresa uno dei migliori film di Venezia 81. Quello di Maura Delpero (Bolzano, 1975) è sicuramente il titolo italiano (Guadagnino a parte) più forte insieme a Diva Futura di Giulia L. Steigerwalt (in coda). Vermiglio è un film che vibra nelle piccole cose, nei piccoli momenti. Ed è un film bello, anzi meraviglioso, diretto con uno sguardo e una sensibilità pieni di una grazia davvero notevole.
A Venezia ha fatto impazzire critica e giurati, guadagnandosi la seconda onorificenza più importante della kermesse: il Gran Premio della giuria. Ora è il titolo selezionato dall’Anica per rappresentare il nostro paese alla prossima edizione degli Oscar e ha sbaragliato la corazzata A24 di Paolo Sorrentino con la sua Parthenope. Una scelta giustissima, perché con soli due lungometraggi Maura Delpero è diventata un punto di riferimento del nostro cinema.
Giulia Louise Steigerwalt
Con un percorso quasi identico a Delpero, anche Giulia Louise Steigerwalt (non un volto nuovissimo, visto il suo trascorso da attrice) è riuscita a ritagliarsi con soli due film un ruolo centrale nel nostro settore. Nel 2019, con il suo interessante Settembre, aveva riportato in auge un certo tipo di cinema corale attraverso cui registi come Muccino o Virzì erano riusciti a scrivere pagine importanti della nostra produzione recente.
Quest’anno, anche per lei, le porte del concorso di Venezia 81 hanno rappresentato l’alba della consacrazione. Diva Futura (leggi la nostra recensione dal Lido) è una commedia popolare frizzante, dai tempi comici perfetti, capace di offrire una visione interessante sull’Italia degli anni ’80/’90 – un paese segnato dalla trasformazione dell’amore libero nel porno, ma soprattutto da quella cultura maschile che strumentalizzava l’eros femminile per appagare i propri desideri.
Michele Riondino
Molti lo conoscono per i ruoli in Compagni di scuola, Il giovane Montalbano, Bella addormentata o Il giovane favoloso. Qualcuno se lo ricorda per un suo “polemico” post su Facebook con una foto dell’attuale Presidente del Senato a testa in giù (per richiamare chissà chi). In pochi, invece, sanno che lo scorso anno ha fatto il suo esordio da regista con un film incredibile. Palazzina Laf è uno scomodo ritratto del potere, specchio di un sistema economico depravato e fantoccio.
Una solida denuncia sociale di come non se ne vedeva da tempo in Italia. Un’opera che guarda alla disobbedienza civile del cinema francese contemporaneo, da un lato, e alla critica sociale di Ken Loach dall’altro. Il tutto sfiorando un grottesco che ricorda i migliori film di Elio Petri, autore di cui Riondino potrebbe candidarsi, a questo punto, come suo erede. Siamo molto curiosi di scoprire i suoi prossimi progetti.
Margherita Vicario
Cantautrice, volto televisivo e ora anche regista. Margherita Vicario (classe 1988) ha esordito quest’anno con il suo primo lungometraggio, Gloria!, presentato in concorso al Festival di Berlino. Ve lo diciamo subito: è uno dei migliori film italiani del 2024. Bello, bellissimo, appassionante. Una favola magnifica sull’amicizia e sull’emancipazione femminile celebrata attraverso un connubio perfetto tra musica e cinema.
Un esordio glorioso, in tutti i sensi. E che montaggio, che dirompenza visiva, che carica emotiva. Margherita Vicario è riuscita a dare voce a chi fino ad allora non aveva mai potuto esprimersi liberamente, e lo ha fatto con una consapevolezza autoriale da veterana. Ha praticamente in tasca il David di Donatello per la migliore opera prima – e forse non solo quello.
Alain Parroni
Di questa lista è probabilmente il nome meno altisonante, quello che ancora deve dimostrare qualcosa in più rispetto agli altri. Ma Alain Parroni (classe 1992) ha saputo conquistare la Mostra del cinema di Venezia del 2023, vincendo il Premio speciale della giuria nella prestigiosa sezione di Orizzonti con il suo esordio: Una sterminata domenica.
Un film che si avvolge di una dimensione straniante e psichedelica per ritrarre una generazione allo sbando e priva di punti di riferimento, in balia della noia e dell’angoscia. Un’opera capace, al netto delle sue imperfezioni, di raccontare le contraddizioni di una società mediatica ambigua e piena di stereotipi con uno sguardo intelligente, fresco, interessante. Sguardo che ha sollevato le attenzioni di un tale Wim Wenders, presente tra i produttori del film.
Paola Cortellesi
Paola Cortellesi, già affermata comica e attrice, era praticamente un “brand” ancor prima di C’è ancora domani. Eppure nessuno poteva immaginarsi che il suo esordio alla regia avrebbe superato qualsiasi aspettativa possibile. Miglior incasso al box office italiano nel 2023, davanti al fenomeno Barbenheimer, decimo migliore incasso di sempre nel nostro paese. Un successo di critica e pubblico nato dalla gente e da un passaparola potentissimo.
Pochi film prima di questo avevano sviscerato così lucidamente, e soprattutto con una consapevolezza storica così intelligente, dei temi quali la cultura patriarcale e le violenze di genere riuscendo a smuovere un forte sentimento di coscienza collettiva. E C’è ancora domani è arrivato in Italia proprio in uno dei momenti più delicati del nostro presente. Adesso viene il difficile: realizzare un’opera seconda con tutte le attenzioni addosso, dopo un esordio di questo calibro, sarà davvero un’impresa. Non possiamo che augurarle buona fortuna.
Pietro Castellitto
Con soli due film alle spalle, Pietro Castellitto (1994, figlio di Sergio) è riuscito a creare un un universo cinematografico tutto suo, pregno di un’umorismo semplicemente geniale, irriverente e sgangherato. Nel 2020 ha vinto miglior sceneggiatura di Orizzonti con il suo I Predatori – un mix irresistibile di generi, dal thriller al dramma, intriso di quella commedia sociale post-berlusconista che ribalta lo spettro politico italiano.
Tre anni dopo, un posto fra i grandi al concorso veneziano con Enea: un’opera folle, coraggiosa e vibrante, a tratti tanto ambiziosa quanto poco concreta, ma permeata da un’energia davvero sbalorditiva. Voci dicono che un certo Damien Chazelle, presidente della giuria di Venezia 2023, voleva premiare il film di Castellitto con un’onorificenza grossa, ma alla fine si è dovuto accontentare del compromesso su Povere Creature! (ricordiamo tutti la sua faccia continuamente stizzita durante la cerimonia di premiazione). Gli avrà ricordato il suo strabordante Babylon? Forse. Fatto sta che Enea non sarà di certo un capolavoro, ma dalla nostra prima visione al Lido non facciamo altro che cantare Spiagge di Renato Zero.
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