L’articolo che segue, in cui si ripercorre una delle filmografie più controverse e divisive del cinema italiano, potrebbe scatenare accesi dibattiti, anche all’interno della redazione.
Inquadrature geometriche, ampi movimenti di macchina e ricercati effetti di montaggio. Uno stile rigoroso e solenne che cristallizza la solitudine, le malinconie, la decadenza e i disagi esistenziali dei suoi personaggi. Le opere di Paolo Sorrentino (nato a Napoli nel 1970) hanno dimostrato nel corso del tempo di avere un accento fortissimo all’interno del panorama audiovisivo nazionale ed internazionale, tanto da un punto di vista estetico quanto da quello tematico e narrativo. Per questo possiamo dire che, al netto di una filmografia profondamente divisiva e polarizzante (attorno a cui si schierano da sempre radicali estimatori da una parte e feroci detrattori dall’altra), quello del regista partenopeo è senza dubbio uno dei nomi più altisonanti (se non il più altisonante) della sua generazione di cineasti italiani, amatissimo soprattutto all’estero (come attesta lo storico Oscar vinto nel 2014 per La grande bellezza) e considerato da molti il figlio spirituale di Fellini.
In occasione dell’uscita della sua ultima fatica, Parthenope (in concorso a Cannes 77 e in sala a partire dal 24 ottobre 2024, dopo una serie di anteprime di mezzanotte dal 19 al 25 settembre), ripercorriamo la carriera di Paolo Sorrentino attraverso i suoi film, classificati in ordine dal peggiore al migliore.
10. This Must Be The Place (2011)
Un road movie in stile americano dove seguiamo una star del rock irlandese che, dopo aver appreso la notizia della morte del padre, decide di tornare a New York per mettersi sulle tracce di un nazista, principale responsabile della dipartita del genitore. This Must Be The Place è un film molto ambizioso, non solo perché è la prima produzione sorrentiniana in lingua e con cast inglese (con un ispirato Sean Penn nei panni del protagonista), ma soprattutto perché cerca di affrontare da una prospettiva curiosa (e anche insolita per una pellicola di un cineasta italiano) il tema delicato della Shoah. Purtroppo, pur confezionando un prodotto con delle trovate interessanti, il regista partenopeo non è riuscito a centrare il bersaglio.
Perché sono tanti i limiti e i problemi di This Must Be The Place, a partire da un copione molto fiacco all’interno di cui diverse cose rimangono in sospeso e irrisolte. A non convincere sono soprattutto una rappresentazione fin troppo stereotipata di un’America on the road stravagante e fuori dal tempo, ma anche uno stile alquanto ridondante (eccessivo nel suo postmodernismo) che finisce per far girare a vuoto il film. Sembra quasi che Sorrentino, dopo il successo planetario de Il Divo (2008), abbia voluto dirsi “bravo” da solo.
9. Youth – La giovinezza (2015)
Seconda pellicola anglosassone e secondo grande passo falso del regista napoletano. Michael Caine è un direttore d’orchestra che trascorre la sua pensione in un centro vacanze con l’amico di una vita, un regista (interpretato da Harvey Keitel) che ha appena concluso la sceneggiatura del suo testamento artistico. Youth dovrebbe essere a tutti gli effetti una rivisitazione di 8½ di Fellini (dopo aver intercettato La dolce vita ne La grande bellezza), peccato però che Sorrentino non sia riuscito per nulla a trattare il tema della vecchiaia con quella stessa potenza del suo maestro di riferimento, con cui ha sempre voluto cercare di mantenere un certo legame.
In Youth c’è quel tono sorrentiniano mortifero e nostalgico che cerca di carpire i vuoti esistenziali dei suoi personaggi, ma il cineasta partenopeo rincara troppo la dose ed esagera con una certa e fastidiosa impostazione sentenziosa che sa molto di autocompiacimento (quasi come se Sorrentino avesse girato con la convinzione di essere il nuovo Fellini). Un tono grottesco, solenne e rigoroso che fatica ad amalgamarsi bene a una riflessione piuttosto scarna sulla malinconia della bellezza del passato e della giovinezza. Tema che ritornerà poi nell’ultimo Parthenope.
8. Parthenope (2024)
Ed eccolo proprio qui, Parthenope, film che aspettavamo tutti con trepidazione, sperando nell’inizio di una nuova fase artistica di Sorrentino dopo aver riversato tutto se stesso in È stata la mano di Dio. E invece siamo tornati dalle parti di Youth, con qualche richiamo a La grande bellezza in cui però si intravede a tratti una maturazione post Fabietto Schisa. Nonostante possiate leggere sul sito un nostro primo riscontro super entusiasta da Cannes 77 (dove il film era in concorso), secondo il parere di chi scrive Parthenope è una delle opere meno riuscite di Sorrentino.
Va detto: esteticamente e visivamente, Parthenope è meraviglioso. Ma la sua bellezza finisce per rivelarsi un’arma a doppio taglio, perché se è vero che le sue straordinarie immagini (curate dalla bravissima Daria D’Antonio) rimangono in qualche modo impresse nella mente dello spettatore, il film risulta troppo intrappolato nelle sue suggestioni (di cui Sorrentino forse è troppo confidente) senza riuscire mai a rompere un primo livello percettivo e ad andare oltre i singoli momenti – alcuni dei quali vengono mostrati in modo decisamente immotivato, quasi gratuito. Una pellicola strutturalmente pigra, incapace di farci entrare dentro l’epopea di una bella e presuntuosa protagonista borghese (Celeste Dalla Porta) che diventa paradigma di una città intera, Napoli, di cui alla fine ci interessa veramente poco. Si piange solo quando parte Era già tutto previsto di Riccardo Cocciante.
7. L’amico di famiglia (2006)
Geremia è un usuraio sessantenne che vive nell’Agro Pontino, ha un carattere discutibile ma è convinto di essere buono perché presta denaro a chi ne ha bisogno, approfittandosi però dei favori che gli altri gli dovranno. Un film disilluso che capta la decadenza di un’Italia corrotta dal denaro, di cui il protagonista è vittima e allo stesso tempo carnefice. C’è tanto Fellini, sia nella costruzione eccentrica del personaggio di Giacomo Rizzo (fenomenale nella parte), sia in quel realismo magico che permea le atmosfere di un mondo stanco e perduto.
Realismo magico che talvolta risulta troppo poco incisivo come vorrebbe. Ed è un peccato, perché L’amico di famiglia presenta una scrittura spesso brillante, rovinata però da alcune situazioni tediose che intaccano la fruizione e che culminano in un finale esageratamente allungato. Il terzo lungometraggio del regista partenopeo è comunque un interessante esperimento: un film di transizione verso la consacrazione definitiva raggiunta da Sorrentino con la pellicola successiva, Il divo.
6. Loro (2018)
Questo è sicuramente uno dei prodotti più ambiziosi di Sorrentino, perché raccontare una figura così enormemente controversa come quella di Silvio Berlusconi non è cosa semplice (un grande spaccato di berlusconismo era riuscito a mostrarcelo magnificamente Nanni Moretti ne Il caimano (2006)). Loro è uscito in sala – diviso in due parti – sei anni fa, e da quel 2018 se n’è persa poi ogni traccia, acquistato da chi (Mediaset, guarda caso) non aveva interesse a distribuirlo. Il film non è infatti disponibile da nessuna parte in Italia, né in streaming né in formato home-video. Insomma, un caso ambiguo – ma non troppo, in questo paese – risollevato ultimamente anche dallo stesso Toni Servillo.
Ciò potrebbe stupire abbastanza, perché Loro è tutto fuorché una pellicola radicalmente anti-berlusconiana. Certo, alla fine il cavaliere non ne esce proprio benissimo, ma il film di Moretti in confronto era decisamente più spietato (bisogna dire altresì che all’epoca dell’uscita de Il caimano, durante il periodo del berlusconismo più sfrenato, c’era un altro tipo di tessuto civile in Italia). Loro è in sostanza un ritratto umano di un simpaticone tormentato dalla paura della morte. Una persona abbandonata e sola. Un politico e imprenditore stanco e fragile. Ed è forse la presenza di un tono un po’ troppo mite e comprensivo a incanalare il film in una zona di stallo, a renderlo di fatto non particolarmente audace o rivoluzionario. Rimane comunque un’operazione artistica e commerciale molto intrigante.
5. Le conseguenze dell’amore (2004)
Il film che ha spalancato le porte di critica e pubblico al regista partenopeo. Prima volta (di otto) in concorso a Cannes e bottino pieno ai David di Donatello. Le conseguenze dell’amore ha come protagonista uno dei personaggi meglio scritti dell’intera filmografia sorrentiniana, che si muove in un contesto dalle atmosfere spettrali e magnetiche. Toni Servillo (magistrale) è Titta Di Girolamo: misterioso, silenzioso, impassibile ma allo stesso stesso tempo carico di una fragilità commovente.
E’ un commercialista, lavora in una Lugano spenta e asettica, ma soprattutto ha un segreto inconfessabile: cosa c’è dentro quelle valigie che quotidianamente riceve nella sua stanza d’albergo? Affari sporchi? O l’effetto di una gioventù perduta? Le conseguenze dell’amore è un film struggente, con una prima parte calma e dilatata che anticipa un incalzante thriller/crime densissimo e stratificato, caratterizzato da una delle sequenze finali più pacatamente devastanti della storia del cinema italiano.
4. L’uomo in più (2001)
Due personaggi: il primo, un calciatore all’apice della sua carriera. Timido, introverso e ingenuo. Il secondo, Tony. Un cantante spavaldo ed egocentrico. Si chiamano entrambi allo stesso modo, Antonio Pisapia, e oltre al nome condividono pure un’esistenza dolce e amara, fatta di inadeguatezze e sogni infranti. Toni Servillo (qui alla prima storica collaborazione con il suo maestro) e Andrea Renzi sono protagonisti di un’opera che anticipa stilemi che renderanno celebre in tutto il mondo il cinema del regista partenopeo.
Il primo lungometraggio di Sorrentino non può che viaggiare nelle posizioni più alte di questa classifica. Perché pur essendo un film grezzo (ma comunque nel complesso ottimamente realizzato), L’uomo in più conserva al suo interno quella genuinità degli esordi capace di scaldare il cuore. Per essere un esordio, il film ha una prorompenza visiva davvero notevole, ed è una pellicola in cui il cineasta del Vomero dimostrava già di avere una sensibilità acuta. Un racconto sugli ultimi e sui perdenti della vita, pieno di un’umanità a dir poco disarmante. Appena fuori dal podio perché purtroppo non ha la completezza e la compiutezza dei primi tre.
3. La grande bellezza (2013)
Quando pensiamo a Paolo Sorrentino non possiamo non pensare a La grande bellezza, un successo globale culminato con lo storico Oscar. Un film entrato nel nostro immaginario con una forza dirompente, che a distanza di dieci anni preserva ancora tantissimo della storia di Jep Gambardella, anima errante fra gli ambienti mondani di una capitale solenne ed eterna. Ne La grande bellezza c’è il nulla e allo stesso tempo c’è tutto: la fuggevolezza della vita, il senso dell’artista, l’amore, la meraviglia.
Quello di Toni Servillo è un personaggio artefatto, finto e costruito, ma che cela una malinconia incredibilmente struggente. Uno scrittore deluso e disilluso, che guarda il soffitto e vede il mare, pervaso dal rumore delle onde e dei motoscafi, e vede il suo primo amore. Come il protagonista, anche il film è un concentrato di vita, all’interno di cui convivono perfettamente magniloquenza e semplicità, sacro e profano, ricercatezza e profonda spontaneità. La grande bellezza è una cosa gigantesca, magnetica ed eternamente spettacolare. Così come Roma. Sì, perché poi c’è Roma.
2. Il divo (2008)
Energico, vibrante e perfetto. Il divo è semplicemente un capolavoro. Il film (Gran premio della giuria a Cannes) che ha consacrato definitivamente il regista partenopeo agli occhi di tutti e che segna sia uno spartiacque all’interno della stessa filmografia sorrentiniana (esiste un Sorrentino pre e post Il divo), sia un punto di rottura nella concezione del biopic in Italia. Perché Il divo è una stratosferica opera dal gusto pulp e pop che ripercorre la vita di una delle figure più misteriose, controverse ed ermetiche della storia della nostra politica: quella di Giulio Andreotti.
Un film che utilizza quel fascino andreottiano umoristico, ma tremendamente decadente, per scoperchiare decenni di storia del nostro paese (già solo nei primi minuti ci vengono mostrati tutti gli omicidi – tra cui quello di Moro, Pecorelli, Falcone e Dalla Chiesa – legati ad Andreotti). La sequenza del bacio tra Andreotti e Riina è ormai impressa nella memoria collettiva, così come il superbo monologo di Toni Servillo (qui forse all’apice della carriera) sul potere.
1. È stata la mano di Dio (2021)
Dopo Andreotti, Berlusconi, Jep Gambardella, Il papa e i cardinali (The Young e The New Pope), perché non fare un film su mamma e papà? In È stata la mano di Dio Sorrentino ha messo tutto se stesso, elaborando il trauma della sua vita attraverso il cinema. E noi siamo ancora qui a versare lacrime per alcune scene, come quella del “non ti disunire” che Antonio Capuano pronuncia al giovane Fabietto. Ma questo è anche un film di e su tutti noi, perché Sorrentino è riuscito nell’impresa di rendere universale un dramma personale, tanto forte da trasmettere il suo dolore facendoci vivere un’esperienza cinematografica profondamente autentica.
Un film dallo stile più asciutto del solito, che esalta il racconto, i personaggi e il loro sviluppo condizionato da un evento crudele. Un’opera ricolma di quell’amore per il quotidiano che ci spinge a valorizzare e ad apprezzare la semplicità. È stata la mano di Dio deve essere al primo posto di questa classifica perché è un racconto puro, sincero e genuino. Ed è un film in cui c’è il cuore, tantissimo cuore.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!