Eccoli qui. Gli sparuti e incostanti sprazzi di bellezza. Ora hanno un volto, un nome, un tempo. Quello della giovinezza perduta. Quello degli amori spensierati. Quello di una Napoli meravigliosa e decadente, grembo di ricordi splendidi e amari, che ispira ancora una volta il magnifico cinema di Paolo Sorrentino. Apriamo la nostra recensione di Parthenope, che segna il ritorno a Cannes del regista dai tempi di Youth (era il 2015), ancora immersi nel flusso vorticoso di un film difficile da raccontare. Perché opere del genere vanno vissute per fare i conti col proprio sguardo e la propria sensibilità.
E le parole possono solo provare a sfiorarne l’essenza. Per prima cosa vi diciamo che dopo un film intimo e personale come È stata la mano di Dio, Sorrentino non smettere di proiettare sullo schermo pezzi della sua vita. Ancora una volta con una storia familiare piena di dolore, che però si allarga e diventa presto il dipinto una città intera. La sua città. La sua Napoli. Materna e matrigna, culla in cui tornare e nido da cui fuggire. Tutto incarnato in una donna. Quella Parthenope che richiama il mito della sirena famosissimo dentro e oltre i confini di Napoli. Protagonista assoluta di un film liquido, che passa dal personale all’universale con la naturalezza e il tatto del grande cinema.
Nel grembo di Napoli
Lo avevamo lasciato in treno. Pino Daniele ad alto volume nelle cuffie. Il munaciello salutato dal finestrino e uno sguardo malinconico verso Napoli che si allontanava. Così finiva È stata la mano di Dio: col giovane Sorrentino che se ne andava. Parthenope fa l’esatto contrario e inizia nel grembo di Napoli, e lì ci rimane tutto il tempo. Avvinghiato al cordone ombelicale di un posto da amare e maledire. Parte dando alla luce Parthenope, colei che dà il nome al film, perché il film è lei. Dal 1950 al 2023 Parthenope ripercorre la vita di una ragazza che incarna la bellezza contradditoria di Napoli stessa. È una donna irrequieta che conosce bene la pigrizia. È una donna che non vuole mai abusare della sua bellezza e poi la maltratta. È una studiosa brillante che si sporca con i bassifondi della città. Emerge così il ritratto di una persona contradditoria proprio come è contradditoria Napoli, sempre sospesa tra bellezza e miseria.
Nonostante sia la prima donna protagonista della sua filmografia, Sorrentino non prova a mai a mettersi nella sua prospettiva provando a immaginarsi femmina. Perché Parthenope è sempre oggetto del desiderio, è il centro di ogni sguardo, è il sole attorno a cui orbitano tutti gli altri personaggi attirati dalla sua folgorante presenza. Tutto grazie al carisma naturale, alla grazia e allo sguardo intenso della magnetica Celeste Dalla Porta, affiancata da un cast capace di rispettare lo spartito di un Sorrentino grottesco, poetico e ironico allo stesso tempo. E così il film diventa una profonda riflessione sul mistero dell’universo femminile, che Sorrentino contempla e allo stesso tempo interroga a suon di: “A cosa stai pensando?”. La risposta sfugge a lui e a noi. Come sfuggono i misteri, i miracoli e le credenze di una città intera.
Il tempo perduto
Ricordate quel breve ricordo de La grande bellezza? Verso la fine del film Jep Gambardella rivede per un attimo il volto bello del suo primo amore. Ecco, Parthenope sembra l’espansione di quel bel ricordo. Perché è un film fatto della stessa sostanza di cui è fatta la malinconia. Quella di una giovinezza perduta in un tempo che non può tornare, ma può essere fermato e rivissuto solo grazie al cinema. E allora ecco tornare il suo stile evocativo, che preferisce la suggestione al racconto. A volte viene a galla lo strano paradosso di un regista talmente bravo a raccontare attraverso (splendide) immagini da non avere bisogno di parole.
È anche vero, però, che Sorrentino ama le parole, e riempie il film di frasi a effetto (consapevoli di esserlo) e aforismi che ogni tanto appaiono quasi superflui. Se qualcuno ha amato il Sorrentino più asciutto e senza orpelli di È stata la mano di Dio, qui si troverà tra due correnti. Perché Parthenope è a metà strada tra il suo ultimo film e La grande bellezza. Ha il calore familiare del primo e il lirismo enfatico del secondo. Al centro incontriamo un Paolo Sorrentino vecchio e nuovo, che ritorna su temi a lui cari con ritrovata ispirazione. Lo fa con un film commovente e amaro. Disilluso come solo i romantici sanno essere e innamorato del cinema. L’unica cosa capace di far tornare il passato e i desideri della nostra giovinezza perduta.
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La recensione in breve
Nella nostra recensione di Parthenope abbiamo provato a raccontarvi qualcosa che non si può raccontare. Perché il cinema di Paolo Sorrentino è così legato al potere evocativo delle immagini da non poter essere raccontato a parole. Succede anche in questo splendido e commovente ritratto di una donna che si trasforma poco per volta nel grande dipinto di Napoli.
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Voto ScreenWorld