Domanda secca? Qualcuno avrà mai il coraggio di rigiocare a The Last of Us Parte 2? Noi no. Troppo dolore. Troppo male solo a ripensarci, quando ci torna in mente quel finale devastante: una casa vuota, un ricordo doloroso, una chitarra poggiata vicino a una finestra mentre una ragazza si allontana verso la sua nuova vita. Sono passati quasi 5 anni da quando The Last of Us Parte II ci ha lasciati così. Svuotati davanti a un videogioco che ha giocato con noi. Con la nostra sopportazione, la nostra rabbia, i nostri pregiudizi e soprattutto con la nostra empatia. Un gioco che ci ha messi alla prova chiedendoci di continuo: “Quanto fa male cambiare idea su una persona?”.
Malissimo, se quelle persone si chiamano Joel ed Ellie. Forse i personaggi più complessi e meglio scritti degli ultimi anni. E no, non parliamo solo di videogiochi. I nostri due sopravvissuti preferiti stanno per tornare con la seconda stagione di The Last of Us (in arrivo il 14 aprile), dividendo il mondo in gente che non sa e in gente che sa. Però, negli ultimi giorni c’è una frase che ha messo paura a molti fan del franchise: “Fossi in voi non scommetterei sull’esistenza di The Last of Us parte 3”. Parola di papà Neil Druckmann ai microfoni di Variety. Un bluff? Una confessione? Una battuta? Vedremo. Nel dubbio, questa frase di Druckmann ci ha fatto venire in mente una domanda scomoda: “Ma abbiamo davvero bisogno di un The Last of Us 3?”. Proviamo a rispondere.
Il finale perfetto

Scambio di sguardi. Silenzi. La ragazzina guarda l’uomo. L’uomo guarda la ragazzina e poi quelle battute memorabili: “Lo giuro”. “Ok”. Tre parole che hanno fatto la storia del primo The Last of Us. Un finale perfetto, poetico e potente che, infatti, è stato ripreso dalla serie tv senza cambiare nulla. Ecco, dopo quello splendido epilogo del primo The Last of Us, Naughty Dog avrebbe potuto anche fermarsi lì. Quel finale non aveva bisogno di altro. E invece 7 anni dopo dell’altro è arrivato eccome. The Last of Us Parte II ha preso il primo gioco e lo ha rivoltato come un calzino, facendoci vivere la storia da un’altra prospettiva, quella di Abby.
Un personaggio che ci ha messo molto alla prova ma che, alla fine, almeno da queste parti abbiamo imparato ad amare. Il secondo The Last of us, che è un gioco molto più denso, complesso e pieno del primo, ci ha messo davanti a un altro finale perfetto. Un finale che ha svuotato noi giocatori e i personaggi che arrivano ai titoli di coda spremuti, più svuotati di noi, dopo aver dato tutto. La sensazione è quella di un finale definitivo, che sì lascia aperto il destino di Abby e delle Luci, ma a livello emotivo non ha altro da raccontare.
Siamo sinceri. Se togliessimo di mezzo il nostro bisogno di completismo narrativo, che ci porta spesso a voler sapere tutto, cosa resterebbe di The Last of Us? Davvero è così importante conoscere il futuro di Abby? Davvero ci interessa sapere se quel mondo disperato verrà salvato dalla piaga del virus? Ha davvero senso un gioco senza Joel ed Ellie? Sì, perché la parabola dei due personaggi, per noi, è conclusa. Una parabola in cui i nostri sono passati da tutte le emozioni possibili: rabbia, delusione, speranza, amore, pentimento, vendetta, redenzione. Non crediamo ci sia altro da dire. E lo stesso vale per Abby, che sì abbiamo vissuto meno, ma che è riuscita nel suo scomodo intento narrativo: farci provare empatia per una persona che inizialmente abbiamo odiato. Dopo due finali meravigliosi, da fan della saga, ci guardiamo e dentro e sentiamo una voce che sussurra: “Basta, forse va bene così”.
Certo, se i ragazzi di Naughty Dog si sono superati da soli una volta, non è detto che ci non riuscirebbero ancora, ma per il bene di una grande storia, forse, sarebbe proprio il caso di fermarsi. Voi che dite?
Lasciare andare

Sì, sembra quasi che la storia di The Last of Us ci stia chiedendo di non andare avanti. Però c’è un altro fattore da considerare (più pratico, se vogliamo): Neil Druckmann stesso. Il padre creativo del franchise al momento è coinvolto anima e corpo nella produzione della serie tv HBO, che non sta solo supervisionando e scrivendo con Craig Mazin, visto che sta lavorando anche alla regia di alcuni episodi. Una serie che non si sta limitando solo al facile compitino del copia e incolla, perché sta espandendo la mitologia di The Last of Us con nuovi personaggi, nuove storie e nuove informazioni sul mondo devastato dal Cordyceps.
Per cui, a livello di scrittura, la serie stessa sta dando a Druckmann l’opportunità di esplorare qualche angolo buio trascurato dai videogiochi. Serie tv che, non dobbiamo dimenticarlo, durerà ancora parecchi anni. Perché se il primo gioco è stato condensato in una sola stagione, The Last of Us Parte II ha bisogno di molti più episodi per una degna trasposizione. Questa seconda stagione potrebbe coprire solo un terzo del secondo gioco, per cui è molto probabile che vedremo ancora un paio di stagioni, il che significherebbe arrivare almeno al 2029 col finale della serie.
In mezzo a tutti questi impegni Naughty Dog e Druckmann dovranno portare avanti anche una nuova proprietà intellettuale, quell’Integalactic annunciato qualche mese fa che non sembra proprio un gioco senza ambizione, portandosi dietro altri anni di duro lavoro. Per cui, considerando Intergalactic come prossima grossa uscita, è davvero improbabile vedere un The Last of Us 3 prima della nuova generazione su PlayStation 6. I tempi produttivi dei tripla A si sono allungati tantissimo. Un esempio banale: tra il primo e il secondo The Last of Us sono passati 7 anni.
Tra il secondo e il terzo ne potrebbero passare molti di più. E poi immaginiamo che una mente creativa come quella di Druckmann, già “costretta “a tornare nel mondo di The Last of Us con una serie impegnativa come quella HBO, potrebbe avere bisogno di nuovi stimoli e di lasciar andare per sempre Joel ed Ellie. Come forse dovremmo fare anche noi. Dopotutto ce lo hanno insegnato proprio loro come si fa.