La terza stagione di The Bear è arrivata anche in Italia su Disney+, a più di un mese di distanza dall’uscita americana. Nonostante il ritardo, le aspettative sul premiatissimo show di Chris Storer non hanno fatto che aumentare: The Bear 2 aveva rasentato la perfezione, tanto a livello narrativo quanto a livello formale, portando alla ribalta cast e produzione in un’ascesa verso l’olimpo della tv. Un percorso che era cominciato con una sorprendente prima stagione e che ha abituato gli spettatori a standard elevatissimi. Opere come The Bear permettono a chi osserva di riconoscere il valore della qualità in ogni aspetto di una serie tv, ma rischiano inevitabilmente di trasformare lo spettatore nel giudice più esigente.
Se oggi con The Bear ci si accontenta soltanto del meglio è perché Storer e soci hanno compiuto un piccolo miracolo: la terza stagione è stata caricata di aspettative e speranze ancor prima del suo annuncio ufficiale, finendo per offuscare l’ennesimo trionfo in quello che per molti è soltanto un ciclo di passaggio. The Bear 3 sguazza infatti in una zona di comfort che i fan conoscono perfettamente, tentando di approfondire i suoi personaggi attraverso dei micro-eventi che non portano davvero avanti la narrazione – salvo qualche sparuta eccezione. La qualità è sempre alle stelle sotto ogni aspetto, ma le nuove puntate non sembrano all’altezza dei pronostici.
Dove sta la verità, quindi? Tra le aspettative del pubblico e la pressione degli autori, i nuovi episodi incespicano su certe ridondanze, ma insegnano anche più di quanto vogliano mostrare.
Oltre l’entusiasmo
Se si ragionasse attentamente sul tema di The Bear, una miriade di spunti comincerebbe a vorticare intorno allo stesso leitmotiv: l’accettazione. Storer parte dalla perdita più dolorosa e rende il percorso di accettazione del lutto il fulcro di una serie di sviluppi individuali, tutti volti ad approfondire le sfumature di personaggi complessi che devono ancora accettare se stessi, la propria condizione o le proprie ambizioni. La terza stagione si costituisce presto come l’attesa di qualcosa più grande, ma non per questo un’attesa priva di valore: The Bear 3 indugia sui suoi volti di punta, fra episodi di altissimo livello e sezioni più caotiche, ampliando lo sguardo per rivelare una maggior intenzione corale, tra le difficoltà della mente e quelle del cuore – affrontate con grande coraggio anche in sede di scrittura.
I tempi sono dilatati, gli istanti prendono il sopravvento e vengono confezionati in una meraviglia formale che non accenna a diminuire neppure quando lo show scopre il fianco a sensazioni divergenti. The Bear non è mai davvero inconcludente in questi episodi, ma la loro natura è talmente palese da destare preoccupazione: dopo un’ascesa come quella della seconda stagione, soltanto gli scettici avrebbero pensato a una battuta d’arresto. Fra le sue apparenti inconcludenze e i suoi eterni ritorni, lo showrunner riesce però a declinare con più cura il tema trasversale della sua opera, vivendo appieno diverse esperienze che costruiscono un mosaico più utile che piacevole – almeno agli occhi dello spettatore meno attento. Per la prima volta dall’inizio della serie, il dialogo di Storer supera tutti i gradi di separazione dal dolore e lascia aperto un puro spiraglio di speranza verso la vita.
Ciò che non si vede
Ci vuole sicuramente più pazienza per poter cogliere a dovere il valore di certi istanti, così come ce ne vuole per accogliere il dolore dentro di sé e far pace con se stessi. Il collettivo di The Bear emerge attraverso le singolarità, continuando sulla scia di quelle storie parallele che avevano reso grande la seconda stagione: tutti possono avere il proprio momento di gloria, anche senza eventi davvero sconvolgenti. A un primo sguardo potrebbe sembrare la tipica mossa dettata dalla spocchia autoriale, ma The Bear è così consapevole della sua qualità da potersi permettere di indugiare. Il piatto presentato allo spettatore ha un sapore diverso, ma non per questo sgradevole. La terza stagione ha un gusto particolare che colpisce solamente dopo aver metabolizzato il percorso di ciascun personaggio, lasciando che a emergere sia l’empatia.
Anche senza una progressione narrativa degna di nota, la ricerca di The Bear trova molto più senso di quanto sembri. Abituarsi al bello è facile, confermarsi è difficile e qualsiasi risultato a metà fa storcere il naso. Qui l’analisi merita un approfondimento più ampio: nel mondo televisivo è fin troppo facile crollare sotto il peso dell’ambizione, ma la terza stagione di The Bear subisce il contraccolpo con una grazia non scontata, lasciando che sia ciò che non si vede a emergere fra i pensieri e le attese. Forse per la prima volta, almeno in maniera concreta, The Bear mostra il vero significato di una delle sue frasi più celebri: ogni secondo conta, ma non soltanto quando si vuole andare avanti.
Scrivere in tv, oggi
Storer e soci stanno provando sulla propria pelle una delle criticità più comuni nella tv di oggi: “aspettare” sembrerà una scelta indisponente, figlia del successo e di quella retorica tutta nostrana dell’adagiarsi sugli allori. Fosse veramente così, The Bear non farebbe altro che rimarcare la sua qualità fuori scala: rendere una banale ridondanza, se di questa si tratta, con una simile qualità e cura autoriale è roba per pochissimi. Più in generale, il rischio (palese) preso dallo showrunner appare molto più consapevole di quanto si pensi. Al di là dell’attenzione maniacale per la forma, tanto nelle interpretazioni del cast quanto nel montaggio degli episodi, la terza stagione di The Bear mostra che il reale valore prescinde dai giudizi affrettati di critica e pubblico.
Si è persa l’abitudine di attendere, soprattutto perché chi indugia è spesso spinto da altri interessi. D’altro canto, non è mai facile confrontarsi con la versione migliore di se stessi, come dimostra anche il cuore della serie: quando qualcosa va davvero bene, il più grande nemico del successo è il confronto. Un confronto che non parte dall’esterno, ma da un’idea interiore che porta un peso ben più grande di quel che dovrebbe. Nell’universo dei giudizi ossessivi, The Bear rappresenta ancora l’apice della tv: l’unica speranza è che anche il pubblico capisca quanto anche i momenti “preparatori” possano rivelarsi utili, specialmente se inseriti in un microcosmo che buca lo schermo come quello di questa serie – e delle sue persone, prima ancora che personaggi.
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