Come da tradizione. Nuovo anno e nuovo adattamento della saga videoludica survival-horror più famosa. Solamente pochi mesi fa, a fine 2021, Resident Evil tornava sul grande schermo con un film che intendeva essere quanto più fedele al materiale originale, e oggi troviamo su Netflix, un nuovo tentativo, questa volta seriale, di portare le atmosfere del videogioco a una platea di spettatori. Impresa che si è dimostrata ogni volta complessa e ostica: Resident Evil sembra funzionare unicamente attraverso la sua dimensione ludica, con un giocatore che deve muoversi tra le stanze e gli ambienti popolati da zombie attivamente, che come racconto per immagini da usufruire in maniera passiva. Perché, a conti fatti, diciamocelo, è proprio quello l’elemento vincente della saga: l’interattività di stampo survival che solo il giocatore può provare. Sicuramente non la storia, che sembra provenire da uno Z-Movie in cui mutanti, laboratori segreti, mostri carnivori e personaggi sopra le righe fanno da padroni (ed esempio perfetto di quanto sia l’esperienza di gioco a far funzionare questo delirio, con tanti saluti al valore nostalgico).
Questo per sottolineare come la fedeltà al materiale d’origine non dovrebbe (mai) essere considerata un problema e, anzi, appare quasi una facile e superficiale critica, come sparare sulla croce rossa, dimenticandosi che ogni medium ha il suo linguaggio, non sempre interscambiabile. Spogliando Resident Evil di ogni sua componente interattiva cosa rimane? È da questa domanda che vogliamo iniziare la nostra recensione di Resident Evil: La Serie, tentativo da parte di Netflix di dare vita a una serie di successo catturando una tipologia di pubblico più legata al mondo videoludico: i giovanissimi.
Resident Evil: La Serie
Genere: Horror/Action
Durata: 8 episodi/50 minuti ca.
Uscita: 14 luglio 2022 (Netflix)
Cast: Ella Balinska, Lance Reddick, Tamara Smart
Doppia trama
La trama di Resident Evil: La serie procede su un doppio binario. Protagonista è Jade Wesker, figlia di quell’Albert che i fan del videogioco conoscono bene. Nel 2022, Jade ha 14 anni, e si è appena trasferita col padre e sua sorella Billie a New Raccoon City, una delle nuove comunità della Umbrella Corporation, intenzionata a immettere sul mercato una nuova droga chiamata Joy (e a cui il padre sta lavorando). Droga che è però contaminata col pericoloso Virus-T e che, presa in eccesso, trasforma le persone. Una notte, Billie viene morsa da un cane nei laboratori della Umbrella. Inizierà così la fine del mondo.
Quattordici anni più tardi, Jade, ormai adulta e madre di una bambina, vive in un mondo post-apocalittico popolato da zombie e bestie mutanti. La sua intenzione è studiare il comportamento degli infetti per poter trovare una cura. Qualcuno della Umbrella, però, la sta cercando. Sarà l’inizio di un inseguimento violento e sanguinoso.
Le due trame procedono di pari passo, spesso incrociandosi solo a livello puramente figurativo o tematico. La prima parte, quella che vede impegnate le due sorelle a scuola e durante la vita quotidiana a New Raccoon City ha la dimensione del teen drama, in cui la parte orrorifica e action è quasi completamente assente. Più spazio ai rapporti interpersonali e a una tensione diluita, forse sin troppo. La parte più spiccatamente action è tutta dedicata al mondo del 2036: qui inseguimenti, esplosioni, sparatorie, mostri e spargimenti di sangue sono i veri protagonisti della vicenda. Il risultato è una storia che, tolto un normale ma ispirato primo episodio parecchio introduttivo, non riesce a equilibrare a dovere le due narrazioni, risultando altalenante sia nel ritmo che nel costruire interesse nei confronti dello spettatore.
Il vero problema della serie
Altro che fedeltà al videogioco. Il problema della serie è un altro e forse più problematico, ovvero capire qual è il suo pubblico di riferimento. Gli appassionati del videogioco si troveranno di fronte a un prodotto che sembra richiamare più le atmosfere della saga di Paul W. S. Anderson, cosparsi di ambienti puliti e tecnologici anziché quelli antiquati e affascinanti della serie videoludica e potrebbero storcere parecchio il naso nei confronti di episodi che sembrano mancare il target d’età a cui la saga di Resident Evil fa riferimento. Ponendosi in una via di mezzo, la serie sembra voler accontentare tutti e, di conseguenza, nessuno. Troppo banale la costruzione narrativa, troppo inserita in una serie di topoi narrativi iper-abusati nel genere, che soffocano la possibilità di un reale coinvolgimento, soprattutto emotivo. Si ha la sensazione di un vero e proprio algoritmo in funzione, che cerca di farsi amare in tutti i modi, ma che fatica – a nostro parere – a costruire un vero e proprio fandom.
Lontana dal disastro che sembrava annunciato, però, la serie nei suoi momenti migliori riesce a ricreare quello che potremmo definire il senso di Resident Evil, a partire da un quinto episodio che sembra la versione moderna e reinterpretata del primo leggendario videogioco, tra enigmi da risolvere e piacevoli citazioni. Proprio il quinto episodio dimostra come concentrarsi su una sola storyline poteva dimostrarsi una scelta vincente, al netto del materiale originale (ma comunque collegato al canone del brand) che la serie propone.
Zombie che abbaia…
Nonostante a livello di scrittura, di montaggio e di twist narrativi, la serie mostra spesso e volentieri il fianco, come se fosse costretta a dimostrare una qualità maggiore rispetto all’effettivo risultato, Resident Evil: La Serie riesce, però, a centrare il bersaglio su certe idee visive. Inquadrature sghembe, alcuni momenti particolarmente ispirati, un senso del divertimento che tradisce l’eccessiva serietà con cui si presenta, permette alla serie Netflix di risultare un titolo da vedere in queste afose serate estive, a cervello spento e senza aspettarsi troppo. Certo, si potrebbe sindacare che quello che offre sia proprio il minimo sindacale accettabile, ma in quest’altalena continua, tra intrattenimento e disinteresse, possiamo ritrovare una flebile fiamma dell’horror migliore.
Sono solamente accenni di un universo che, dati i problemi raccontati sopra, forse non si espanderà mai (dubitiamo l’accoglienza del pubblico possa essere così positiva tale da giustificare una seconda stagione che avrebbe tutte le carte in regola per aggiustare il tiro), ma che piacere rivedere una certa dose di anarchia stilistica nell’affrontare il genere, capace di unire il divertimento più ignorante alla critica sociale e farlo attraverso i movimenti della macchina da presa, l’uso dei colori, gli ambienti. Peccato che a questo zombie manchino i denti per mordere davvero.
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
La recensione in breve
Resident Evil: La serie è l'ennesimo tentativo con molte differenze dal materiale di partenza di adattare la celebre saga videoludica in un prodotto audiovisivo. Intrattiene il giusto, ma è troppo legato a una narrazione canonica che coinvolge a fasi alterne. Più prodotta che costruita, la serie sembra cercare un successo senza avere una chiara idea del proprio pubblico.
-
Voto ScreenWorld