C’è un passaggio del primo episodio della quinta stagione di Élite che aiuta a definire perfettamente la sensazione che il fenomeno adolescenziale dà quasi quattro anni dopo il suo approdo su Netflix: “Non so se mi fa ridere, se mi piace o se è totalmente cringe“. Possiamo tranquillamente appropriarci di questa accurata descrizione, come punto di partenza per la nostra recensione di Élite 5, dopo aver visionato i primi tre episodi della nuova stagione della serie, di ritorno su Netflix dall’8 aprile.
Dopo una quarta stagione narrativamente fiacca, la serie Netflix ha iniziato il suo – ennesimo – rinnovo con un giocoso ritorno alle origini, partendo da un inevitabile cambio di cast e un remix dei due elementi che hanno portato Élite a diventare un successo mondiale: il sesso e la lotta di classe.
Élite 5
Genere: Thriller, dramma adolescenziale
Durata: 50 minuti ca./8 episodi
Uscita: 8 aprile 2022 (Netflix)
Cast: Itzan Escamilla, Omar Ayuso, Claudia Salas, Georgina Amoròs, Carla Dìaz, Martina Cariddi, Manu Rìos, Pol Granch e Diego Martìn
La “Carne trémula” di Las Encinas
In questa quinta stagione tornano a Las Encinas Itzan Escamilla, Omar Ayuso, Claudia Salas, Georgina Amoròs, Carla Dìaz, Martina Cariddi, Manu Rìos, Pol Granch e Diego Martìn, con l’aggiunta dei nuovi alunni Valentina Zenere, Andrè Lamoglia e Adam Nourou. L’inizio di un nuovo semestre a Las Encinas porta con sé una nuova vittima, un nuovo colpevole e un nuovo mistero, mentre gli studenti si ritrovano sommersi dai segreti. Ari (Carla Diaz) e Samuel (Itzan Escamilla) stanno finalmente insieme, ma il segreto che ruota attorno alla morte di Armando rischia di mandare in frantumi la loro relazione. Rebeca (Claudia Salas) è nel mezzo di un viaggio alla scoperta di sé stessa, divisa tra il rapporto altalenante con Mencía (Martina Cariddi) e il bisogno di conoscersi a fondo e di stare bene.
La consistente autoconsapevolezza di Élite era sempre stata uno dei meriti di una fiction che non aveva mai preteso di offrire qualcosa oltre la superficie, né di dire qualcosa sul mondo in cui viviamo. La decisione, criticata da alcuni dei suoi detrattori, di evitare la localizzazione geografica e temporale, è stata un’altra delle caratteristiche chiave che ha permesso la globalizzazione di un dramma adolescenziale ambientato nella realtà della periferia di Madrid e nel tempo presente: tutto corretto fino a questo punto. La sensazione principale lasciata dall’inizio della quinta stagione di Élite è però di stagnante ripetitività, come se resistesse ad evolversi per paura che il pubblico perda interesse nel prodotto, qualora ci si privasse della manciata di ingredienti che sono stati la chiave del suo successo.
Ancora una volta è un crimine a servire come filo conduttore di una matassa aggrovigliata di storyline inefficaci, mentre si gioca coi meccanismi della suspense per arrivare a comprendere ciò che è successo esattamente. Sulla carta, siamo di fronte a un grande espediente per agganciare lo spettatore ma, a conti fatti, viene da chiedersi se questo perpetuo crossover tra rinnovamento e staticità formularia non sia arrivato al capolinea.
Stagione 5 o ritorno alla prima?
Dato che la serie continua a inseguire un ciclo infinito di crimini sempre più surreali, insabbiamenti e operazioni della Guardia Civil che assomigliano più a indagini dell’FBI (declinate in chiave trash, perché in qualsiasi armadietto del liceo potrebbero esserci prove incriminanti senza che i ragazzi alzino un dito per scoprirle) è il cast che ha sempre aggiunto fascino alla trama di Élite, o almeno, dovrebbe.
Iván (André Lamoglia) e Isadora (Valentina Zenere), si presentano con backstory interessanti e dal grande potenziale per sviluppare personaggi carismatici, del tipo che ameremo odiare – come nel caso di Isadora – non fosse che la nuova studentessa fa il suo ingresso a Las Encinas come Lucrecia (Danna Paola): viziata, poco affidabile, ma comunque magnetica. È difficile capire da dove viene, cosa vuole e soprattutto cosa l’ha portata lì, caratteristica che, a quanto pare, sarà fondamentale per lo sviluppo della sua storia. Tuttavia, la sensazione è che la serie scommetta più sul carisma dell’attrice che sull’effettiva natura del personaggio, per avvalorare il grado di engaging necessario al binge-watching.
Da parte sua, Iván porta in scena una caratterizzazione del personaggio che farebbe da contrappunto allo stile di vita dei suoi colleghi: il giovane è figlio di un calciatore festaiolo e, apparentemente, estraneo ai dettami del benessere dell’adolescente, che ha bisogno di agire come l’adulto responsabile della casa. In questo senso, potrebbe essere interessante scoprire come interagirà con i colleghi che provengono da ambienti più rigidi, come i figli di Benjamín, ma i richiami al personaggio di Samuel, uno dei protagonisti storici di Élite, sono troppi.
La (non) polisemia della parola “clase”
Soprattutto in sede di sceneggiatura si commettono gli errori più grossolani di questa quinta stagione di Élite, in cui la ricorsività narrativa e la destrutturazione di qualsiasi accenno di profondità continuano ad esaurire velocemente i banchi nelle aule di Las Encinas, in favore di una buona dose di impudenza e irriverenza che mascherino il tutto. L’iper visibilità conferita a tematiche quanto mai attuali, che virano soprattutto sulla scoperta della sessualità da parte del mondo adolescenziale, sta trasformando in cliché ogni situazione complessa e stratificata dal punto di vista narrativo, senza curarsi della presenza ormai consolidata di una serie che, godendo di collaborazioni egregie tra i reparti tecnici, sta surclassando ogni prodotto sui generis: Euphoria.
La forza drammatica di un prodotto seriale come Élite è sempre stata una: al di là dello sfarzo, dello sfoggio implacabile ed egocentrico del sé e di ciò che si possiede, si è mossa e ha abitato quello che è lo spazio vitale degli adolescenti, la scuola. La “clase” spagnola, l’ora di lezione, quella in cui non importa a che “clase social” tu appartenga, nulla ti renderà impunibile e invalicabile. L’appartenenza a luoghi, culture e nuclei famigliari differenti è stata forza motrice delle storyline di Élite fin dall’episodio pilota, cucendo addosso ai personaggi dinamiche interpersonali sicuramente non totalmente credibili, ma quantomeno comprensibili. Tuttavia, qualsiasi tipo di empatia coi personaggi è negata nella quinta stagione di Élite, che preferisce distaccarsi da ogni lettura sociale o politica che gli spettatori potrebbero trarre dalla complessità di azioni e reazioni messe in gioco, consegnandoci una banalità di scrittura evasiva, che mai va oltre l’intrattenimento patinato e il voyeurismo morboso e superficiale.
Se inizialmente guardare Élite era facile come bere una bibita in una giornata calda, fresca e del tuo gusto preferito, adesso abbiamo in mano un drink tutt’altro che dissetante: innocuo come un bicchiere d’acqua direttamente dal rubinetto.
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
Conclusioni
Come abbiamo spiegato nella nostra recensione di Élite 5, questa stagione accentua ulteriormente i difetti di produzione di un serie tv stantia, innocua e fuori tempo massimo. Un drink tutt'altro che fresco, una copia nebulosa di Euphoria, che fatica a instaurare un dialogo con gli adolescenti di oggi.
-
Voto ScreenWorld