A due anni dalla conclusione della serie, Netflix torna a puntare su La casa di carta riportando sul piccolo schermo Berlino, uno dei personaggi più amati dal pubblico. Risultato? Una serie spin off – che è anche un prequel, il cui obiettivo dovrebbe essere quello di costruire la mitologia legata al ladro ma che in realtà non vi riesce appieno. L’intrattenimento e i momenti d’azione non mancano ma, complici una scrittura che tende a cadere in schemi già visti, non riusciamo a mettere a fuoco i nuovi personaggi e lo stesso Berlino ci sembra un po’ diverso da come ce lo ricordavamo. Ma cerchiamo di fare ordine per capire cosa ha funzionato e cosa no.

Berlino

Genere: Azione
Durata: 8 episodi (dai 43 ai 60 minuti)
Uscita: 29 dicembre (Netflix)

Regia: Albert Pintó, David Barrocal e Geoffrey Cowper
Cast: Pedro Alonso, Michelle Jenner, Tristán Ulloa, Begoña Vargas

Berlino e Parigi

Attraversano la strada in Berlino
Personaggi attraversano la strada a Parigi – © Netflix

Come abbiamo anticipato, gli eventi della serie si svolgono prima dei fatti narrati ne La casa di carta ma stavolta la Spagna è lontana e il colpo alla Zecca di Stato un progetto ancora neanche vagamente sognato. Berlino si trova infatti a Parigi per tentare un colpo presso una prestigiosa casa d’aste dove vengono custoditi dei preziosissimi gioielli. Nonostante abbia pianificato tutto nel dettaglio, il ladro dovrà comunque fare i conti con imprevisti e dinamiche interne alla sua banda, ma soprattutto con l’inaspettato incontro con Camille, una giovane donna di cui si innamora a prima vista, la quale però è anche la moglie del titolare della casa d’aste. Sarà proprio il sentimento per Camille a mettere a rischio l’intero piano, facendo riflettere Berlino su cosa sia più importante nella vita, rischiare per amore o per un colpo da 44 milioni di euro.

Tra ambientazioni nuove e dinamiche familiari, Berlino tenta di riproporre la formula de La casa di carta in tre modi. Il primo è riagganciandosi alla serie madre inserendo – anche se nella seconda parte della narrazione – due personaggi già noti Raquel Murillo (Itziar Ituño) e Alicia Sierra Montes (Najwa Nimri) nei ruoli delle poliziotte che danno la caccia al ladro e alla sua banda, il secondo è costruendo attorno al personaggio principale un gruppo di comprimari che ricordasse – per caratterizzazione e sviluppo narrativo – quello de La casa di carta; infine il terzo è mantenere un respiro europeo (qui non possiamo non citare la cover di Felicità di Albano cantata dallo stesso Pedro Alonso insieme a Tristán Ulloa in coda al penultimo episodio) senza però essere necessariamente legati alla Spagna.

Perdita d’identità

Berlino fa il gesto delle corna
Pedro Alonso è Berlino – © Netflix

Ne deriva però che la serie, ideata sempre da Álex Pina stavolta insieme a Esther Martínez Lobato, pur nascendo da una costola di un altro prodotto audiovisivo risenta troppo degli schemi di quest’ultimo – che dopo le prime due stagioni aveva perso di smalto, non riuscendo a sviluppare un’identità propria. Anzi, andando anche a snaturare un po’ il Berlino che avevamo conosciuto ne La casa di carta. Tra i personaggi più amati del franchise e sicuramente il più complesso e sfaccettato di loro, il Berlino di Pedro Alonso era riuscito a mettere d’accordo tutti: dagli appassionati fino ai detrattori della serie. Algido e calcolatore, caratterizzato da un senso dell’onore di stampo malavitoso, Berlino era un concentrato di imprevedibilità e passionalità: un malvivente sì, ma capace anche di azioni eroiche, anche se nel suo stile.

In questa serie prequel troviamo invece un Berlino che, pur cercando di essere tutto d’un pezzo, pare perdersi troppo spesso dentro i propri impulsi. Certo, anche nella serie originale Berlino veniva presentato come un conquistatore con cinque matrimoni alle spalle; tuttavia in questo nuovo prequel spin off è chiaro che la componente sentimentale abbia uno spazio maggiore, relegando l’azione alle ultime battute. Qualcosa che non solo entra in contrasto con il personaggio che ci era stato presentato precedentemente ma che rallenta la narrazione, complice anche un apparato di personaggi comprimari a cui non ci si affeziona mai davvero; con l’eccezione della Keila di Michelle Jenner che, pur cadendo in qualche cliché, riesce a dar vita a un personaggio con un suo arco narrativo.

Una narrazione che stenta a decollare

Berlino insieme agli altri personaggi
La banda di Berlino – © Netflix

Così come La casa di carta anche Berlino, a scapito del titolo, vuole essere una storia corale. Un’idea sensata e in continuità con la serie precedente che, però, non riesce del tutto nel suo intento proprio per non saper trovare un’identità propria, come abbiamo detto. Questo è anche legato al fatto che durante la prima metà della serie il ritmo della narrazione è estremamente dilatato con poco equilibrio tra le scene d’azione, riservate soprattutto ai nuovi personaggi, e la storyline di Berlino che, dal canto suo, è quasi sempre chiuso in albergo a dirigere le operazioni.

Proprio per questo la serie non spicca mai davvero il volo pur riuscendo comunque nell’intento di intrattenere presentando un prodotto ibrido, a metà tra azione e romanticismo, e in cui Pedro Alonso che canta un po’ in italiano e un po’ in spagnolo ci fa sorridere per la sua simpatia.

La recensione in breve

6.0 Senza mordente

Berlino ritorna con un'avventura che è sia un prequel che uno spin off de La casa di carta che, pur intrattenendo il pubblico, non riesce a spiccare il volo e a costruire una sua identità.

  • Voto ScreenWorld 6,0
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Classe 1990, Federica Marcucci è una critica cinematografica. Si laurea nel 2013 in Lettere Moderne presso l’Università di Perugia per poi conseguire la laurea magistrale in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale presso l’Università di Bologna nel 2016. Dal 2015 scrive di cinema e realizza interviste per GingerGeneration.it. Si occupa anche di copywriting e nel corso del tempo ha collaborato con diverse realtà tra cui Cinefilia Ritrovata, TvSerial.it e Wired.