Tutto quello che avremmo potuto pensare sul sesso, ma non avremmo mai pensato di vedere in una serie tv. Gli slogan promozionali di Dying for Sex, nuova miniserie targata FX dal 4 aprile su Disney+, puntano facilmente sull’esaltazione del kink e sulla natura dichiaratamente spregiudicata di questo racconto. Un approccio sprezzante che rivela presto l’inganno perfetto: dietro l’ironia c’è soprattutto un’opera profonda che sa parlare a tutti di bellezza. Un’epopea di vita che trova nella ricerca del piacere il senso ultimo del suo dialogo.
Hitchcok diceva che il cuore delle nostre storie ruota sempre intorno a due temi fondamentali: il sesso e la morte. Questi elementi si legano in maniera subdola e spesso oscura, aprendo le porte a esplorazioni di qualsiasi genere, eppure in Dying for Sex il connubio ha una connotazione tanto sincera quanto positiva: anche di fronte all’oblio, ciascun individuo merita la libertà di scegliere come godersi gli ultimi giri sulla giostra dell’esistenza. L’idea di raccontarlo tra i tabù, ribaltando l’annullamento assoluto di chi si avvicina alla fine con una valanga di prime volte, è una delle scelte più potenti viste di recente.
Elizabeth Meriwether e Kim Rosenstock hanno attinto a piene mani dal podcast omonimo per portare su schermo una storia di alleanza, rivalsa e amore, con un femminile che si muove tra gli angoli più bui della vita senza mai perdere di vista la luce. Uno splendido paradosso, che vede nella fine l’inizio di un viaggio di scoperta, libertà e autoaffermazione senza compromessi.
Genere: Comedy, Drammatico
Durata: 8 Episodi/30 minuti ca.
Uscita: 4 Aprile 2025 (Disney+)
Cast: Michelle Williams, Jenny Slate
Verità di donna

La storia di Molly (Michelle Williams) rispecchia destini diabolicamente vicini al reale, ma viene rivolta allo spettatore con una dirompenza trascinante. La quarantenne, malata terminale con un trauma alle spalle e poco rimasto da vivere, decide di lasciare il marito per intraprendere un viaggio alla scoperta di un piacere (soprattutto sessuale) che non ha mai vissuto. Supportata dall’amica Nikki (Jenny Slate), Molly troverà il modo di rendere il decorso della sua malattia un’avventura indimenticabile.
Dying for Sex avvolge chi osserva con le sue atmosfere baumbachiane in una New York di microcosmi in cui il delirio umano si fa dannatamente comprensibile. Nell’eterna danza tra bisogni e desideri, l’autodeterminazione lascia spazio a un’intimità più viva che mai: le assurde esperienze di Molly dominano la scena, ma a tenere incollati allo schermo è la verità di un mondo interiore che viene fuori soltanto con il passare degli episodi. Se inizialmente la percezione rimbalza di continuo tra monologhi interiori e realtà esteriore, questa alternanza si fa più fluida man mano che la narrazione prosegue, con l’esilarante brivido della scoperta che lascia progressivamente spazio a un’analisi che supera il senso del piacere per scavare molto più a fondo.
Dolori e piaceri si fanno manifesto di un femminile forte e deciso, capace di farsi politico senza apologia della sofferenza. Poco importa se il maschile è completamente sublimato: a prevalere è un ordine preciso, di cui il racconto sfrutta le gerarchie per avvicinare gli elementi più scomodi. Partire dall’interno, dalla verità e dal dolore di una donna, per spiegare l’importanza del perdono.
Picchi e baratri

Nel suo tentativo di mescolare imprevisti e inconvenienti, Dying for Sex porta in scena molto più di quanto possano sopportare 8 episodi di circa mezz’ora. Pur tenendo alta l’attenzione, è chiaro che le autrici abbiano preferito concentrarsi quasi esclusivamente sul viaggio di Molly, lasciando a chi le ruota intorno uno spazio da condividere tra le sfumature e i frammenti di questo percorso amoroso. Escludendo un paio di personaggi funzione (utili soltanto come riflesso di vari kink) ci sono molti caratteri particolari che varrebbe la pena esplorare, ma neppure la deliziosa Nikki di Jenny Slate trova spazio per brillare oltre l’ombra di Molly.
Al centro della scena, Michelle Williams accompagna lo spettatore mettendo in campo tutta la sua versatilità. Schietta, aperta e libera (tanto nel mostrare, quanto nel mostrarsi), la sua Molly ruba la scena: tiene alta la curiosità anche quando rischia di perdersi fra gli estremi di sottotrame più fragili, per poi stupire e colpire dritto al cuore quando lo show alza il tiro. Forse anche alcuni aspetti del suo viaggio avrebbero meritato maggior risalto, per quanto paradossale possa sembrare. Al netto delle sue trascurabili lacune, Dying for Sex riesce a trovare il perfetto equilibrio tra commedia e dramma, inserendosi con forza nel novero delle grandi dramedy: uno stile fresco, ma soprattutto brillante, che parte direttamente da una writing room in cui le scelte autoriali hanno fatto la differenza.
Essere, qui

Se c’è bellezza a questo mondo, è giusto cercarla nelle connessioni che creiamo. Quelle amicizie o fratellanze che spesso diamo per scontate, ma che nel momento del bisogno riescono a farci sentire vivi. La serie non dà false speranze e sa anche essere brutale quando occorre: con lo spettro della morte costantemente sullo sfondo, Rosenstock e Meriwether hanno saputo mostrare il valore dei legami in un’opera che vuole farsi manifesto della consapevolezza. Accettare se stessi, accettare gli altri, significa lasciare spazio per crescere – anche quando sembra non esserci alcuna possibilità. Affermarlo con questa convinzione è cosa rara in ambito autoriale: tra le sue esilaranti disavventure e i suoi pensieri scioccanti, Dying for Sex punta a farsi faro di una rivoluzione, celebrando la natura complessa e cangiante del desiderio femminile.
Dall’inizio alla fine, quella voglia di esperire, quel desiderio di esplorare il piacere non punta solo a raccontare il carnale, ma a farne metafora di un piacere più ampio. Quel sapore purissimo degli istanti vissuti, che permettono di percepire il valore della vita nel tempo. Così Dying for Sex, nella sua accettazione della perdita in divenire, riesce nel compito più difficile: contrastare il terrore dell’oblio con sorrisi e vitalità. Anche il più scettico riuscirà a percepire quella sensazione trascinante che fa a pugni con la depersonalizzazione, capendo che l’identità può prevalere anche sul destino più beffardo. Il viaggio verso la fine è raccontato con totale trasparenza, ma anche con una gioia agrodolce che può dire tanto su come ci viviamo.
Questo caos chiamato vita è un dedalo di piaceri e dolori in cui il desiderio guida la ragione, ma è dannatamente liberatorio ricordarsi che non deve essere serio come sembra – neppure alle porte della fine.
Conclusioni
Dying for Sex entra di diritto fra le produzioni FX più interessanti. Una storia di grande umanità che trova il perfetto equilibrio tra ironia e dramma per raccontare senza fronzoli i piaceri della vita - al di là di quelli carnali, persino al di là della morte. Una miniserie arguta, a tratti persino troppo centrata, ma decisamente da non perdere.
Pro
- Michelle Williams si conferma eccezionale nei panni della protagonista
- Un cast di contorno decisamente d'alto livello
- Una scrittura e una produzione che sanno perfettamente cosa raccontare (e come farlo)
Contro
- Alcune dinamiche avrebbero meritato maggior attenzione
- La porzione centrale rischia di apparire leggermente ridondante nel suo ciclo di ripetizioni
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Voto ScreenWorld