Che cos’è Lore Olympus? Probabilmente ne avrete sentito parlare o vi sarà capitato di imbattervi qui e là per i social in qualche immagine di divinità monocolore inserita – spesso e volentieri – all’interno di un contesto contemporaneo. O magari avrete sentito parlare della sua autrice Rachel Smythe, recentemente vincitrice dell’Eisner Award 2022 (dove era stata candidata anche nel 2019) e dell’Harvey Award 2022 nella categoria webcomic (riconfermando la vittoria del 2021 per la stessa categoria).
Lore Olympus è un retelling mitologico che oscilla dal coming of age al romance, dal revenge al drama. Nato nel 2018 su Webtoon dall’autrice neozelandese Rachel Smythe, conta allo stato attuale 217 capitoli online che formano tre stagioni, l’ultima in corso. È arrivato in Italia, in versione cartacea, il 9 dicembre 2021 con J-POP. Il primo volume conta 25 capitoli più una storia bonus inedita. Il secondo volume, sempre con J-POP, è uscito il 19 ottobre.
Il New York Times l’ha inserita per due anni di seguito al primo posto nella classifica dei fumetti bestseller dell’anno da quando Lore Olympus ha cominciato ad avere anche una pubblicazione cartacea (novembre 2021 con Penguin Random House), diventando un vero e proprio fenomeno mondiale da oltre 1 miliardo di visualizzazioni e oltre i 6 milioni di iscritti su Webtoon.
Olimpi contro Titani. Gioie, dolori, tradimenti, guerre, faide, traumi ma anche amore, amicizia, lealtà. I vizi e le virtù da sempre rappresentati dal pantheon greco trovano una loro forma più moderna, in un viaggio tra il mito e l’adattamento contemporaneo, portando il lettore a riflettere sui temi più comuni di oggi in modo delicato ma tagliente: dalla crescita all’abuso, dal tradimento alla riconciliazione, passando per la consapevolezza e l’audoterminazione.
Sono diversi i miti che prendono forma tra le pagine meravigliosamente colorate di Rachel Smythe, ovviamente con le dovute rivisitazioni, ma ce n’è uno da cui parte tutto, probabilmente uno dei più conosciuti, quello alla base dell’archetipo de “la bella e la bestia”: il mito di Ade e Persefone.
Sebbene la Smythe non faccia una rappresentazione troppo patinata degli Dei (quindi non aspettatevi qualcosa alla Disney dove Zeus è un amorevole padre di famiglia), ma cerchi piuttosto di calcare moltissimo la mano evidenziando la parte più brutale del mito, proprio quella legata all’egoismo, al narcisismo e all’ipocrisia, la vera faccia degli Dei insomma, per quanto riguarda la storia di Ade e Persefone si parte da una vera e propria romanticizzazione. Ed è forse il cambiamento più forte e che più potrebbe far storcere il naso, ma vi assicuro che questo amore è un amore molto travagliato, per nulla semplice e che passa da ostacoli riguardanti tutto l’Olimpo, riflettendosi tanto sulla pelle di Persefone quanto su quella di Ade, mettendo in scena un simbolismo molto comune alle relazioni di coppia, famigliari e d’amicizia odierne.
Inoltre, la costruzione di Rachel è necessaria proprio per spogliare Persefone dalla concezione di figlia e moglie, ma le conferisce una sua identità, una sua coscienza, una sua consapevolezza che la porterà a fare un tanto incredibile quanto doloroso percorso di crescita dove lei e solo lei può essere l’artefice del suo destino, ovviamente con tutte le conseguenze del caso. Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di conoscere meglio Lore Olympus.
Alle origini del mito
Lore Olympus è la rivisitazione e decostruzione del mito di Ade e Persefone attraverso il quale, poi, si vanno a intrecciare altri miti e personaggi del pantheon ellenistico, spesso aprendo una finestra su avvenimenti magari meno conosciuti. Nel mito, la piccola Kore, unica e prediletta figlia della dea Demetra e di Zeus (e quando mai no!?), viene rapita da Ade, il temibile Signore degli Inferi, sotto accordo dello stesso Zeus, per poter fare di lei sua moglie e ribattezzarla col nome di Persefone. Dopo l’assaggio del frutto che l’avrebbe per sempre legata al mondo degli Inferi, il melograno, Persefone non avrebbe più potuto fare ritorno nel mondo dei mortali dove, assieme a sua madre e alle ninfe, aveva sempre vissuto portando abbondanza nei campi e nella vita dei contadini.
Inutile dire che Demetra non prende benissimo il rapimento della sua unica figlia, nonché gioia dei suoi occhi. È talmente tanto contrariata, ferita e delusa da smettere di fare il suo lavoro: nutrire i campi. Seguono mesi su mesi di gelo, carestia e morte. All’epoca gli uomini, così schiavi dei capricci degli Dei, sono certi di aver fatto un enorme torto alle loro amate divinità. Pregano, invocano e alla fine si arrendono, fino a quando Zeus cerca una soluzione, un modo per tenere contento il fratello degli Inferi ma anche la madre di Persefone sul piede di guerra. Accorda quindi che per 1/3 dell’anno Persefone regni sull’Oltretomba accanto al marito (che non si è scelta, ricordiamolo sempre) e ritorni per gli altri 2/3 dell’anno accanto alla madre, nel mondo dei mortali, a portare verde, fiori e brezze leggere, dando “vita” ad Autunno, Inverno e ovviamente alla Primavera ed Estate.
Se c’è una cosa chiara che si evince dal mito di Ade e Persefone, quasi mai raccontato dagli occhi di Kore, è che prima ancora di Ade, c’è un altro “abuser” nella vita della giovane dea: sua madre. Persefone non viene quasi mai dipinta come dea autonoma, ma sempre come figlia e come moglie. Nessuno si è mai scomodato di chiederle il permesso, anche solo un parere sulla situazione. Destinata prima ad essere ancella di sua madre, poi moglie rapita del dio degli Inferi. La sua esistenza è stata barattata dallo stesso padre degli Dei. Cosa voleva fare davvero? Chi voleva davvero essere? Divisa tra due mondi. Divisa tra gli Dei. Divisa nell’anima.
Il mito poi prende moltissime ramificazioni. Questi sono i fatti principali, poi come spesso accade nel modo in cui vengono tramandate le leggende, le virgole possono cambiare e le strade ramificarsi. È interessante però capire l’origine del mito perché, in fondo, per quanto Rachel Smythe con il suo Lore Olympus si distacchi un po’ dagli avvenimenti principali, l’agitazione che divide Kore e Persefone è esattamente la stessa; anzi, viene esaltata, amplificata, approfondita, dando la possibilità a questa giovane e interessantissima dea la possibilità di raccontare lei stessa la sua storia, prendere le sue decisioni e scontrarsi con le conseguenze delle sue scelte, portandola a compiere un destino che, in fondo, lei stessa ha scelto per sé.
Una nuova dea in città
Entrando un po’ di più nel merito della storia, possiamo tranquillamente definire Lore Olympus un coming of age. Quello di Persefone. La nostra protagonista. La sua storia che, finalmente, le viene restituita e – ancora una volta finalmente – è lei stessa a raccontarla.
Persefone ha diciotto anni. È di una bellezza sconvolgente e di una dolcezza simile a uno zuccherino rosa, ma possiede una grande intelligenza e scaltrezza, sopite per l’aver vissuto per troppo tempo in una campana di cristallo. Ma mai fidarsi delle apparenze, regola fondamentale in questa storia. È promessa iniziata al tempio della castità di Hestia, ovviamente secondo volere di sua madre, la potente e iperprotettiva Demetra. Ha sempre vissuto sulla terra con sua madre e con le ninfe, venendo costantemente considerata come una dea inferiore, a stento un prolungamento del potere di Demetra. L’ombra della madre, infatti, si è spinta talmente tanto oltre da nascondere il reale potenziale di Persefone al mondo e alla figlia stessa, creando però una serie di scompensi emotivi, insicurezze e frustrazioni tali da portare la giovane Kore a perdere il contatto anche con se stessa.
Crescendo il desiderio di vedere qualcosa di più del mondo degli Dei si fa sempre più forte, spinta anche da una divisione interiore talmente tanto marcata da nascondere in profondità un aspetto di sé che scoprirà col tempo. Per quanto restia, Demetra concede a Persefone un breve soggiorno universitario nell’Olimpo, trasferendosi dalla casta e valorosa Artemide, sorella gemella di Apollo (uno dei personaggi che più si avrà voglia di prendere a cazzotti in faccia con il procedere della storia) e figlia dell’esiliata Leto. Demetra si fida di Artemide che, senza ombra di dubbio, è giudiziosa e rigorosa, ma ogni tanto qualche strappo alla regola lo concede, e Persefone ha bisogno di conoscere il mondo.
Ecco perché si ritroverà a un party esclusivo tenuto da Zeus in persona, attirando i primi sguardi maliziosi e curiosi ma anche le prime gelose antipatie che, per volere di un dispetto, la porteranno dritta dritta sulla strada del cupo e solitario Ade, dando vita a una reazione a catena di eventi che si rifletteranno su tutto l’Olimpo; ma, soprattutto, iniziando un difficile e profondo, nonché radicale, percorso di crescita che la porterà a confrontarsi con il mondo reale, dai suoi aspetti più positivi a quelli più brutali, a confrontarsi con se stessa, con il senso di inadeguatezza, di colpa, con la solitudine e anche con la rabbia.
La cosa più interessante è che Persefone, proprio nella caduta e nello sconforto, nel prendere di petto la sua vita e fare i conti con le conseguenze delle sue scelte, comprenderà il suo potenziale, la sua vera sé, autodeterminandosi e dimostrando, in primis a se stessa, che può essere fautrice del suo destino, una donna che non ha bisogno di essere figlia, madre o dea per essere una regina tanto magnanima quanto potente. Eh sì, perfino crudele se il caso lo richiede.
L’Olympus secondo Rachel Smythe
Com’è l’Olimpo per Rachel Smythe? Colorato, dai “lineamenti spigolosi” – riprendendo le rappresentazioni dell’epoca – e disfunzionale. In un universo dove i mortali continuano a coltivare campi in tunica, mentre il mondo degli dèi è in continua evoluzione rappresentando quello che, a tutti gli effetti, è il nostro mondo nei pregi e nei difetti. Un mondo metropolitano, frenetico, che cambia di epoca in epoca, spesso rappresentando anche i personaggi con lo stile tipico degli anni ’30 o degli anni ’80, facendo sempre associazioni di stampo storico e culturale con alcuni elementi narrativi fondamentali, dando in questo modo la sensazione dello scorrere del tempo, incentrandosi sulla nostra contemporaneità, con look, abitudini e mentalità, funzionale per parlare di quelle tematiche più complesse che Rachel riesce sempre ad affrontare con chiarezza e sensibilità.
Città gremite di lavoratori, uffici ultramoderni, palestre con ninfe come insegnanti, talk show, riviste scandalistiche, social su cui punzecchiarsi, università e via discorrendo. Il tutto ovviamente contornato da un classismo non di poco conto, facendo importanti differenze sociali tra estrazioni, discendenze, genere e molto altro ancora. Lo ripetiamo ancora una volta: il nostro mondo.
Il modo di conversare tra i personaggi, poi, è estremamente umano: passando dagli inside joke e battute più semplici (mostrando anche l’intimità e il livello di relazione tra alcuni personaggi), ai momenti più drammatici. Lore Olympus presenta un vero e proprio carosello di quotidianità, rendendo i suoi protagonisti anche più vicini al lettore dal punto di vista empatico sotto differenti aspetti. Non viene mai dimenticata la natura divina, non c’è una reale umanizzazione, ma l’opera di Rachel Smythe punta a far comprendere quanto di umano e fallibile possa esserci anche in un dio. E se noi esseri umani siamo fatti a loro immagine e somiglianza… le conclusioni sono abbastanza semplici, nel bene e nel male.
Il tutto viene diviso in tre mondi/regni: il mondo dei mortali, dove gli Dei assumono la forma più mitologica e rappresentante usi e costumi del periodo; l’Olimpo, governato da Zeus e dove, principalmente, vivono lui, Era, la sua infinita discendenza, le sue preziosissime ninfe (tra cui Teti che prima ancora di essere la madre dell’eroe più forte di tutta la Grecia, Achille, è stata la segretaria e concubina del “padre degli Dei”) e i principali lavoratori e Dei inferiori dell’Olimpo; l’Underworld, il regno di Ade (che non si è scelto, ma gli è stato imposto). Ade gioca un po’ il ruolo del classico business man senza scrupoli, apparentemente misterioso e inquietante, estremamente serio e cupo ma fondamentalmente solo, traumatizzato dal suo passato e spaccato in molteplici pezzi per i vuoti affettivi che non è mai riuscito a colmare. Senza cadere nello stereotipo, che con personaggi di questo genere è molto facile, Rachel fa cadere immediatamente le maschere, mostrando aspetti ben più sfaccettati e umani. Fin dai primi capitoli si comprende moltissimo quanto la corazza di Ade sia facilmente scalfibile e quanto, in fondo, si senta in estremo difetto rispetto a suo fratello Zeus.
Come detto prima, l’Underworld non è certo il posto che si è scelto, ma a cui è stato “condannato” da Zeus stesso, portando con sé un fardello immenso che con gli anni è diventato parte di un carattere prevalentemente mite e solitario, ma che sa come farsi rispettare dai suoi sottoposti. Resta pur sempre un re, no!? Eppure mentre la maggior parte delle persone attorno ad Ade, eccezion fatta per pochissimi, rappresentano il re degli Inferi come l’ennesimo potente dio approfittatore senza scrupoli, specchio e ombra del suo stesso degenere padre, Persefone nota qualcosa di estremamente differente, molto più fragile e molto più umano di quanto Ade stesso ami ammettere.
Ovviamente ogni divinità prende il suo posto in base al suo campo d’azione, come Ecate e Thanatos nell’Oltretomba al fianco di Ade o Hermes sempre in bilico tra i vari mondi o anche Eros e sua madre Afrodite, dedita ai continui tira e molla con Ares, nell’Olimpo.
In tutto questo vanno considerati anche i Titani, che spesso ritornano nei racconti del passato a dare contesto al background dei protagonisti, imprigionati dagli Olimpi dopo la liberazione e collocati in base alla loro pericolosità, come Elio incatenato a trascinare il sole o il terribile Kronos, imprigionato nel Tartaro, la parte più profonda dell’Underworld. E ovviamente questo personaggio per la backstory di Ade sarà particolarmente importante, ma più avanti nella storia avrà delle conseguenze anche sul presente e futuro.
Retelling e decostruzione del mito
Partiamo dal presupposto che negli ultimi anni abbiamo avuto una vera e propria invasione di retelling mitologici, probabilmente grazie anche a Madelline Miller con il suo La Canzone di Achille, che continua ad essere nelle classifiche di qualsiasi store di vendita da dieci anni. Spesso e volentieri con rivisitazioni proprio del mito greco, ma troviamo anche racconti, romanzi, serie tv, videogiochi dove anche la mitologia nordica, celtica, giapponese prende vita. Non guardiamo a tutto questo con occhi di diffidenza. Alcune di queste opere sono, invece, la chiave per far avvicinare un pubblico più giovane a qualcosa che, invece, spesso e volentieri vedono più come un’imposizione scolastica; o, peggio, che non hanno mai avuto la fortuna di incontrare. Il retelling, pertanto, parte dalla conoscenza di un mito che poi ci viene narrato in una chiave differente. Può essere un nuovo punto di vista, come per esempio ne La Canzone di Achille quello di Patroclo sulla guerra di Troia e il suo rapporto con Achille, oppure una completa rivisitazione del mito, magari in chiave contemporanea, come per esempio fa Neil Gaiman con quell’immenso capolavoro che è American Gods.
I retelling non sono solo mitologici ma possono riguardare anche le favole. Sicuramente quello de la Bella e la Bestia è uno dei più usati (ma anche abusati).
Indubbiamente questo clima ha reso il terreno fertile anche in altri ambiti, come quello dei fumetti e dei webcomic. Cosa sono i webcomic? Fumetti digitali pensati per gli smartphone, facili da leggere in qualsiasi momento, per tutte le tasche (perché spesso e volentieri gratis) e che danno la possibilità a fumettisti di tutto il mondo di far conoscere le proprie storie.
Piattaforme come Webtoon, infatti, hanno permesso non solo una grande distribuzione di storie di ogni tipo, avvicinando milioni e milioni di lettori, ma anche a molti talenti di farsi conoscere, ricevendo pubblicazioni cartacee, riconoscimenti e, in diversi casi, perfino contratti con piattaforme streaming per rappresentazioni cinematografiche e seriali (come per esempio il recentissimo caso di Hearstopper di Alice Oseman).
Il retelling di Rachel Smythe
Ovviamente esistono retelling fatti bene e retelling fatti male. Cosa fa la differenza tra i due? Semplice: la decostruzione. Come in ogni cosa, conoscere qualcosa non basta (e a volte non c’è neanche quel punto di partenza). Quel qualcosa va anche assimilato, digerito, risputato fuori e ri-assemblato. Ed è esattamente quello che fa Rachel Smythe.
Come abbiamo appena visto, Rachel Smythe non fa – apparentemente – nulla di nuovo: passa per il fascino dell’archetipo della mitologia greca, partendo con una storia, in fondo, già sentita. Eppure fin dall’inizio cambia il punto di vista, inserendo quello di Persefone, una protagonista che nel mito non ha avuto voce in capitolo, né nella storia, né nella narrazione. Da qui parte il vero e proprio viaggio dell’eroina – molto diverso rispetto a quello dell’eroe teorizzato da Vogler – che passa attraverso diverse fasi, dalla negazione all’accettazione, arrivando alla consapevolezza e determinazione. Anzi, autodeterminazione.
Persefone scappa dallo spettro di sua madre, ma inizialmente non è facile. E ci rendiamo conto quanto l’essere iperprotettiva di Demetra abbia fatto più danni che altro, privando sua figlia di uno scudo e di un filtro verso la vita reale. Senza più limiti, Persefone è allo sbaraglio e muove i suoi primi passi da sola in modo fragile, sbagliando e facendosi del male. Del resto, anche questo è necessario per poter sopravvivere. Purtroppo in alcuni casi va meglio, in altri va peggio.
Parlare di trauma, abuso e consenso
E qui si aprono diverse tematiche trigger legate al trauma, all’abuso e al consenso. Lì dove troviamo in Ade un uomo cupo ma premuroso, che sente quasi una responsabilità paterna nei confronti di una Persefone ancora troppo giovane per poter intraprendere determinati percorsi e relazioni, legati anche alla fisicità, spesso mettendo il dio anche in lotta contro se stesso o costretto a sopportare le beffe dei fratelli che lo “accusano” di “preoccuparsi troppo”; dall’altro lato abbiamo un Apollo più giovane, beffardo ed egoista che nella sua vita non ha mai sentito la parola “no”. E anche se la dovesse sentire, non saprebbe riconoscerla, esattamente come accade.
Rachel Smythe riesce perfettamente a rappresentare il significato della parola consenso. Della percezione completamente distorta che passa tra una vittima e un carnefice, uno perfino inconsapevole, almeno all’inizio. Uno che nega l’evidenza dei fatti e che ricostruisce la realtà secondo la sua percezione dove il mondo, inevitabilmente, cade ai suoi piedi di principe viziato. Un mondo dove tutto gli è dovuto perché lui è Apollo. E nessuno può dire di no o non desiderare Apollo. Vi ricorda nulla? Quante volte avete sentito in questi anni, o magari avete vissuto, scene di questo tipo? E questo mette in azione quel meccanismo classico del “te la sei cercata” o, peggio, “magari hai capito male”, portando la vittima ad essere carnefice, e creando quel senso di colpa feroce.
E questo è solo uno degli esempi dei temi che si ripercorrono costantemente in Lore Olympus. Il senso di colpa assume sfumature differenti e larga importanza, infatti, viene data alla salute mentale, sdoganando la figura del terapeuta e facendo della vera e propria informazione e divulgazione. L’accettazione di chi si è, senza essere definiti da un “cognome” o da un’etichetta. C’è un’attenzione anche per quanto riguarda temi sull’orientamento, sul genere. Questo ventaglio di situazioni permette a Rachel di concentrare la sua attenzione su un carosello estremamente interessante di figure mitologiche, ognuna delle quali con il proprio dramma e background.
Parlare di relazioni
Le relazioni assumono un peso molto importante, da quelle amorose a quelle di sangue, passando per quelle d’amicizia. E anche qui la rappresentazione è delle più efficaci e veritiere, passando per amicizie sincere o amicizie di convenienza, come nel caso delle ninfe Minthe e Thetis, dove la seconda sfrutta e si approfitta dell’altra, la quale non riesce a gestire a sua volta la relazione tossica con Ade stesso dove l’uno si appoggia sui vuoti emotivi dell’altra, distruggendosi a vicenda. Per non parlare del rapporto disfunzionale tra Zeus ed Era, dove la seconda affoga nella rabbia e nell’alcool il dolore per i tradimenti dell’altro, rimpiangendo di aver scelto il fratello sbagliato accecata dalla prospettiva di diventare regina degli dèi. E questo porta anche verso il rapporto genitori e figli: passando dall’ansia di essere il riflesso di un padre abuser, come Ade o Zeus, o di non essere capace a soddisfare le aspettative che una madre riflette su di noi, come Persefone o Eros.
È proprio in questi piccoli dettagli, quando crediamo che la Smythe si sta per allontanare troppo dal mito che tutto torna, come nella chiusura di un cerchio. La mitologia diventa, come è sempre stata, escamotage narrativo per raccontare dell’essere umano in generale, dei temi importanti, delle battaglie, dei taboo. Il mito di Ade e Persefone è solo l’inizio, ma molti altri vengono trattati per dare una voce più moderna, più attuale a quello che era ed è ancora oggi il loro significato, offrendo una chiave di lettura più efficace, e anche molteplici spunti di riflessione per una generazione più giovane.
Una narrazione che coinvolge e sorprende
Il tutto perfettamente inserito in una narrazione coinvolgente. Una storia che sa come sorprendere, estremamente strutturata, volta tanto a far appassionare ai personaggi quanto a far riflettere, ma anche a far divertire, intrattenere. Rachel Smythe sa quando far ridere, sa quando far emozionare, sa quando far incazzare. La sua scrittura è dinamica, priva di sbavatura, capace di colpire al momento giusto e di esasperare con colpi di scena inaspettati. Riesce a restituire quell’atmosfera un po’ sospesa nel tempo, tanto vicina a noi quanto lontana. Gioca un po’ a far prendere posizione, alle ship facili, alle strisce che vogliono un po’ allungare il raggiungimento del punto clou, ma non è mai superficiale. Dà modo di approfondire ogni singolo personaggio, anche quelli secondari, senza mai lasciare nessuno in modo bidimensionale ma, anzi, sfruttando le storie di ognuno di questi per arricchire il suo racconto con altri dettagli e spunti tematici, e magari avvicinando anche un po’ di più al mito, sebbene con un gusto un po’ diverso.
La potenza dello stile e il significato del colore
Come ci viene presentato tutto questo? Attraverso un uso particolare del colore, che rende lo stile e le tavole di Rachel Smythe immediatamente riconoscibili e accattivanti. Per quanto digitali, l’autrice riesce a restituire l’illusione di un acquarello su carta ruvida, uscendo spesso dai bordi e sfumando la presenza dei suoi protagonisti, accentuando ancora di più l’illusione della divinità, della potenza e dell’essere immortale. Il risultato finale è stupefacente e magnetico, non solo per quanto riguarda i personaggi, ma anche per gli scenari. Alcune tavole di Rachel Smythe sono dei veri e propri quadri! L’uso acceso di colori come il rosso, il viola, il rosa shock, il blu, viene contrapposto a linee più marcate, dure e aguzze. Ogni divinità è associata a un colore brillante in base a una o più caratteristiche del proprio aspetto: per esempio il giallo per Era, regina degli Dei, capace di prevedere il futuro; il verde per Demetra, dea dell’agricoltura associata alla natura; il grigio per Thanatos, signore della Morte o, ancora, il blu scuro per Ecate, regina della Notte e della luna calante.
I colori sono associati sia a contrasto – il viola e il giallo per Zeus ed Era o il blu e il rosa per Ade e Persefone – che in associazione al regno di appartenenza, quindi più brillanti per l’Olimpo, più scuri per l’Underworld. I mortali, quei pochi che effettivamente vedremo comparire nel corso della storia, hanno quel colore tipico della pelle fragile e ruvida un po’ cotta dal sole. E va ancora riconosciuta una certa distinzione di uso cromatico anche tra gli Olimpi e i Titani. Mentre per gli Olimpi la Smythe preferisce il monocolore con alcune sfumature che vanno a intensificarsi in base alla situazione, momento, umore; per quanto riguarda i Titani, invece, non ci sono dei colori definiti ma più delle contaminazioni. Per esempio Urano sembra fatto effettivamente di cielo, quindi con elementi fusi tra il celeste e il bianco che danno quel tipo di illusione, così come Gea sembra essere fatta di natura; oppure Nyx che sembra fatta di un manto scuro come la notte più profonda dove a spiccare sono i cinque occhi fucsia brillanti. Inoltre i Titani sono giganti, mentre gli Olimpi vengono per lo più raffigurati con una dimensione apparentemente “umana”.
In Lore Olympus viene usata anche moltissimo la psicologia del colore, fondamentale per le scene più forti legate a situazioni “trigger” come la violenza sessuale, l’abuso psicologico, la violenza fisica, la salute mentale, il trauma in generale. Questo è uno degli elementi più caratterizzanti della narrazione di Rachel Smythe, che le consente di affrontare situazioni estreme e molto pesanti senza mai essere morbosa, cedere alla pornografia del dolore o del trauma, o peggio didascalica o moralista. Attraverso l’uso delle parole giuste e con la perfetta combinazione dello spettro di colori, la Smythe sa affrontare in maniera violenta ma con estrema sensibilità situazioni che offrono spunti di riflessioni, momenti di empatia e perfino divulgazione su argomenti ancora non così tanto trattati. O almeno, non nel modo giusto, soprattutto per quanto riguarda un pubblico più giovane.
Uno stile di disegno variegato
C’è un largo uso di colori primari e secondari, ma quasi mai vengono utilizzati colori neutri, sicuramente non in associazione a divinità. Piccoli dettagli, poi, definiscono ancora di più l’origine dei personaggi, come le ninfe di terra con le orecchie a punta o quelle di fiume con orecchie più simili a pinne. Altri dettagli particolari legati alle emozioni si ritrovano negli occhi. Privi di pupille, indicano l’uso del potere della divinità. Rossi o particolarmente scuri una prevalenza di sentimenti come rabbia, dolore e crudeltà.
Questo, come dicevamo prima, si sposa perfettamente anche con lo stile delle linee più dure e aguzze, soprattutto nelle divinità maschili che ricalcano un po’ le rappresentazioni supereroistiche, e di quelle più burrose e morbide, con modelli a clessidra, per le divinità femminili. In particolar modo per Persefone, l’autrice non cade nel classico stereotipo dell’eroina bellissima, perfetta e fortissima, ma anzi cerca di normalizzare il più possibile il corpo, rendendolo riconoscibile per chiunque.
Le forme sono spesso allungate, sia per quanto riguarda i personaggi che per quanto riguarda le ambientazioni, sfruttando sequenze di tre o quattro blocchi per allungare, anche da un punto di vista narrativo, la sospensione di momenti di tensione più alta. Ovviamente questo stile è perfetto per la modalità di lettura dei webtoon a scorrimento verso il basso, pensati soprattutto per gli schermi del cellulare.
Da qui si evince l’enorme studio dell’autrice, che non passa solo per la costruzione della storia e dei personaggi e per lo studio del colore, ma anche per quello della piattaforma, che ha saputo sfruttare al meglio, modellando l’opera proprio su quel tipo di caratteristiche e funzionalità, dando una percezione di dinamismo, quasi animata, alle scene. Tutto questo ci fa rendere ancora più conto della cura quasi maniacale che inizialmente ha portato a situazioni di estremo stress e burnout l’autrice – di cui parla nello stesso fumetto e che ha poi livellato nel tempo avvalendosi, grazie anche al successo dell’opera, di un team di grafici, illustratori e coloristi di supporto.
Le edizioni cartacee
Le edizioni cartacee sono altrettanto curate, per quanto poi la resa “animata” dettata dal formato verticale dei webcomics venga inevitabilmente meno. Eppure l’edizione cartacea va a colmare quel tipo di “lacuna”, dando comunque al lettore un vero e proprio gioiello dove i colori continuano ad essere protagonisti, la storia non perde di interesse e l’adattamento italiano – dove per ragioni narrative i nomi sono tenuti in forma inglese – riesce a rendere benissimo allo stesso modo. E ricordiamo che in ogni volume è presente una storia bonus inedita, elemento non di poco conto e che prolunga ancora un po’ la bellissima esperienza che farete con Lore Olympus.
Alla fine di tutto questo, speriamo di avervi convinto, o per lo meno fatto conoscere, qualcosa di nuovo, diverso e soprattutto coinvolgente, capace di prendervi per mano e guidarvi in un viaggio ricco di magia ed emozione, alla riscoperta delle molteplici sfumature dell’essere umano, dalle più oscure e quelle più pure, che si riflettono attraverso la carismatica figura mitologica del divino.