Ogni storia d’amore inizia con l’atto del mangiare.
È una delle frasi che restano più impresse del nuovo film di Tran Anh Hùng, uno dei più stimolanti visti nel concorso del Festival di Cannes 2023, perché racchiude tutto il senso di un’opera sensibile e raffinatissima.
Quando uno dei due protagonisti la pronuncia, prendendo come riferimento Adamo ed Eva, sembra una verità semplice e banale, rimasta nascosta nella nostra consapevolezza. E quando passano una manciata di secondi, il tempo di digerire quella battuta, non si può fare a meno, come l’effetto di una madeleine proustiana, di ripensare con la memoria alle nostre storie d’amore, ai primi morsi, i primi pranzi o i primi caffè presi in compagnia. È vero: l’amore inizia con l’atto del mangiare. Come una spezia di cui ci si accorge del gusto solo quando viene riconosciuta, è allora che il film lascia sul nostro palato il suo vero sapore.
Perché di questo dobbiamo parlare, nell’affrontare la recensione di The Pot-au-feu, titolo internazionale de La Passion de Dodin Bouffant. Un film che si può raccontare a fatica, che utilizzando le parole lo si svilisce. Come un piatto prelibato che si appoggia sulla nostra lingua, lasciando esplodere il proprio gusto nelle nostre bocche, il film con protagonisti Juliette Binoche e Benoît Magimel indugia sulle materie prime, sugli ingredienti, sulla preparazione, mostrandosi come una pentola che rimane sul fuoco. Più che mangiare il piatto, a noi non resta che assaporarlo.
The Pot-au-feu
Genere: Sentimentale
Durata: 134 minuti
Uscita: 24 maggio 2023 (Cannes)
Cast: Juliette Binoche, Benoît Magimel, Bonnie Chagneau-Ravoire
Non una trama, ma un menù
Riassumere la trama di The Pot-au-feu è semplice. Siamo nel 1885 e la domestica Eugénie lavora presso l’abitazione di un raffinato gourmet di nome Dodin da ormai vent’anni. Il talento di Eugénie è quello di creare dei piatti prelibatissimi, dalla lunga lavorazione, ma che sanno meravigliare il padrone di casa e i suoi ospiti. Tra la domestica e Dodin nel corso degli anni è nata una relazione amorosa, mai taciuta ma nemmeno realmente esplosa: lui vorrebbe sposarla, ma lei preferisce sentirsi completamente libera, rimanendo la chef della sua tavola. E chissà se quando Dodin cucinerà per la prima volta per lei riuscirà a cambiare le cose.
Tutto qui. Il menù che ci offre The pot-au-feu è basato su ingredienti semplicissimi (come il piatto che dà titolo al film), quasi a chilometro zero, ma è il loro insieme e la maniera in cui vengono lavorati che cambia tutto il film. Più che alla storia, a Hùng interessa ciò che non può essere raccontato a parole. Ecco allora che il film indugia sugli ingredienti, sulla loro preparazione, sull’acqua che bolle, i vapori che fuoriescono, i suoni e i rumori di una cucina viva. O i volti di chi mastica un boccone (noi non possiamo sapere il gusto del piatto, ma ne percepiamo la reazione di chi lo sta mangiando), gli sguardi di chi osserva il piatto offerto davanti a loro, la velocità e il modo in cui si muove la loro bocca. A quel punto, a che serve parlare di trama?
La cucina, l’amore, la vita
Hùng compie qualcosa di difficilissimo, ovvero usare la metafora della cucina per descrivere il mondo delle relazioni umane. E, nei momenti migliori, saper raccontare la vita stessa. Lo fa con una raffinatezza visiva incredibile, da manuale di regia, ostentando i ritmi lenti della cottura (d’altronde un piatto prelibato ha bisogno dei suoi tempi) e lasciando che l’emotività della storia venga percepita, più che esplicitata. Nonostante The Pot-au-feu abbia tutte le carte in tavola per allontanare lo spettatore (compresi alcuni passaggi poetici che possono risultare sin troppo esagerati, come quando si paragona visivamente la forma di una pera a quella di una donna), quasi stesse girando a vuoto per gran parte del tempo, compiaciuto delle lunghissime sequenze di cottura e di assaggi, si dimostra intenso e dolce come un dessert.
Merito di due interpreti straordinari, in costante equilibrio tra illusione, speranza, dramma e commedia, che trasformano quella che poteva essere una stucchevole e poco originale storia sentimentale in un elogio del romanticismo attraverso i sensi. Gli stessi che cullano lo spettatore facendogli riscoprire un tempo personale, che scorre attraverso il passaggio delle stagioni (e quindi della vita stessa), unendo la gioia dell’estate e la malinconia dell’autunno sino alla tristezza dell’inverno.
Con la sensazione di alzarsi dalla poltrona dopo aver assaporato un dessert di pregio. La bocca resa dolce, la pancia piena, gli occhi aperti, a un passo dalle lacrime, come quelli infantili di chi è pronto a vivere la sua nuova primavera.
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La recensione in breve
The Pot-au-feu ha una trama esile, ma funziona e si dimostra un grande film per il modo in cui mette in scena una relazione sentimentale. Grazie a due interpreti straordinari e una regia ipnotica, il film di Hùng è una prelibatezza raffinata che lascia in bocca il sapore del grande cinema.
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Voto ScreenWorld