Il gusto della sfida come sapore della vita. Perché senza una montagna da scalare a mani nude Tom Cruise non sarebbe Tom Cruise. L’uomo delle missioni impossibili fuori dallo schermo prima che nei film. Da una parte le sue folli acrobazie senza controfigure, ormai diventate una specie di certificato di garanzie, un marchio di fabbrica, un brand nel brand. Dall’altra la sua crociata in favore del cinema al cinema. Perché, secondo il buon Tom, l’esperienza in sala deve essere protetta e alimentata dallo spettacolo più maestoso possibile. Con lo show come promessa per spingere le persone fuori dal divano.
La sua missione impossibile l’aveva già compiuta l’anno scorso, quando Top Gun: Maverick si è dimostrato non solo un grandissimo film capace di mettere tutti d’accordo (in tempi in cui ci si divide su ogni cosa) ma anche un successo commerciale pazzesco. Tutto in un periodo ancora incerto e pieno di dubbi. Una dimostrazione di forza che Cruise vuole confermare anche col ritorno del suo inossidabile Ethan Hunt. Nella nostra recensione di Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte Uno vi racconteremo l’ennesima fatica di un attore devoto all’azione e di un agente speciale arrivato alla resa dei conti. Con chi? Con un nemico che non si può né toccare, né vedere.
Genere: Azione
Durata: 163 minuti
Uscita: 12 luglio 2023
Cast: Tom Cruise, Hayley Atwell, Rebecca Ferguson, Simon Pegg, Vanessa Kirby, Esai Morales
La chiave del mondo
Non ci si può fidare di nessuno. È quello che abbiamo imparato grazie alla saga di Mission: Impossible, ormai stracolma di travestimenti, tripli giochi e zone grigie in cui è difficile distinguere il bene dal male. Un concetto esasperato soprattutto dall’ultimo capitolo, Fallout, dove Ethan Hunt si stringeva ancora più forte attorno alla sua squadra di pochi fidati. Il cerchio si stringe ancora di più in questo Dead Reckoning (che verrà completato dalla seconda parte, prevista per giugno 2024), in cui la missione prevede il recupero di due chiavi fondamentali per il controllo di una misteriosa entità capace di dominare il mondo. Un nemico fisico o virtuale? Chi lo sa. Forse entrambe le cose.
Un pretesto che spinge Ethan e compagni a brancolare nel buio, perché in questo settimo film non è mai chiaro chi sia davvero il nemico. Il che rende la saga sempre più connessa al reale, mai davvero inverosimile nonostante le sue esagerazioni. Questo Dead Reckoning è un film figlio del mondo digitale, una dimensione caotica, fluida, in cui i nemici sono sfuggenti e gli algoritmi hanno il potere di prevedere ogni singola mossa. E allora, se il nostro mondo è ormai preda di schemi che ci controllano, resta solo una cosa da fare: sorprendere il pubblico con lo spettacolo più imprevedibile possibile.
Il nemico invisibile
Nemici invisibili, dunque. E no, non parliamo solo di inquietanti algoritmi. Proprio come James Bond in No Time To Die e Indiana Jones nella sua ultima avventura, anche Ethan Hunt deve affrontare l’avversario più temibile: il Tempo. O meglio, il Passato che ritorna inesorabile con i suoi fantasmi, i suoi traumi e i suoi sensi di colpa. Liberarsi dal suo fiato sul collo sembra impossibile sia per Hunt nel film che per Cruise con la saga stessa. Come a dire che la formula magica del franchise deve tornare sempre per rispettare regole sacre. E allora riecco le fedeli spalle, i duelli sui treni nelle gallerie, le donne innamorate, il farcela quasi sempre nonostante tutto. Curioso come a livello registico il passato torni anche con alcuni omaggi, come tanti primi piani e inquadrature oblique dal sapore un po’ retrò. Non ricordavamo, però, tanti problemi di montaggio come quelli che affliggono questo settimo capitolo, a volte un po’ pasticciato a livello grammaticale.
Però, nonostante la sua azione incessante (intervallata da un paio di sequenze davvero troppo verbose e didascaliche nello spiegare le cose), Dead Reckoning riesce comunque a essere un film intimo, che scava nella coscienza di Hunt. Un uomo che ha imparato a fidarsi di pochi e che a quei pochi da tutto quello che ha. Con una morale tutta sua. Quella che, davanti all’impossibilità di distinguere il Bene dal Male, si fa bastare il dilemma tra Giusto e Sbagliato. Ed è qui che il film tocca le sue vette: quando fa parlare i personaggi con l’azione, attraverso le loro scelte istintive. Meno parole, più fatti. Meno spiegazioni, più acrobazie. È questo il Mission: Impossible che vogliamo.
Il salto della fede
Parte con un prologo polveroso nei deserti di Abu Dhabi, che sembra uscito direttamente da Metal Gear Solid V: The Phantom Pain. Poi l’itinerario di Mission: Impossibile – Dead Reckoning – Parte Uno prevede tappe sempre più burrascose a Roma, Venezia e tra le alpi austriache. E a ogni cambio di setting l’azione cambia e si evolve, passando dagli inseguimenti in auto agli assalti al treno, senza rinunciare a duelli fisici molto crudi e violenti. Il risultato è un film-diesel, che parte piano e poi ingrana scena dopo scena, sino ad arrivare a una sequenza finale di puro spettacolo visivo, impregnato di adrenalina e pathos. In mezzo c’è la sensazione di una saga sempre meno glamour e patinata, un po’ più ironica e costretta a sporcarsi le mani con il sangue e il sudore. Come fa una star che di accontentarsi non vuole proprio saperne. Perché l’asticella va alzata sempre più in alto. Film dopo film. Sfida dopo sfida.
Il merito è tutto del sorriso di Tom Cruise, smagliante come la sua forma invidiabile. Il suo corpo in scena è pura devozione cinematografica. Un attore-eroe più di Hunt stesso, che cade, si rialza, si lancia nel vuoto e fa qualsiasi cosa pur di meritarsi il nostro stupore. La vera missione impossibile in un mondo in cui la meraviglia è diventata merce rara. In sala come sui divani.
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La recensione in breve
Lento come un diesel che ingrana, Mission: Impossibile Dead Reckoning abbraccia lo spettacolo più adrenalinico possibile. Senza dimenticare di legarsi alla complessità del mondo contemporaneo e al tema del passato che torna inesorabile.
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Voto ScreenWorld