Aspettative, confronti, pregiudizi. Pietro Castellitto si sarà abituato. O forse no. Forse l’etichetta di “privilegiato figlio d’arte” lo fa ancora incazzare parecchio. E allora non resta che reagire e continuare ad alzare il dito medio, come faceva un personaggio nella scena più bella del suo esordio alla regia (I predatori). Oppure paragonare Roma Nord al Vietnam, come dichiarato qualche mese fa in un’intervista. Giusto per il piacere di far arrabbiare qualcuno. Forse si sarà infastidito quando, durante la presentazione dei film in concorso, il direttore Barbera ha definito il suo secondo film una specie di “La grande bruttezza”. Ancora confronti, ancora aspettative, ancora pregiudizi.
Apriamo la nostra recensione di Enea, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2023, confermandovi che questa pressione si sente tutta. Non a caso il suo secondo film porta il nome di un eroe figlio della dea Venere. Un po’ di ansia l’avrà sentita anche lui. Certo, il secondo film è sempre più difficile del primo, ma Castellitto sembra aver trasformato la sua insofferenza in ansia da prestazione. Una costante voglia di strafare che offusca il suo sguardo originale, la sua sensibilità e il suo innegabile talento ancora troppo bravo ad auto-sabotarsi.
Durata: 117 minuti
Uscita: 5 settembre 2023 (Festival di Venezia)
Cast: Pietro Castellitto, Sergio Castellitto, Benedetta Porcaroli
Suburra a Roma Nord
Questo Enea assomiglia tanto al film precedente di Castellitto. In alcuni tratti sembra persino la sua evoluzione (degenerata), il sequel ancora più pieno di cinismo, rabbia e disincanto. Perché siamo di nuovo a Roma, ancora alle prese con l’ipocrisia di una borghesia distratta, vorace, in cui padri e figli non riescono a parlarsi. Perché tutti sono troppo presi da se stessi. Ognuno alle prese con i propri problemi taciuti e nascosti. Ecco perché Enea, il protagonista del film, se ne va sempre in giro con le cuffie nelle orecchie. Non vuole ascoltare nessuno perché tanto nessuno lo ascolta. Figlio della Roma bene (anzi, della Roma Nord bene), Enea ha una doppia vita.
In vetrina è un gestore di un ristorante di sushi che arrotonda dando lezioni di tennis nel club di famiglia. Dietro le quinte, però, il nostro ragazzone altoborghese gestisce un traffico di droga assieme a un amico più sbandato di lui. Un labile equilibrio che non potrà certo durare a lungo. Non aggiungiamo altro sulla trama, anche perché Enea non è certo un film basato sulla complessità dell’intreccio. Il film (e qui capiamo lo scomodo paragone con Sorrentino) assomiglia a una lunga passeggiata che gira attorno a vari personaggi, senza portare troppo avanti una storia molto stantia. Stantia come le esistenze di questi borghesi che hanno tutto ma non sanno più niente, che si riuniscono senza stare insieme. Ognuno alle prese con la propria, personalissima Eneide.
Il malessere del benessere
“Racconta di quello che sai”, diceva qualcuno. Pietro Castellitto segue il consiglio e torna ancora una volta nel suo habitat naturale. Quella Roma agiata dei festini e delle cene in terrazzo di cui sembra voler svelare paradossi e isterie. Lo fa con una commedia nera piena di cinico sarcasmo in cui il mondo criminale rimane sempre nascosto, come una presenza astratta e subliminale che si addentra nella normalità della presunta brava gente di Roma. Ne viene fuori un ritratto familiare cinico ma anche molto malinconico, in cui Castellitto denuncia il fallimento del microcosmo domestico in cui il troppo benessere ha allontanato le persone invece di tenerle assieme. Una distrazione collettiva che allentato gli abbracci, negato i baci (che nel film non appaiono mai sullo schermo) e anestetizzato ogni forma di affetto. E così anche il Male viene normalizzato. Anche il crimine non sembra niente di strano. Una strana assuefazione che Castellitto prova a scuotere con un cinema inquieto e irrequieto, pieno di scelte insolite e di soluzioni visive ricercate, in cui purtroppo la voglia di stupire a tutti costi annebbia la bontà degli intenti.
Passa il pallone, Pietro
La carriera di Castellitto ci fornisce un assist irresistibile. Seguiteci nell’azzardato paragone (ancora loro, che noia). Immaginate il figlio di Francesco Totti che scende in campo. Ha un cognome pesante sulla maglia della sua Roma e il talento giusto per scendere in campo da titolare. Ecco, nonostante abbia vestito i panni del Pupone, Castellitto con questo Enea sembra un figlio d’arte troppo impegnato a dimostrare a tutti di essere uno davvero bravo. Questo perché il suo secondo film è davvero un calderone di idee poco organizzate, poco coese, poco funzionali per il disegno d’insieme. Se la sceneggiatura ha delle buone trovate, frenate da dialoghi troppo artefatti e poco sinceri, la regia cerca troppo spesso il colpo a effetto, l’inquadratura sorprendente, il guizzo del fenomeno. Una scelta che appesantisce una messa in scena troppo barocca e rende la narrazione poco fluida.
Forse basterebbe più semplicità per tirare fuori un Castellitto più sincero e graffiante. Perché così è come guardare un bravo calciatore che palleggia bene a centrocampo senza passare mai il pallone ai compagni e far segnare la squadra. Il nome sulle spalle non si può cambiare, ma tutto il resto sì. I piedi buoni ci sono. Adesso, come direbbero gli allenatori in tv, bisogna solo lavorare sulla testa e ragionare una partita per volta. Film dopo film. Siamo certi che Pietro, prima o poi, vincerà la sua Eneide.
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La recensione in breve
Con Enea Pietro Castellitto torna a raccontare le ipocrisie e i malesseri borghesi con una commedia nera piena di buoni spunti, che si complica la vita andando sempre alla ricerca del colpo a effetto.
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Voto ScreenWorld