Prima di passare alla recensione di Coupez! – Final Cut, pellicola francese selezionata per inaugurare l’edizione 2022 del Festival di Cannes, è d’uopo andare un po’ a ritroso, tornando per l’esattezza al 2017. In quell’anno, infatti, usciva in Giappone il film One Cut of the Dead, commedia horror che metteva alla berlina il genere zombie e la pratica del cinema a basso budget. Il film ha poi avuto un discreto seguito internazionale, a cui ha contribuito l’Italia con una proiezione al Far East Film Festival di Udine, per poi avere diritto a un remake che proviene dalla Francia. Final Cut, appunto.
Un remake dal percorso un po’ travagliato: era previsto che debuttasse al Sundance, ma il regista Michel Hazanavicius ha optato per altri eventi dopo che il festival ha deciso di non organizzare proiezioni in presenza per l’edizione 2022. E poi c’è stata la controversia del titolo, che in Francia inizialmente era Z (comme Z), allusione ai morti viventi e ai film di serie B (che i nostri vicini transalpini chiamano Z), che non ha più lo stesso sapore alla luce della guerra in Ucraina, dove l’ultima lettera dell’alfabeto è simbolo dell’invasione russa. Ed ecco che, poche settimane prima dell’uscita (perché come da consuetudine dal 2010, il film d’apertura di Cannes arriva contemporaneamente nelle sale francesi), si è passati a Coupez!, altro gioco di parole.
Coupez! – Final Cut
Genere: Horror/Commedia
Durata: 112 minuti
Uscita: 17 maggio 2022 (Cannes)
Cast: Romain Duris, Bérénice Bejo, Matilda Lutz
Riprese di serie B
Come l’originale, Coupez! – Final Cut racconta la vicenda di una troupe cinematografica che, mentre sta girando un film di zombie, viene attaccata da una vera – ma piccola – orda di morti viventi, frutto di una maledizione nel luogo scelto per le riprese. Una classica premessa di genere che si può eseguire a basso costo, e difatti il film ha più livelli narrativi. Quello che vediamo all’inizio è il film girato da un regista (Romain Duris) ingaggiato appositamente per realizzare il remake di un recente successo giapponese. Ebbene sì, il film mette le mani avanti, ammettendo di essere un’operazione commerciale che aderisce pedissequamente al canovaccio nipponico per portare la storia a un pubblico più ampio, al di fuori del paese d’origine e dei circuiti cult (e qui viene un po’ da pensare ai vari remake di Perfetti sconosciuti, che cambiano i nomi dei personaggi ma per il resto seguono alla lettera l’originale di Paolo Genovese; guarda caso, Bérénice Bejo, protagonista femminile di Final Cut, ha anche recitato in Le jeu, rifacimento gallico della commedia italiana di successo).
Un lungo déjà vu
Tolto il livello metacinematografico che giustifica l’esistenza del film nel film, va detto chiaramente: se avete visto One Cut of the Dead, in sostanza avete già visto Coupez! – Final Cut, che ne replica ogni inquadratura e battuta. Lo fa consapevolmente, e così facendo rientra nella poetica di Hazanavicius, da sempre interessato ai giochi intertestuali e cinefili, dagli adattamenti parodistici dei romanzi sull’agente speciale 117 (antesignano letterario di James Bond) al ritratto ironico di Jean-Luc Godard passando per l’omaggio al cinema muto in The Artist, il film della consacrazione internazionale.
Ma è un gioco che in questo caso è un’arma a doppio taglio: fa sorridere l’ammissione di aver fatto una copia carbone di un film che gli appassionati di horror probabilmente già conoscono, ma rimane il fatto che si tratta di un rifacimento privo di idee particolarmente forti e nuove (che si tratti o meno di effettivo obbligo contrattuale, come suggerisce una delle scene più spassose). Anche perché il fascino dell’originale stava nella sua componente volutamente cheap, un film da quattro soldi fatto per davvero con pochi mezzi, cosa che non accade qui (il produttore principale è Vincent Maraval, uno dei nomi di punta nel cinema d’autore francese contemporaneo). Un esercizio di stile divertente, senz’altro, ma a conti fatti forse un po’ troppo pulito e privo di mordente, zombie o di altro tipo.
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La recensione in breve
Final Cut mette le mani avanti sottolineando la sua natura di remake di un film horror/comedy a basso budget giapponese. Per quanto divertente, aderisce troppo pedissequamente al canovaccio originale giapponese, lasciando una sensazione di prevedibilità, nonostante sia coerente con la poetica del regista Michel Hazanavicius.
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Voto ScreenWorld