Mercoledì 24 agosto è arrivato finalmente nelle nostre sale Men, il terzo lungometraggio dietro la macchina da presa per Alex Garland (qui la nostra recensione) e senza dubbio il suo più denso di significati ed allegorie. Anche nei suoi precedenti Ex Machina e Annientamento le teorie e le letture di significato si siano sprecate, e Men non fa differenza. Sin da quando è stato presentato a Cannes 2022 nella sezione della Quinzaine des Rèalisateurs, il nuovo lungometraggio scritto e diretto dal cineasta britannico ha generato le reazioni più disparate: buona parte della stampa internazionale lo ha odiato, altri invece sono rimasti letteralmente rapiti dalla sua narrazione, dalla sua messa in scena e dai tantissimi significati nascosti e profondi. Addentriamoci all’interno della trama e del simbolismo di Men per fornire una spiegazione dello scioccante finale.
Di cosa parla il film?
Dopo aver subito il trauma del lutto improvviso di suo marito, Harper (una sempre più lanciata e brava Jessie Buckley) decide di allontanarsi dai demoni del suo passato trascorrendo un breve periodo all’interno di una grande casa di campagna lontana dalla chiassosa città. Quando arriva lì Harper viene subito accolta dal proprietario della tenuta (Rory Kinnear), un uomo dal carattere gioviale e molto cortese che le fa fare un giro completo della grande casa e la invita a trascorrere una permanenza all’insegna del totale relax. Qualcosa però lentamente si insinua nella sua apparente ritrovata felicità interiore; quando la donna decide di assaggiare furtivamente una succosa mela dall’albero della tenuta e fare una passeggiata nei boschi che circondano la cittadina di Cotson, si rende conto di aver attraversato l’uscio della porta dell’inferno.
Non soltanto potenti e lancinanti immagini del passato riportano prepotentemente la protagonista al momento della morte del marito (Paapa Essiedu), ma qualcosa negli abitanti di Cotson inizia a rivelare la sinistra natura del paesaggio circostante; difatti, tutti i cittadini maschi con cui Harper ha a che fare possiedono il volto dello stesso interprete (Kinnear), dal proprietario della tenuta al sacerdote della piccola parrocchia, fino all’oste del pub di Cotson e al pericoloso squilibrato che, totalmente denudato delle sue vesti, tenta di fare irruzione all’interno della casa di campagna di Harper più di una volta.
Lo spettatore attento avrà notato durante la visione di Men che la protagonista interpretata da Jessie Buckley sembra non essere cosciente del fatto che tutti gli uomini con cui interagisce durante la narrazione posseggono lo stesso identico volto: che sia un’allucinazione di natura psicopatologica o la cittadina di campagna nasconde un concreto e sinistro mistero sovrannaturale? Come per i migliori film ricchi di significati ed interpretazioni, anche Men può essere analizzato su un duplice livello.
Tutto inizia con un tunnel
Per cercare di dare una valida interpretazione dello sconvolgente finale di Men, è necessario ancora una volta fare un passo indietro e focalizzarci su una delle scene chiave della pellicola. Poco dopo aver preso confidenza con la tenuta di campagna, Harper decide di fare una rigenerante passeggiata nei boschi circostanti per entrare in contatto con la Natura del luogo. Quando si avvicina inavvertitamente ad un tunnel semi-abbandonato, la donna si rende conto di aver “risvegliato” un uomo dall’altra parte della galleria oscura che, incuriosito dall’eco della sua voce, inizia ad inseguirla forsennatamente. La protagonista, spaventata, fugge al riparo verso la casa in preda al terrore: chi era quella misteriosa persona che stava tentando di catturarla?
Una risposta che, almeno in parte, viene fornita più avanti, quando la donna fa la conoscenza di altri illustri paesani di Cotson, ognuno con lo stesso, identico volto: cosa significa tutto questo e perché Harper sembra agire e comportarsi con naturalezza nonostante questo elemento piuttosto sinistro? Che sia tutto frutto della mente tormentata della giovane protagonista del film? Può essere una lettura valida.
Non è difatti un caso che l’incubo per Harper inizi con il suo avvicinarsi al tunnel campagnolo; negli studi psicologici e psichiatrici, il tunnel può scatenare nel paziente una sensazione di oppressione verso situazioni di forte crisi o di grande responsabilità, da cui si vorrebbe solamente fuggire. Proprio come fa la nostra protagonista, che fugge letteralmente dalla città e dal ricordo della morte violenta del marito per ritrovare un equilibrio interiore da tempo perduto. Ma il senso di colpa e responsabilità non le daranno via di scampo.
In fuga dal passato, ma quale?
In psicologia, il tunnel può anche essere letto in chiave onirico-allegorica: la sua forma ricorda quella del canale cervicale dal quale il feto viene alla luce al momento della nascita; un elemento quello dell’urgenza di (ri)nascita su cui torneremo prepotentemente con la spiegazione del finale. Se Harper decide di fuggire dal suo passato è perché vorrebbe ritornare a riappropriarsi della sua vita, quella di cui non aveva il timone quando era sposata con il marito problematico e violento. In uno dei più importanti flashback del film, scopriamo che il defunto partner della donna era afflitto da profonde insicurezze, gelosia e disturbi mentali, tanto che alla fine di una violenta litigata tra i due, il primo colpisce al volto la moglie lasciandola a terra sanguinante. Un gesto che viene immediatamente condannato da un’incredula Harper, che lo minaccia di divorzio cacciandolo da casa. Distrutto dal senso di colpa e dalla decisione presa dalla moglie, l’uomo si arrampica dalla finestra del piano di sopra per tentare di riappacificarsi con lei, ma apparentemente scivola e precipita verso il basso, ponendo così fine alla sua vita davanti agli occhi terrorizzati della donna. Un tentativo di suicidio come “vendetta” per la minaccia di divorzio o una semplice casualità?
In assenza di risposte, il senso di colpa della protagonista nel tempo si tramuta in opprimente responsabilità della morte dell’ex-marito, che pure era stato violento nei suoi confronti più di una volta. Una fuga dal proprio passato che più avanti nel film diventa una riflessione su un passato più grande della stessa, dai sinistri toni ancestrali e religiosi. Eccoci arrivati al cuore del significato di Men.
Cosa succede nel finale?
Siamo finalmente arrivati alla spiegazione del finale di Men, un terzo atto narrativo così carico di significati, interpretazioni e suggestioni che siamo già sicuri che se ne continuerà a parlare negli anni a venire. Dopo aver ricevuto parole ed atteggiamenti di abuso da parte di tutti gli uomini incontrati nel villaggio di Cotson, Harper si chiude in casa con il crescente timore di non essere più al sicuro; tenterà di contattare la sua migliore amica a Londra per chiedere aiuto ma la linea telefonica sembra non dare più segni di vita, proprio mentre tutti i personaggi interpretati dall’eclettico Rory Kinnear si accingono ad assaltare la magione di campagna. Prima lo squilibrato senza abiti, poi il proprietario Geoffrey, fino all’arrivo del prete di campagna, il suo sinistro nipote e il bullo del villaggio, tutti cercheranno di penetrare nella casa per abusare nuovamente di Harper, sia verbalmente che fisicamente. Chi sono queste persone e cosa vogliono da lei?
Da qui la duplice chiave di lettura dello scioccante finale di Men. Quello che effettivamente vediamo svolgersi alla fine è sconvolgente: il pazzo squilibrato senza vestiti si ricopre di foglie verdi in un inquietante rimando alla scultura pagana presente nella chiesetta che Harper aveva visitato giorni prima; il cosiddetto “uomo verde” cesellato nell’edificio medievale ha dei chiari riferimenti ancestrali legati all’accoppiamento e alla riproduzione femminile, in contrasto con l’ambiente cristiano e religioso in cui si trova. Eppure, Cristianesimo e religioni ancestrali sembrano andare a braccetto in Men, a partire del gesto “biblico” del morso alla mela che Harper mette in atto all’inizio del film.
Lo sconcertante “uomo verde” si intrufola nella casa di campagna e minaccia la donna, ma non prima di accovacciarsi, dispiegare le sue gambe e dare vita ad un feto orripilante. Dal ventre gonfio dell’uomo nasce prima Geoffrey, che a sua volta dà alla luce il sacerdote, ed infine il bullo del villaggio, fino al parto inaspettato di James, il marito di Harper. Il partner “appena nato” si siede sul divano e si rivolge ad Harper, pronto ad infestare ancora una volta la mente della protagonista, in un raccapricciante ciclo senza fine apparente. Cosa significa tutto quello che abbiamo visto?
E Dio creò la donna
Abbiamo precedentemente accennato che Men può avere una duplice chiave di lettura; la prima è quella secondo la quale tutto ciò che accade alla nostra protagonista è reale e che il villaggio di Cotson si nutre delle proiezioni mentali e psicopatologiche del senso di colpa di Harper, facendo cadere la donna in uno stato di trance che la priva di consapevolezza; a reggere le redini di questo maleficio, le misteriose forze ancestrali incise all’interno della chiesa del luogo, tra cui l’Uomo Verde, simbolo antichissimo di riproduzione maschile e dunque di assoggettamento della donna a semplice procreatrice, sempre un passo indietro alla figura patriarcale.
Una seconda lettura del finale di Men, forse più vicina alla visione primigenia di Garland, ci spinge a leggere l’orribile parto delle tante figure maschili come un’allegoria della ciclicità della figura femminile nella Storia: ben prima della fondazione del Cristianesimo (che pure per secoli ha plasmato il ruolo della donna a suo perverso piacimento, fino ai nostri giorni), il femminino era inevitabilmente assoggettato alla figura maschile in un abuso primitivo che prima passava per il dovuto atto riproduttivo, poi alla sua secondarietà all’interno del sistema societario dell’umanità: donna, madre, focolare della casa, responsabile della crescita e della cura dei figli. Era ed è sempre stato il maschio, il pater familias, ad amministrare la struttura del suo nucleo famigliare, sempre un passo avanti alla donna e mai indietro.
Da questa ciclica ed invisibile linea di responsabilità e ruoli sociali la donna nella sua Storia sembra non poterne uscire mai, proprio come accade ad Harper nei minuti finali di Men, di nuovo faccia a faccia (e questa volta, letteralmente) con il suo passato traumatico e senza soluzione di fuga. Tutto quello che la protagonista del film può fare, negli ultimi istanti, è venire a capo di questa tragica verità, accettare il fardello della Donna-Harper e continuare a lottare per se stessa e per tutte le altre. Stavolta però, con uno stanco sorriso stampato sul volto.