Troppo facile ora. Adesso è facile fare i fighi in sella ai draghi dentro serie tv milionarie, basate su altre serie tv milionarie, ma ventidue anni fa non era così. Ventidue anni fa atterrare al cinema con uno strambo fantasy post-apocalittico con dei draghi fatti come si deve era una mezza follia. Anche perché in quel lontano 2002 uscirono due filmetti come Le Due Torri ed Harry Potter e la Camera dei segreti. Per cui sgomitare tra due colossi fantasy con un altro pseudo-fantasy era un’impresa al limite del delirante. E infatti quella perla incompresa de Il regno del fuoco fu un inevitabile flop al botteghino. Un film spesso dimenticato e poco conosciuto dal Costato 60 milioni di dollari, ne incassa solo 80 in tutto il mondo, non riuscendo a coprire tutte le spese di marketing aggiuntive. E poco importa che su Rotten Tomatoes il film oscilli tra il 42 e il 49% di gradimento, perché noi Il regno del fuoco lo amiamo lo stesso. Adesso vi spieghiamo perché raccontandovi la triste storia di un’opera sfortunata.
Salto nel vuoto
C’è un dettaglio che rende romantico questo film col senno di poi. Il fatto che sia pieno di star come Christian Bale in versione work in progress per Bruce Wayne, Gerard Butler ancora senza gli addominali scolpiti di 300 e un irriconoscibile Matthew McConaughey pelato, cattivissimo e guerrafondaio senza mai metterle in vetrina nella locandina. No, sulla locandina de Il regno del fuoco non ci sono i loro tre faccioni come succederebbe oggi. No, c’erano solo loro: i draghi. Imponenti e brutali che mettono a ferro e fuoco Londra. Già questo basterebbe a riempirci di orgoglio, ma andiamo avanti. Partiamo dal contesto. Il regno del fuoco è il terzo film di un certo Rob Bowman. Prima di salire in sella a questo film piromane aveva diretto il film di X-Files e Rollerblades – Sulle ali del vento. Sì un film sui pattini con Jack Black datato 1993. La sua carriera finirà appena tre anni dopo Il regno del fuoco con la regia del dimenticabile Elektra. Insomma, non proprio un CV di cui vantarsi.
Però, quello che rende davvero epico l’habitat in cui è nato il regno del fuoco, sono le dichiarazioni di Chrstian Bale e Matthew McConaugaey prima di accettare la parte. Il futuro Batman, in preda a puro masochismo, disse: “All’inizio pensavo fosse un progetto incentrato sugli effetti visivi e non sulla recitazione. Ero preoccupato che le persone facessero la figura dei fessi. In generale sono attratto dai film che possono realmente andar male. Ho scelto film che hanno spinto altri a dirmi: ma sei scemo a farlo? Perché rischi con questa roba? Mi sono reso conto che mi diverte”. McConaughey, invece, ammise : “Sembrava folle, fuori dall’ordinario, capivo che mi sarei divertito, era molto fisico, con un sacco d’azione, dovevo interpretare uno che picchia duro, che colpisce per necessità e non per divertimento. Uno che non parla ma agisce”. Insomma con queste premesse, cosa poteva andare storto? Tutto ovviamente.
Un fascino bestiale
Passiamo al sodo. Com’è Il regno del fuoco? Prima di tutto è un efficace mix di generi che oscilla molto bene tra il post-apocalittico e l’urban fantasy con un immaginario verosimile e ben strutturato. Ovvero un universo in cui i draghi si risvegliano nel sottosuolo ai giorni nostri per poi conquistare tutte le terre emerse ormai devastate dalla loro furia infuocata e dello smog. Il film ci getta così dentro un 2020 distopico, cupo e disperato dove gli umani sopravvivono a stento su un pianeta dominato dalle brutali creature alate. Sparute comunità si nascondono sottoterra, dentro roccaforti isolate. Almeno fino a quando l’audace avventuriero Denton Van Zan (che nome straordinario!) propone di cambiare strategia: basta nascondersi e contrattaccare per sterminare tutti i draghi. Non vi diciamo come va a finire qualora non abbiate ancora visto questo gioiellino dimenticato sotto la cenere. Si, perché al netto di un finale un po’ deludente e frettoloso, Il regno del fuoco ha personaggi carismatici, una bella atmosfera e soprattutto l’unica cosa che un film del genere deve avere: dei draghi fighissimi. Resi realistici da una buona trovata di sceneggiatura, i draghi non sono trattati come esseri mitologici ma come animali con caratteristiche biologiche che ne svelano pregi e difetti. E soprattutto hanno un’ottima presenza scenica grazie a un ottimo mix di effetti speciali e visivi, di alto livello considerando l’anno di uscita. Draghi così ben fatti che negli anni a venire verranno presi come esempio da Harry Potter e Game of Thrones che ne imiteranno movenze e aspetto. Ma allora cosa è andato storto?
Prima di tutto Bale, Butler e McConaughey non erano ancora famosissimi come lo sono oggi e il loro star power era più limitato. Tra l’altro il buon Matthew all’epoca era ancora incastrato nel ruolo di fidanzatino d’America nelle commedie romantiche e risorgerà definitivamente come grande attore solo molti anni dopo. Va detto che lui e Bale, nonostante le perplessità iniziali, ci misero anima e corpo in questo progetto. Tanto da picchiarsi davvero durante una scena di lotta tre i due in cui McConaughey tirò per sbaglio una testata Bale, che continuò a recitare come se nulla fosse per la buona riuscita della sequenza che risultò ancora più credibile. Quello che affossò il regno del fuoco fu un grane nemico di molti film: un pessimo tempismo. Non solo l’uscita in concomitanza con i secondi capitoli de Il Signore degli Anelli ed Harry Potter lo mise in ombra, ma bisogna considerare che il film arrivò in sala in un mondo ancora convalescente dall’11 settembre. Il pubblico forse aveva più voglia di evasione, di altri mondi in cui perdersi e di eroi con cui distrarsi. Invece Il regno del fuoco era un film cupo, pessimista, con tanta devastazione urbana. Non proprio il massimo per il periodo. E così il film cadde in un lungo oblio da cui solo i suoi fan possono risollevarlo. Fan che sono come gli umani ne Il regno del fuoco. Pochi sopravvissuti nascosti da qualche parte. Ma lo sappiamo che siete là fuori. Sappiamo che ci ricevete e che qualcuno di voi in fondo al proprio cuore brucia d’amore per questi draghi sciagurati.
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