Il 6 luglio 2020 un pezzo della Storia del Cinema se ne andava per sempre. Nella notte, in una clinica romana il Maestro Ennio Morricone all’età di 91 anni pensava alla sua ultima nota; lui che è stato il più grande compositore di colonne sonore o musiche da film, come le avrebbe definite lui, di tutti i tempi. Quel giorno, il suo avvocato così disse: «il maestro si è spento con il conforto della fede, e con grande lucidità e dignità”. Tra le tante meraviglie che Ennio lasciava c’era soprattutto l’amata moglie Maria, la quale per tutto il corso della loro vita assieme lo aveva sempre accompagnato con grande passione e dedizione, facendone le veci in più occasioni e al suo fianco fino alla fine.
Per comprende la grandezza di Ennio Morricone basta pensare ad una sua melodia per essere immediatamente catapultati in una immaginario collettivo composto da suoni ed immagini. Ognuno di noi ha nella sua mente e nel suo cuore un brano ed una musica preferite che lo entusiasma appena ode quelle note. Ogni sua composizione è talmente indimenticabile da risuonare nell’aria con effetto immortale, come qualcosa che non potrà mai essere scardinato o sostituito. Tra i punti altissimi della sua carriera sicuramente il sodalizio artistico con il collega e amico Sergio Leone è uno di questi. Se da una parte Sergio ha ridisegnato l’immagine dell’America, Ennio ne ha ricostituito i suoni. Ma Ennio Morricone è stato ben altro, un genio mutaforma che sapeva adattarsi per colori e sembianze a seconda di con chi doveva lavorare. Uno spartiacque per il secolo del 900′ rappresentato non da un evento bensì da un uomo che con la sua mitezza e modestia ha saputo ridefinire il concetto di arte stessa.
Un nuovo valore alla musica contemporanea
Una carriera cominciata nella costrizione; il padre volle che il figlio divenisse musicista ed in particolare trombettista. Ennio non ebbe scelta dunque ma grazie ad un’ottima tempra, assecondò il volere del padre ed intraprese il percorso musicale al conservatorio con grande dedizione. Nei primi anni non era facile, in quanto, coniugare il lavoro con lo studio non era di certo cosa da tutti. Ennio aveva il dovere di sostenere la famiglia affinchè questa vivesse agiatamente e la tromba oltre ad essere strumento artistico era anche strumento necessario a questi fini, nonostante il futuro maestro abbia sempre interpretato questo obbligo come una grande umiliazione.
Tuttavia, con l’avvento al conservatorio, Ennio dovette confrontarsi con un mondo musicale in crisi. Se da una parte il mondo cambiava e gli stili musicali mutavano, dall’altra i grandi rappresentanti della musica colta e pura sentendosi percossi da tale cambiamento, radicavano maggiormente l’ideologia tradizionalista, arroccandosi dietro alle proprie convinzioni e ripudiando qualsivoglia forma di “altra musica.” Tra queste illustri figure vi era Goffredo Petrassi, il quale venne scelto da Ennio come suo Maestro.
Inizialmente, quest’ultimo venne sbeffeggiato e sottostimato dal rinomato compositore, sicuramente per estrazioni sociali differenti e scarsamente avvezze ad un ambiente elitario come quello del conservatorio, ma successivamente, apprezzato per il proprio talento evidente a tutti e dimostrato a più riprese, a tal punto che Petrassi lo definì un allievo attento, diligente singolarmente ottimista.
Tuttavia, presto Ennio comprese la profonda crisi esistenziale che la musica contemporanea stava vivendo e anche per via della suo carattere indolente, ne prese le distanze, pur mantenendo enorme rispetto di ciò che poteva rappresentare. Così si gettò con tutto se stesso verso nuove melodie e arrangiamenti, i quali erano arditamente all’avanguardia.
La sua penna si muoveva elegante e sinuosa tra gli spartiti e la sua idea era quella di estremizzare i suoni attraverso tecniche completamente nuove. Se dapprima il suo era un intento stonato, rigido, fatto di musiche assordanti e suoni sperimentali, successivamente non poté fare a meno della melodia: colei che aveva sempre bistrattato ma che sempre tornava più potente di prima, e così, con essa anche le prime collaborazioni assieme a cantanti melodici e autori del Cinema. Le prime esperienze furono derivative: Ennio non si firmava mai con il suo nome, sicuramente per timore che Petrassi e la musica elitaria e colta mal interpretassero questo suo “vendersi” e nuovi orizzonti di visioni musicali.
A suo modo ogni canzone da lui composta aveva la sua forma di genialità e gli arrangiamenti che ne costituivano l’essenza erano un qualcosa di superiore alla concezione stessa di musica da film. Ennio in quegli anni, sul finire dei 50′ e l’inizio del 60′, ebbe un successo enorme e con esso anche molti cineasti e artisti di ogni genere erano bramosi di scoprire cosa avrebbe estratto da quei fogli pregni di note, con grande ammirazione nei confronti di un uomo che sembrava avere già tutto impresso nella sua mente.
Gli anni 60′ e il rapporto d’amicizia con Sergio Leone
La svolta avvenne quando Ennio Morricone incontrò Sergio Leone; pensate: due ex compagni di scuola, in un collegio nel contesto storico fascista, che si ritrovano a distanza di decenni a voler collaborare per la realizzazione di un film per poi diventare amici inseparabili. Leone volle fortemente Morricone a seguito della collaborazione di quest’ultimo a film Western nel 1963, l’anno precedente all’uscita di: “Per un pugno di dollari”. Il rapporto tra i due era di profonda amicizia, altruismo, complicità ma anche talvolta di incomprensione a sfavore di due artisti geniali a tal punto da scontrarsi su scelte stilistiche differenti. Ciò nonostante, quello che ne vien fuori da quelle due immense teste lo conosciamo benissimo noi oggi: architetture artistiche in apparenza semplici e scanzonate ma che in sé racchiudevano scelte premeditate sapienti e con una licidità straordinaria.
Nell’atto di rivalsa e di discolpa nei confronti della musica colta che lo additava di aver tradito la candida purezza che la distingueva, Morricone collaborò con innumerevoli registi dall’enorme blasone durante tutto il corso degli anni 60′, tra questi: Pier Paolo Pasolini, il quale si affidò totalmente alle sue mani, dopo che ascoltò l’idea di Ennio per la melodia di “Uccellini e Uccellacci”, Giuliano Montaldo, Henri Verneuil, Giuseppe Patroni Griffi, Duccio Tessari e i registi Western Sergio Corbucci e Sergio Sollima per i quali musicò colonne sonore dal carattere drammatico mischiato ad uno spirito più divertente, come Ennio dirà: “Mi è sempre piaciuto divertirmi durante la composizione di una musica.” La sua natura di sperimentatore si sposava benissimo con quella da minimalista, figlio anche della contemporaneità, contraddistinta, appunto, da musica con meno sovrastrutture e di conseguenza più libera; libertà donata anche dalla moglie Maria, fedele e innamorata sempre disponibile ad apprezzare i lavori del marito e a lasciarlo esprimere con grande naturalezza al fine di vegliare e tutelare il suo talento.
Ennio traeva ispirazione da qualsiasi cosa che potesse udire e tra il 1966 e il 1968 le musiche del: “Buono, brutto e cattivo e di C’era una volta il West” sono un chiaro esempio di questo suo essere onnivoro e famelico di suoni.
La visione di Leone e il tono sonoro di Morricone danno vita a capolavori, le quali melodie sono talmente seduttive da avvolgerti per non lasciarti andare mai più. In c’era una volta il West, la scelta di inserire in primo piano una voce femminile dal carattere angelico toccando note quasi divine è un atto di ardito coraggio che diverrà di profonda ispirazione per numerosi compositori a seguire. Quelle note così vibranti e vivide nella nostra mente sono costituite dello stesso materiale con cui si erigono i palazzi, ma Ennio e la sua bellezza creativa non utilizzavano semplici mattoni, bensì marmi con i quali si innalzano le cattedrali. Le collaborazioni con Elio Petri sono il prodotto della volontà di Ennio di distaccarsi dal perfezionismo dell’amico Sergio Leone ma anche di inseguire quella sperimentazione che da sempre lo aveva affezionato. Con: “Un tranquillo posto di campagna”, dentro al quale la musica si sostituisce ai colori e “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, Morricone scrisse qualcosa di diverso, ridefinendo ancora una volta la forma contenutistica della musica da film. Le colonne sonore di quei titoli erano note che il compositore aveva scacciato più volte in favore a suoni più spigolosi ma le quali melodie erano sempre emerse, come un qualcosa che seppur repressa, prima o poi, ritorna più forte di prima.
La maturazione e i grandi capolavori
Gli anni 70′ sono contrassegnati dalle collaborazioni di artisti nazionali e non, tra questi ci furono: i fratelli Taviani, i quali poterono controllare tutto tranne la sua musica, Valerio Zurlini, Dario Argento, Bernardo Bertolucci per l’immenso “Novecento”, ma anche Terrence Malick, con il quale, Ennio giocava spesso a scacchi instaurando così un rapporto molto profondo. Grazie a “C’era una volta in America”, Ennio Morricone compone una colonna sonora fatta dei suoi amati silenzi e sospiri esitanti. Una musica che si insinua rovente nei dialoghi dei personaggi divenendo anch’essa dialogo; tant’è che Leone e i suoi collaboratori la vollero inserire durante le riprese del film, sul set. Tutto ciò, coadiuvato dalla presenza tridimensionale di una nota singola, sospesa nel tempo e nell’anima del film, la quale aveva lo scopo non di far vedere e basta l’opera ma anche di percepirla.
Ennio, all’ultima collaborazione con Sergio Leone, causa la sua prematura morte, finalizza una melodia talmente straordinaria da riappacificare persino i suoi detrattori storici: il Maestro Petrassi, con cui aveva comunque sempre avuto stima e rispetto profondi, e tutti i rappresentanti di quella musica che gli aveva voltato le spalle, i quali nulla poterono davanti ad un qualcosa che va oltre il concetto di musica da film; le musiche di C’era una volta in America non entrano semplicemente dentro all’essenza delle cose, ma anzi, ne ricostituiscono una nuova forma. Con “Mission” di Roland Joffè, l’ormai affermato Maestro firma un altro capolavoro. Come egli stesso dirà: “Ho scritto la musica di questo film senza neanche controllarmi”. Una musica arrivata in un momento di crisi professionale per Morricone, che si interrogava su quale piega avrebbe preso la sua carriera, ma più egli prendeva le distanze dal Cinema e più quest’ultimo tornava prepotentemente nella sua mente. Sensibilizzato dalle tragedie accadute agli Indios, Ennio scrisse un tema etnico folkloristico e laico mischiato ad un coro religioso dal carattere divino.
Ciò che ne viene fuori è un’opera non solo colta e sofisticata per via degli innumerevoli rimandi ad autori classici, ma anche talmente bella da definirsi divina mediante un inspiegabile connubio tra Oboe, sonorità portante del film, il dinamismo eccentrico del tema etnico e il divino rappresentato dalla fede e dal credo dei padri gesuiti; tutto perfettamente amalgamato da divenire la massima aspirazione di suono ed immagine attraverso cui la visone ed il genio danno vita ad un’unica anima. Dalle collaborazioni con il regista Giuseppe Tornatore, Ennio Morricone esplora la malinconia, il senso di appartenenza ad una terra o ad una passione: quella di “Nuovo cinema paradiso”, o quella sua per la musica, smodata, de: “La leggenda del pianista sull’oceano”. Sconfinando ulteriori punti di vista, Morricone risveglia nell’anima di tutti energie dormienti, da subito scattanti nel sentire quelle musiche.
Per questi film, compone delle melodie tenere, fatte da note di pianoforte, la quale bellezza ci esorta ad abbandonarci a tale dolcezza e ad esserne inghiottiti, facendo capire che non avrebbe mai lasciato la nave della sua musica. «Devo cercare di realizzare una colonna sonora che piaccia sia al regista, sia al pubblico, ma soprattutto deve piacere anche a me, perché altrimenti non sono contento. Io devo essere contento prima del regista. Non posso tradire la mia musica».
La Fortuna della sua opera
Oggi, la sua musica non conosce mortalità come non conosce luoghi, poiché non c’è posto dove le sue melodie non siano amate e replicate continuamente. Ennio Morricone fu un uomo semplice, sulla quale modestia ci si interroga ancora, nel cercare di comprendere che forza avesse dentro: probabilmente solo Dio lo sa. Un compositore che fu l’eccezione a tutte le regole e grazie al suo genio aiutò a decidere il destino della Musica. Le sue colonne sonore condensarono il suono, l’immagine e la Storia, quella di un uomo innamorato e devoto a persone e passioni, tra queste Musica e Cinema, le quali mai come prima di lui, si incontrarono in questa maniera; lo stesso Ennio inizialmente influenzato dal fatto che la musica da cinema non fosse all’altezza di quella colta, in seguito si convinse del contrario, e questo, grazie a lui. Quentin Trantino teneramente innamorato delle sue melodie gli fece ottenere l’oscar con il suo film: “The Hateful Eight” e così disse una volta: “Ennio ha ampliato la mia visione!”
Ennio fu la quiete che mette d’accordo le note stonate, l’incarnazione della della Musica stessa, la quale non resiste al distacco, anzi, riemergerà più e più volte sempre più forte come la sua carriera ha ampiamente dimostrato; qualcosa che non si può arginare né contenere, un estro creativo dal carattere indomabile. Bernardo Bertolucci, dirà: “La sua musica è l’unione tra la prosa e la poesia”, la conflittualità tra normalità ed eccezionalità, la secondo conseguenza naturale della prima. Quando senti la sua musica pensi che ci sia stata una mano più grande e più in alto a muoverla, o che la stessa, smuova gli animi a tal punto da arrivare anche lassù nel cielo; al tempo stesso questa dimensione divina si fa umana attraverso le tante genti innamorate e ispirate da quelle melodie immortali, colonne sonore della vita di tanti, profondamente traversali da coinvolgere tutto e tutti: umano e divino.
Morente, nel suo testamento, Morricone scrisse: “Non voglio disturbare”. Eppure ognuno di noi deve ringraziarlo per essere costantemente disturbato, ogni giorno, dall’opera di Ennio Morricone, la sua vita, la sua carriera, una pagina bianca riempita, dalla quale ci si può sempre rincuorare, alla ricerca di cosa? Lui se lo chiedeva, noi ce lo chiediamo e intanto ascoltiamo.
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