Allo scadere del Novecento, con particolare attenzione al periodo tra 1997 e 1999 – atto conclusivo del millennio, che avviava verso il nuovo – parte di ciò che il cinema riusciva ad intercettare (non solo in Occidente, basti pensare alle conseguenze socioculturali dell’handover ad Hong Kong) era il velato malessere di un’epoca di transizione, solo all’apparenza serena e stabile. Anni di tumulti interiori, di smarrimento prodotto da un contesto storico effervescente e, forse, non ancora pronto a cambiare. David Cronenberg, per raccogliere il massimo da quel clima, rievocherà il glorioso passato, chiamato Videodrome, rielaborandolo e adattandolo per i nuovi tempi. Dalla TV, quindi, ai videogiochi, fino quel momento materia non ancora affrontata adeguatamente ed esaustivamente sul grande schermo, quasi totalmente fuori dal dibattito culturale.
L’idea, l’antefatto, è ben noto e risale al 1995, ad un’intervista che Cronenberg fece a Salhan Rushdie, autore oggetto di critiche – oltre che di un fatwa contro la sua persona – per via di un suo testo, I versi satanici, ritenuto blasfemo. In quell’incontro si parlò anche di videogiochi, non ritenuti da Rushdie contenuti di valore artistico. Cronenberg non era totalmente d’accordo ma l’argomento, se associato alla condizione dal saggista indiano, si prestava per qualcosa di stimolante. Nacque così eXistenZ, ancora attualissimo, tra le opere che meglio hanno saputo prevedere il futuro, il nostro tempo.
Figli di un tempo a metà
Fine millennio, si diceva. Non è un caso che nel 1999, oltre ad eXistenZ, esca Matrix – e in quegli anni anche Apri gli occhi, The Truman Show, The Game o Il tredicesimo piano, tra i tanti – altro, e ben più celebre, titolo sul concetto di realtà simulate e virtuali. Non è casuale perché anche se diversi, soprattutto per poetica e idee filmiche, i due lungometraggi condividono tematiche e sotto testi per via dibquel preciso zeitgeist, caratterizzato da ansie, panico – soprattutto per quel tanto temuto Millennium Bug – e di una paranoia diffusa a tappeto. I tempi cambiavano, le certezze crollavano e la velocità delle mutazioni socio-economiche e politiche confondeva. La realtà stessa diventava incerta e il quotidiano era messo in crisi.
Una modernità liquida, teorizzata da Bauman, che nella sua fluidità diventava sempre più inconsistente ed effimera, addirittura inaccessibile anche se vissuta in prima persona. Può, allora, essere la vita invero una simulazione così ben fatta da essere indistinguibile dalla realtà? Si ha la certezza, come da mito della caverna di Platone, su ciò che si vede? Parte da qui – e per certi versi ci ritorna, rendendolo punto di partenza e di arrivo – il ragionamento di Cronenberg e i medium videoludico pare il mezzo più indicato per esporlo per la sua capacità di alterare le percezioni e ricreare sub-realtà sempre più vicine al vissuto concreto. C’è ovviamente Dick e un po’ di Ballard, c’è un cyberpunk ancora vivissimo ma in eXistenZ tutto questo è rielaborato da un autore con uno stile e un marchio di fabbrica più che riconoscibile, che, tra l’altro, aveva già da anni iniziato a ragionare a riguardo.
Umano non umano
Con eXistenz il cineasta canadese torna alla fantascienza, con prospettive leggermente più commerciali, dopo l’esperienza esagerata (nel miglior senso possibile) di Crash. Sci-fi contaminato dal thriller che segna un momento fondamentale nella sua carriera, chiudendo simbolicamente il cerchio iniziato con Videodrome e la televisione – e ripreso solo un ventennio dopo con Crimes of the Future, dopo una serie di produzioni meno legate al body horror – e concluso con l’esperienza mediatica definitiva, il videogioco. Una crisi esistenziale fatta di spaesamento e disorientamento che porta così dal lodare la nuova carne al protestare contro il demone videoludico.
Fantascienza e modelli già abbastanza rodati, specie nel decennio precedente e in quel momento nuovamente di moda, che Cronenberg piega alle sue idee. Così l’immaginario fatto di neon, tecnologie futuristiche e mezzi meccanico-robotici viene sovvertito. Non più macchina che rimpiazza, estende il corpo, ricrea l’uomo e si umanizza a sua volta. Qui è già essa stessa organica; come sempre per l’autore, tutto parte dal corpo.
Al centro di tale visione i pod bio-organici (come essi, anche se di minore importanza, le pistole osse e cartilaginose), co-dipendenti dal corpo umano perché da una parte da questo traggono alimentazione, mentre dall’altra in esso, attraverso le bio-porte – canali lombari che creano collegamenti cerebro-spinali – innestano il gioco, il sogno lucido virtuale. Da questi elementi deriva la componente carnale e l’immancabile carica erotica, da fessure erogene eccitate e cordoni da lubrificare per una fluida penetrazione. Un erotismo mai consumato fino in fondo ma sempre pulsante.
Organico e come tale soggetto ad alterazione: il pod, e per estensione l’intero gioco, catturano stati psicologici e fisici dell’individuo per generare nuovi mondi. E allora, forse, se i pod si ammalano è perché i veri malati sono i fruitori e l’infezione, fisica o psichica, arriva dall’uomo deviato. Non ci si può fidare neanche del proprio corpo, unico contatto rimasto con il reale ma anch’esso manipolato perché legato al mezzo tecnologico. Così esterno ed interno si legano a doppio filo, i diversi piani si contaminano e la distinzione tra vero e falso, nonché i tra “livelli” stessi, si fa sempre più ambigua. Diventa difficile comprendere le differenze con un’identità virtuale che è pressoché identica a noi, al vissuto pratico. Chi siamo noi e chi sono loro? Col senno di poi, eXistenZ parlava già venticinque anni fa di una condizione che tocca da vicino il nostro presente.
Chiusa una bio-porta si apre un bio-portone
Avanziamo a tentoni in questo mondo informe, i cui obiettivi e regole sono largamente sconosciuti, apparentemente indecifrabili, e siamo sempre sul punto di essere uccisi da forze che non comprendiamo.
Le parole pronunciate dal Ted di Jude Law in riferimento ad eXistenZ potrebbero senza troppi sforzi sembrare riferite al vissuto extra-gioco. “È il gioco che ognuno sta già giocando” replicherà Allegra, dichiarando apertamente che i domini di realtà e finzione sono facce della stessa medaglia e se questa inizia a girare rischiano di diventare indistinguibili. Il mondo virtuale mostrato è talmente plasmato sulla vita vera al punto da essere diventato esso stesso una delle tante realtà.
E Cronenberg, dal canto suo, sembra divertirsi (quasi un dio-creatore come lo sviluppatore-burattinaio) nel confondere e depistare all’interno del suo incastro di scatole cinesi, esso stesso un gioco interattivo: fotografia e scenografie uniformi e uguali in ogni stadio, un montaggio attento ed equilibrato per non essere troppo aggressivo o sfumato, perché i confini tra le “realtà” devono essere labili per spettatore e personaggi.
Un reale che in eXistenZ è sia rappresentato che deformato, sia simile e familiare che disturbante e lontano, sia intimo che estraneo. Luoghi, oggetti e storie che abitano diverse zone di intermezzo, non-dimensioni, né reali né finte, nella quali ognuno di essi (e di noi) appare vero quanto finto. Nella quale non vigono le regole del senso ma prevale il dubbio. Ad una seconda visione, però, ecco che gli indizi saltano fuori, ecco che i nomi e gli oggetti trovano nuovo e maggiore senso, si evidenziano i contatti tra le realtà e appare molto precisa e coerente una sceneggiatura che può sembrare, almeno superficialmente, più un divertissement senza logica. Anche se, a conti fatti, è forse la vita stessa forse ad esserne priva.
Dentro la trascendenza, fuori dall’esistenza
Quello di eXistenZ, film e gioco, è più un presente alternativo che un futuro segnato dallo scintillio delle macchine. È un umanità spenta e in dissoluzione perché «nessuno scia più realmente», perché il realismo è ormai decaduto; una vita post-moderna e post-umana nella quale gli stimoli sono controllati dal potere di terzi, dalle aziende videoludiche, in questo caso, che hanno messo fine al caso, all’eventualità, allo stesso libero arbitrio – nel gioco-vita-film non è possibile andare avanti senza pronunciare parole necessarie per proseguire; molte delle azioni compiute in-game non nascono da una scelta ragionata e volontaria ma sono automatizzate.
L’esistenza è tale perché portata avanti da desideri, ricerca di sensazioni e costante volontà d’evasione e di esperienze trascendentali (dopo l’eXistenZ, la trasCendenZ), che qualcuno ha intercettato e ha venduto, sostituendo la vita con un suo surrogato – in un momento in cui le simulazioni e i giochi di ruolo per eccellenza, i social network, non erano ancora all’ordine del giorno. L’uomo ha solo l’illusione del controllo quando invece sta pian piano diventando l’NPC (Non-Playable Character) della sua stessa esistenza.
Così oggi eXistenZ appare ancora più terrorizzante perché profetico, in grado sia di interpretare le paure del suo tempo che di anticipare temi attualissimi come le intelligenze artificiali, metaversi e identità online frammentate. E lo fa con un linguaggio e una narrazione che prende a piene mani dal medium in questione, il videogioco, per indagarne l’influenza nella nostra civiltà. E alla fine, ciò che resta da chiedersi, criticamente e attivamente, è sempre se siamo ancora dentro il gioco. Se siamo mai usciti da eXistenZ e se mai ne usciremo.
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