Tante volte si attribuisce al cinema la capacità di prevedere il futuro. L’attività divinitoria e premonitrice in grado di anticipare e mostrare al mondo cosa verrà. Ma, per quanto affascinante, è tutto falso. Il cinema, come ogni forma d’espressione, è figlio del suo tempo. Dell’humus culturale in cui crescono e si sviluppano i suoi autori e le persone che contribuiscono a crearlo. Eppure osservando il titolo e il soggetto del nuovo film di Alex Garland, il dubbio che l’autore inglese abbia provato a lanciarsi in una previsione sul prossimo futuro degli Stati Uniti sorge spontaneo. Ma, come vedremo nella nostra recensione di Civil War, in uscita nei cinema italiani il 18 aprile, l’operazione è di ben altra natura.
Genere: Bellico
Durata: 109 minuti
Uscita: 18 aprile 2024 (Cinema)
Cast: Kirsten Dunst, Cailee Spaeny, Wagner Moura, Stephen McKinley Henderson
Road to Washington
Nessuna previsione del futuro dicevamo e infatti Civil War non fa nulla per proiettarsi in avanti. Con un memorabile incipit in medias res, che per potenza ricorda quello di Alba Rossa di Milius, Garland ci cala in un contesto con i piedi ben piantati nel presente. Gli Stati Uniti si trovano in piena guerra civile, con California e Texas che si sono rivoltati contro il governo centrale, capeggiato da un Presidente che si è coercitivamente fatto confermare per un terzo mandato. Il conflitto è ormai agli sgoccioli, con i ribelli che sono a un passo dalla vittoria. Per questo un gruppo di giornalisti vuole recarsi a Washington per immortalare lo storico momento e strappare qualche parola al Presidente prima della sua caduta.
Garland decide di evitare ogni nome o possibile riferimento diretto – anche se non è difficile scorgere alcuni parallelismi – a fatti o persone reali. Anzi, dalla situazione politica o dalle origini del conflitto rimane volutamente distante. E la scelta di seguire un gruppo di giornalisti è la conferma assoluta della sua volontà di concentrarsi sul “qui e ora” del suo stesso racconto distopico. Per farlo sceglie una struttura narrativa lineare. Un road movie, in cui per ogni tappa dei personaggi corrisponde un nuovo punto di vista – o, meglio, un nuovo livello di stratificazione – per lo spettatore. Un contesto dove potenzialmente poteva mancare un gancio emotivo.
Ma Garland, da sceneggiatore navigato qual è, previene il tutto inserendo una sotto-trama in grado di tirare trasversalmente lo spettatore dentro la storia. Insieme al gruppo di giornalisti si unisce Jessie (Cailee Spaeny), giovane ragazza col sogno di fare la fotoreporter che ha da sempre come proprio punto di riferimento “professionale” Lee (Kirsten Dunst), anch’essa membro della spedizione. Il rapporto tra le due, aiutato da una grande prova di entrambe le interpreti – a cui si aggiungono un Wagner Moura in spolvero e un sempre memorabile Jesse Plemons – segue il topos che abbiamo imparato a conoscere da Lone Wolf and Cub, passando per La Strada e arrivando a The Last of Us e che più di ogni altro sta influenzando il panorama narrativo contemporaneo.
Cinema Verità
Il sociologo e filosofo francese Edgar Morin, chiamato a chiarire la sua definizione di “Cinema Verità” una volta si espresse in questo modo: “Si tratta di fare un cinema verità che superi l’opposizione fra cinema romanzesco e cinema documentaristico, bisogna fare un cinema di autenticità totale, vero come un documentario ma col contenuto di un film romanzesco“. Alex Garland, tornando a quanto accennavamo all’inizio della nostra recensione, è un figlio del suo tempo. Guarda con i propri occhi inglesi la realtà che lo circonda. E il frutto di questa visione è Civil War.
Non un film su una possibile guerra civile del futuro. Un film sulla guerra civile attuale, dovuta alla spaccatura sociale e politica interna agli Stati Uniti e, forse, a tutto il mondo occidentale. Non è un caso quindi che il punto di vista scelto sia quello neutrale del giornalismo, con il ritmo dettato dai singoli scatti di una macchina fotografica analogica in bianco e nero. Come non è un caso che in molte fasi il linguaggio per cui opta Garland sia quello documentaristico, con tanto di fedele e straordinaria ricostruzione bellica del sonoro.
Allo stesso tempo però c’era la necessità, per fini didascalici ma pure commerciali, di portare questa sommersa guerra civile agli occhi del pubblico. Da qua la scelta di arrivare alle estreme conseguenze e di sfruttare tutti i mezzi e i trucchi cinematografici – il romanzesco, per riallacciarci a Morin – per mettere in scena un vero conflitto. Così cambia e si stratifica anche il linguaggio scelto. Richiami evidenti al mondo dei videogiochi, con scene intere che sembrano uscite dai migliori capitoli di Call of Duty. Dall’unione di queste due anime nasce Civil War, il cinema verità secondo Alex Garland.
Il coraggio come tratto distintivo
Tiriamo fuori un dato che può tornarci utile in questa nostra analisi. Civil War, con un budget attorno ai 50 milioni di dollari, è il film più costoso della storia di A24. Il guanto di sfida – o quantomeno il primo – della casa di produzione “indipendente” nei confronti delle grandi major. A conti fatti si tratta di un film incentrato su una guerra civile americana distribuito a circa sei mesi dalle elezioni negli Stati Uniti che vedranno contrapposti Donald Trump e Joe Biden, a 4 anni dai fatti di Capitol Hill.
E proprio la scelta di Garland di guardare il tutto attraverso i neutri obiettivi dei giornalisti – nonostante i didascalismi (a tratti eccessivi) rivelino in alcuni punti delle prese di posizione nette – rende Civil War un’opera potenzialmente ambigua e vendibile a entrambi gli schieramenti. Un oggetto che sulla carta potrebbe ricevere elogi o critiche tanto dallo spettatore liberal quanto da quello trumpiano. E proprio per questo è così affascinante nella sua non completa decifrabilità.
Allora in un periodo in cui a proliferare sono le opere innocue in cui le major puntano sul sicuro, con politiche creative e produttive che cercano di non scontentare nessuno, ben venga la scelta di A24 che tenta il suo assalto al potere centrale intraprendendo la via opposta. Nessun timore di essere troppo provocatori o divisivi. Nessun obiettivo divinatorio nel tentativo di capire dove andrà il mercato. D’altronde, se deve essere una sfida allora è bene armarsi di coraggio. E questo Civil War è il film più coraggioso dell’anno. Anzi, del decennio.
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La recensione in breve
Il Civil War di Alex Garland non è un tentativo di sguardo verso il futuro. Piuttosto una rappresentazione dell'attualità che cerca di unire il documentaristico e il romanzesco. Una sua versione di cinema verità, in cui lo sguardo prediletto è quello neutrale del giornalismo. Nonostante non manchino eccessi di didascalie che rischiano di far crollare il castello di carta, non si può che premiare quello che nell'innocuo panorama delle grandi produzioni di oggi sembra un vero e proprio atto estremo di coraggio.
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Voto Screenworld