C’è una cosa di cui noi italiani ci lamentiamo spesso. Per una volta a giusta ragione, perché non è solo un capriccio. Di che parliamo? Della nostra storica incapacità di valorizzare le proprietà intellettuali made in Italy. Ci danniamo l’anima per il mancato sequel di Lo chiamavano Jeeg Robot, ci sorprendiamo se una saga come Smetto quando voglio azzarda uno spin-off a fumetti e facciamo il tifo per l’ambizioso Bonelli Cinematic Universe, inaugurato da Dampyr ormai tre anni fa.
Tutto vero, tutto giusto. Il rammarico è legittimo. Però, forse, il nostro sguardo è miope. Perché guardando bene, scavando nel polveroso archivio delle opere italiane capaci di diventare “franchise”, una perla la troviamo eccome. Il suo nome è Rigor Mortis, è scritto su una vecchia pergamena logora, ed è la stramba creatura di Riccardo Crosa. Fumettista e autore duttile come pochi, negli anni Novanta Crosa dà vita a una saga a fumetti chiamata, appunto, Rigor Mortis. Ovvero il nome dell’oscuro signore del Male (un mago tracotante e grottesco come pochi) protagonista di una serie di avventure sempre sospese tra lo scanzonato, l’irriverente e il malinconico.
In principio era Rigor Mortis
Inizialmente pubblicate per Stelle & Strisce, Magic Press e Stratelibri e ora finalmente raccolte in una bellissima edizione di cartonati per Editoriale Cosmo, le storie di Rigor Mortis trasudano amore per il fantasy da tutti i pori. Crosa conosce bene la materia e gioca con gli archetipi del genere con una disinvoltura invidiabile. Lo fa regalando avventure epiche a personaggi goffi e creando irresistibili cortocircuiti.
Leggendo i suoi fumetti hai la sensazione di essere dentro una locanda affollata (e un po’ lercia), seduto con un Tolkien un po’ alticcio, giocando a Dungeons & Dragons con una buona birra la tra le mani. Ecco perché Rigor Mortis non poteva certo rimanere confinato tra le tavole di un fumetto. E così, come per magia, eccolo trasformarsi ed entrare in ben due giochi di carte (l’amato Sì, Oscuro Signore e il dinamico Looterz) e un gioco da tavolo: Kragmortha. Ecco un fantasy tutto italiano che diventa franchise crossmediale.
E non è finita qui. Perché da qualche settimana Rigor Mortis è diventato anche un romanzo: La Spada del dramma. Primo atto della saga Le Terre Senza Estate, edito da Pendragon Game Studio. Come è stato leggere le sventure di Riccardo Crosa senza i suoi amati disegni? Come se la passa Rigor Mortis raccontato solo a parole? Noi ci siamo immersi nelle umide atmosfere di Mor Ankharas e questo è il diario del nostro viaggio.
Quest è il dilemma

Kragmortha. Sulle costa della Vasta Pianura Collinosa sorge la città portuale di Mor Ankharas. Qui abita il prode Romolo, ragazzone ingenuo dal cuore buono e dal pessimo fiuto per gli affari. Il suo compagno di avventure, infatti, è il (tutt’altro che) fidato Rigor Mortis, mago dal bianco volto scheletrico che lo coinvolge di continuo in disavventure più grandi di entrambi. Una di queste conduce entrambi all’interno di una torre diroccata e sperduta alla ricerca di una spada dai grandi poteri.
Peccato che quel potere non sia certo uno dei più portentosi e gradevoli mai esistiti. Non vi diciamo altro, per non rovinarvi il piacere di scoprire le trovate che Crosa sparge nel libro. Idee curiose, strambe, originali, molto divertite e soprattutto molto divertenti. Il tutto senza trascurare un’interessante struttura narrativa. La Spada del Dramma, infatti, contiene singole avventure, vere proprie quest che portano Romolo ad andare a caccia di artefatti, persone e luoghi, ma allo stesso tempo inizia a costruire una tela più grandi.
Come detto, il romanzo di Crosa è il primo atto della saga de Le Terre Senza Estate, e questa convivenza tra capitoli brevi “autoconclusivi” e continuity globale (con tanto di finale aperto) è gestita davvero bene. Un’alternanza che si rispecchia anche nel tono del racconto, in perfetto equilibrio tragicomico. Con lo scorrere delle pagine, La Spade del Dramma assomiglia sempre più a un cielo che si incupisce e riempie di nubi oscure.
Delle matite facemmo penne

La prima metà del libro è più ironica, leggera, a tratti quasi irriverente nei confronti di tanti stilemi del fantasy (la rivalità tra razze, la fissazione per la magia e Romolo che sembra il classico avventuriero smargiasso), mentre la seconda si carica sempre più di pathos e tensione, sconfinando anche in un’azione a tratti sanguinolenta. Tutto dentro un’atmosfera plumbea, decadente, quasi marcia, che ti fa quasi sentire il rumore della pioggia battente su tetti e mantelli. Merito di una scrittura fluida, meticolosa e mai pesante. Unica, piccola macchia? Forse alcuni nomi (di luoghi e persone) troppo arzigogolati e ostici da ricordare. Bazzecole, insomma.
Riccardo Crosa è un abile narratore. Questo lo sapevamo dai tempi dei fumetti di Rigor Mortis. Però, non era certo scontato che un fumettista come lui lasciasse il segno anche senza il segno. Ovvero i suoi bellissimi disegni. Il tratto di Crosa, evoluto negli anni, è sempre stato parte integrante delle sue storie. Il suo stile grottesco, le espressioni dei suoi personaggi e il character design dei suoi protagonisti raccontavano senza bisogno di parole. E invece, ecco una scrittura a immagine e somiglianza di quei disegni: sintetica, espressiva, ficcante. Da abile narratore, Crosa intrattiene, incuriosisce e appassiona con un romanzo descrittivo, senza mai diventare ridondante, attento al dettaglio senza mai sconfinare nel prolisso.
Certo, il vecchio amore non viene abbandonato, visto che ne La Spada del dramma sono presenti una ventina di illustrazioni in bianco e nero, che ogni tanto irrompono a tutta pagina per raffigurare corpi, luoghi e atmosfere del romanzo. Sono piccoli squarci illustrati che accompagnano un fantasy tragicomico che, dietro tante peripezie a tratti goffe, nasconde anche un velo di malinconia. Visto che racconta di persone alla ricerca di gloria, o forse soltanto di un briciolo di amore e compagnia.
Conclusioni
La Spada del Dramma aggiunge un nuovo tassello nella folta mitologia di Rigor Mortis. La saga di Riccardo Crosa passa del fumetto al romanzo con grande disinvoltura, senza perdere smalto. Ci riesce grazie a un perfetto equilibrio tra ironia ed epica fantasy, che non diventa mai farsa fine a se stessa.
The Good
- Un fantasy originale e fresco
- Una scrittura piena di dettagli, ma sempre scorrevole
- La struttura narrativa che alterna episodi singoli e continuity
The Bad
- Alcuni nomi di personaggi e luoghi possono risultare ostici da ricordare
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Voto ScreenWorld