Quando si parla di animazione, si tende spesso ad orientare l’occhio verso due orizzonti ben definiti: da un lato, verso l’avanguardia, le tecnologie e la potenza titanica dell’industria statunitense. Dall’altro, verso la sensibilità delle grandi opere del cinema giapponese, sempre di più al centro di un crescente interesse del pubblico, grazie soprattutto al galoppante sviluppo dell’universo degli anime. Un atteggiamento meno frequente da parte nostra è invece quello di guardare direttamente in casa, e accorgerci che il mondo animato Europeo ha saputo costruire le basi per raggiungere una fattura tale da non avere nulla da invidiare a Stati Uniti e Giappone. Perché se è vero che questi due giganti dell’animazione possiedono il seguito e i mezzi che giustamente si meritano, bisogna altresì riconoscere che le pellicole animate del nostro cinema vantano, nella maggior parte dei casi, una qualità davvero pregevole.

A dimostrazione di ciò, abbiamo Il mio amico robot, di cui vi parleremo in questa recensione, l’ultimo lavoro di Paolo Berger presentato in anteprima al Festival di Cannes del 2023. Il film co-prodotto da Spagna e Francia ha ottenuto una nomination nella cinquina di miglior film d’animazione agli scorsi Oscar, competendo con opere del calibro di Spider-Man: Across the Spider-Verse e il vincente Il ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki. A nostro avviso, però, senza avere nulla per cui impallidire di fronte a questi due mostri sacri.

Il mio amico robot (Robot Dreams)
Genere: Drammatico
Durata: 90 minuti
Uscita: 4 aprile 2024 (Cinema)
Regia: Paolo Berger
Produzione: Spagna, Francia

New York anni ’80

Dog e Robot a Central Park – © I Wonder Pictures

Anni ’80. La fine dell’estate sta avvolgendo una New York interamente popolata da animali. Dog conduce una vita monotona e solitaria, all’interno del suo appartamento nella metropoli d’Oltreoceano. Una sera, guardando uno spot pubblicitario in televisione, decide di comprare un robot da cui nascerà una forte amicizia. I due condivideranno ogni momento della loro quotidianità, colorata da pattinate a Central Park sulle note di Semptember degli Earth, Wind & Fire, hot dog e visioni de Il mago di Oz.

Tuttavia, dopo una giornata trascorsa a Coney Island e nel pieno incanto del loro rapporto, Robot rimane bloccato a causa di un guasto. Il mattino seguente, quando torna con gli attrezzi per cercare di ripararlo, Dog trova Robot imprigionato nella spiaggia dell’isola newyorchese, dal momento che esattamente in quello stesso giorno è stata chiusa con data di riapertura fissata per la successiva stagione estiva. Costretti a rimanere separati, i due amici dovranno fare i conti con la loro solitudine, e con una Grande Mela intrisa di avidità, in attesa di ritrovarsi.

Animazione semplice ma non semplicistica

Il mio amico robot, una scena del film – © I Wonder Pictures

Se c’è un da trovare un grande punto di forza all’interno dell’ultima fatica del regista spagnolo di Blancanieves (2012) e Abracadabra (2017), posiamo dire che Il mio amico robot conserva al suo interno una ricerca di un modo di fare cinema primordiale, in grado di parlare unicamente per suoni ed immagini. Perché ciò che contraddistingue questo film candidato all’ultima edizione degli Academy Awards è la totale assenza di dialoghi, motivo per cui a trovare un grande spazio nella pellicola è l’espressività dei personaggi, tra le loro ansie, paure ed insicurezze.

Se questo può far presagire agli spettatori più diffidenti la presenza di una narrazione lenta e dilatata, in realtà il ritmo è perfetto e perfettamente scandito dalle musiche che fanno eco alle vibrazioni di una New York immersa nel suo splendore e nel suo degrado. Paolo Berger decide di trasporre l’omonima graphic novel di Sara Vanon ricorrendo ad una tecnica nostalgica, capace di cogliere le pulsazioni degli anni ’80. Un 2D vintage e tradizionale, semplice ma mai semplicistico.

Come affrontare la solitudine

Il mio amico robot, una scena del film – © I Wonder Picture

Nonostante una trama semplice ed uno stile non particolarmente innovativo, seppur estremamente solido, il cuore de Il mio amico robot risiede nella sua straordinaria capacità di raccontare relazioni che si creano e che si perdono, e che in qualche modo poi restano, senza però sfruttare alcun tipo di escamotage consolatorio. Paolo Berger, insieme ai suoi collaboratori, sa pienamente come trattare il suo pubblico, e come arrivare ad esso attraverso una consapevole coerenza di toni e di linguaggio.

Perché dietro alla tenerezza delle sue situazioni che attingono a piene mani dal più semplice canovaccio di una canonica storia di amicizia, il film rivela un cinismo capace sia di toccare le corde più malinconiche dello spettatore adulto, e allo stesso tempo di rivolgersi ai più giovani ponendo l’attenzione su discorsi di estrema sensibilità come la solitudine, l’abbandono, l’emarginazione e il bisogno di andare avanti, ritraendo la società degli anni ’80 con uno sguardo proiettato verso nostri tempi. Il mio amico robot si è mostrato come una delle più piacevoli sorprese animate degli ultimi anni. Nei cinema italiani dal 4 aprile 2024 grazie a I Wonder Pictures.

La recensione in breve

8.0 Solido

Il mio amico robot si è rivelato come una delle più piacevoli sorprese animate degli ultimi anni. Un film che conserva al suo interno un modo di fare cinema solido ed efficace, in cui la totale assenza di dialoghi lascia spazio alle immagini e all'espressività dei personaggi.

  • Voto ScreenWorld 8.0
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Nato nel 2003, durante l'adolescenza si appassiona al cinema grazie ai film di Alfred Hitchcock. Nel 2023 comincia a scrivere sulle reti di ScreenWorld.it e CinemaSerieTv.it, e tre anni prima co-fonda il podcast "Sbatti il mostro in prima pagina", di cui è tutt'ora voce e mente editoriale. Non sapendo cosa fare nel suo tempo libero (ammesso che ne abbia, di tempo libero), si reca quotidianamente in Università, dove segue il corso di Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo. Ogni suo anno ruota attorno alla Mostra del cinema di Venezia.