Se avete visto il trailer di Inside Out 2, lo sapete benissimo. Se non lo avete visto, forse lo sapete lo stesso. Perché sicuramente avrete notato che nelle ultime ore i social sono stati invasi da un nuovo idolo delle masse color arancione. Stiamo parlando di lei, la nuova emozione partorita da mamma Pixar nel primo trailer di Inside Out 2: sua maestà l’Ansia. Sì, perché nel sequel (in arrivo a giugno 2024) di uno dei film animati più significativi e amati degli ultimi anni la protagonista Riley è cresciuta rispetto al primo film.
La ragazzina è ormai un’adolescente assai inquieta che viene invasa da emozioni nuove, tra cui questa piccola creatura leggermente schizzata con gli occhi a palla che è diventato subito un idolo, un meme. Quelli più gettonati? Quelli che fanno rima con “ma parla di me” o “ma sono io!”. Insomma, un processo di identificazione a presa rapida con l’Ansia. Quindi quei furboni della Pixar hanno fatto una scelta molto ruffiana, perché l’ansia va di moda. Forse perché tanti di noi soffrono di ansia e si riconoscono in questo sentimento. Ma come mai abbiamo così tanto bisogno di ansia anche nelle storie che guardiamo? Proviamo a capirlo insieme.
Al centro dell’attenzione: BoJack Horseman
La pandemia ha scoperchiato un vaso di Pandora. Dentro c’erano patemi spesso taciuti, che dopo il lockdown sono esplosi senza vergogne o stupidi pudori. Eppure, molto prima che il Covid entrasse nelle nostre vite, un cavallo aveva già messo le cose in chiaro. Perché, quando si parla di ansia, non si può non guardare nella bocca di di BoJack Horseman. La serie animata Netflix resta davvero una delle più scrupolose indagini all’interno della psiche umana, anche se stiamo parlando di un cavallo. Lo show sfiora temi come l’ansia, la depressione e la sociopatia con un cinismo e una lucidità davvero incredibili. E lo fa con un tatto e una profondità di scrittura davvero rari nel mondo della tv (figuriamoci dell’animazione).
Tutto parte da un ex celebrità ormai sulla via del tramonto. Una star dimenticata e sola, che elemosina amore senza riceverne mai davvero. È facile vedere in BoJack una grande metafora delle nostre vite social. Noi e il nostro voler essere spesso al centro dell’attenzione. Noi e il nostro costante bisogno dell’apprezzamento di emeriti sconosciuti. Noi e il nostro sentirci sempre su un palco virtuale e magari poi essere costantemente sotto pressione per la ricerca di consenso a suon di like e cuoricini. Questo crea inevitabilmente delle pressioni sociali fortissime che BoJack Horseman ha ovviamente esasperato, ma sicuramente il fatto che tutti noi attraverso dei social abbiamo la percezione di essere diventati protagonisti del grande show della nostra vita con un pubblico pronto a giudicarci ha reso l’ansia una compagna di vita fedele. Sempre al nostro fianco.
Ansia da prestazione: The Bear
E a proposito di pressioni sociali e di ansia da prestazione, crediamo non ci sia una serie tv più attuale, schietta e contemporanea di The Bear. Ovvero una delle serie meglio scritte, girate e montate degli ultimi 10 anni.
The Bear racconta la storia di un giovane chef abituato all’alta cucina, che dopo la morte di suo fratello viene chiamato a gestire il suo locale: ovvero una paninoteca abbastanza sfigata di Chicago. Incredibile come tutta la serie sia scritta e montata per creare davvero uno stato d’ansia non solo nei personaggi, ma soprattutto nello spettatore stesso. Ritmo serrato, montaggio frenetico, scrittura verbosa piena di voci che si sovrappongono. La cucina diventa quasi un campo di battaglia pieno di rumori e caos in cui il protagonista è sempre sotto pressione, perché deve dimostrare di riuscire a farcela. A se stesso, agli altri e ai fantasmi della sua famiglia che lo infestano.
Carmy, il protagonista di the Bear, incarna davvero una generazione intera di 30enni cresciuti con una specie di sindrome dell’impostore e con un’insicurezza quasi esistenziale, che sfocia sempre nell’ansia di non farcela e nella paura di deludere gli altri. Una precarietà lavorativa in primis, ma che diventa presto anche un’inclinazione emotiva che tende all’autodistruzione.
Gioventù bruciata: Euphoria
Finora abbiamo visto l’ansia trattata da serie che esplorano il mondo adulto, ma come ci suggerisce Inside Out 2 l’adolescenza resta l’habitat naturale per questo sentimento. E forse c’è una serie tv che abbia rappresentato le insicurezze e i disturbi dell’adolescenza meglio della bellissima Euphoria. Mentre altre serie tv come Sex Education hanno affrontato i patemi dell’adolescenza sempre avuto quella patina da commedia teen, Euphoria ci è andata giù pesante col suo stile crudo, spietato e senza filtri. Lo ha fatto con uno stile viscerale e senza compromessi, buttandoci addosso e in faccia i malesseri di una generazione con un profondo male di vivere.
Euphoria è piena di attacchi di panico violenti, di malesseri molto profondi che portano l’adolescenza su un terreno nuovo. Non si parla solo del solito bullismo, ma anche del rapporto col proprio corpo, delle insicurezze esistenziali e della difficoltà di trovare posto in un mondo sempre più complesso, veloce e spietato.
Ecco, Euphoria è davvero la voce o meglio l’urlo della Generazione Z. Quella che vuole vivere fuori dai binari imposti dalla società (molto più dei millennial), quella vuole sentirsi più libera dai canoni e dalle pressioni che la società impone loro. Una pressione che si tramuta in un male di vivere quasi irrisolvibile. E allora, forse, siamo davvero fatti della sostanza di cui è fatta l’ansia. Ed ecco che riconoscerci in personaggi simili a noi ci rassicura e ci piace, perché normalizza un malessere troppo spesso covato e taciuto.
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