È stata la sorpresa seriale del 2022, diventando immediatamente un piccolo cult. Pur non potendo contare né su nomi o volti particolarmente noti al grande pubblico né su tematiche modaiole e furbette, The Bear si è fatta conoscere dal pubblico di tutto il mondo soltanto grazie ai consigli dei critici e al passaparola del pubblico più smaliziato: merito della qualità di scrittura, di un montaggio e una regia fuori scala, del talento di tutti i suoi interpreti.
Poteva rimanere un caso isolato, un gioiello nascosto all’interno del variegato (e anche un po’ schizofrenico, diciamolo) catalogo di Disney+, e invece dal 16 agosto si affaccia anche sul territorio italico una seconda stagione che rappresenta un ulteriore passo in avanti da ogni punto di vista. Anzi, come vedremo in questa recensione di The Bear 2, si tratta dieci episodi che davvero rasentano la perfezione e che finiscono quasi col rappresentare quell’eccellenza a cui ispirano di continuo gli stessi protagonisti della serie.
Genere: Dramedy
Durata: 10 episodi – da 26 a 65 minuti
Uscita: 16 agosto 2023 (Disney+)
Cast: Jeremy Allen White, Ayo Edebiri, Ebon Moss-Bachrach, Lionel Boyce e Liza Colón-Zayas
The Bear 2: Una trama che segue l’apertura del ristorante
Non staremo qui a raccontarvi di cosa parla The Bear, perché diamo per scontato che abbiate già visto la prima bellissima stagione. E che quindi sappiate di come il titolo della serie rappresenti il nome di un nuovo ristorante che il protagonista Carmen Berzatto sognava da aprire da tempo insieme al fratello scomparso. La seconda stagione inizia proprio da qui, esattamente come si chiudeva la precedente, con la chiusura del vecchio diner e l’inizio dei lavori di rinnovamento per trasformarlo in un ristorante sofisticato e magari anche stellato: tre mesi in cui non solo il locale verrà smantellato e rivoluzionato, ma anche lo staff dovrà aggiornarsi e adeguarsi ai nuovi standard, oltre che ampliarsi nell’organico.
I dieci episodi, con un’importante eccezione che vedremo dopo, seguono quindi questo lungo processo mostrandoci ogni singolo aspetto: ristrutturazione, organizzazione dello staff, acquisizione budget e permessi burocratici e ovviamente anche la scelta del menu e i nuovi test ai fornelli. Un percorso che ci racconterà di più su ognuno dei protagonisti – soffermandosi di volta in volta su un personaggio nello specifico – e che porterà tutti loro a cambiare profondamente la percezione del lavoro e dei colleghi stessi. Tutto questo, episodio dopo episodio, settimana dopo settimana, con una sensazione crescente di ansia che avvolge tanto i protagonisti che gli spettatori, perché il tempo passa, la tensione aumenta e si alza la posta: se The Bear vuole sopravvivere dove molti altri ristoranti hanno fallito, soprattutto nel periodo post-Covid, tutto deve essere perfetto. Ed è così che la stagione si chiude con una cena di prova, con parenti e amici come clienti, che di fatto è un vero e proprio thriller. E che ci lascia con l’acquolina in bocca per quello che potrà seguire negli anni successivi. Sciopero permettendo, ovviamente.
Tra flashback e viaggi in Europa la serie si fa più ambiziosa
Come già detto, quindi, la struttura della serie cambia e si fa molto più ambiziosa. Rimane sempre corale, ma in questa seconda stagione ogni episodio riesce a dare maggiore spazio e importanza ai singoli, anche quelli apparentemente secondari. Vediamo quindi la veterana Tina tornare a scuola di cucina per migliorare la sua tecnica, oppure Marcus viaggiare verso Copenaghen e il prestigioso Noma per affinare le sue doti e imparare dai migliori in assoluto quando si tratta di innovazione e sperimentazione. Un posto d’onore poi lo merita il burbero Richie, anch’egli spedito (contro la sua volontà) in un ristorante trestellato per carpirne i segreti ma soprattutto la filosofia. E sono proprio questi episodi “speciali”, quelli più lontani dalla prima stagione, a colpire nel segno proprio perché mettono al centro della narrazione e della serie non solo alcuni dei personaggi meno centrali, ma soprattutto la cucina stessa. Sono scelte produttive anche coraggiose che però davvero riescono a rendere in pieno l’idea di ampliare gli orizzonti e trasformare un piccolo locale di Chicago in qualcosa di molto più ambizioso e complesso. E la serie da una piccola dramedy di culto in un qualcosa che possa davvero raccontare al meglio un mondo complesso come quello dell’alta ristorazione.
Ovviamente in tutto questo sia Sydney che Carmy, ora aiutati anche da Natalie, continuano a tenere le redini dell’intero folle progetto cercando di mantenere un minimo di equilibrio con i loro problemi personali. Il che, nel caso di Sydney, vuol dire superare le delusioni del passato e i timori del padre, nel caso dei due fratelli invece è avere a che fare con una famiglia (allargata) a dir poco problematica. A questo proposito sarebbe impossibile non citare l’episodio numero sei, forse tra i più belli e intensi che ci sia mai capitato di vedere da molti anni a questa parte. Anzi, a dirla tutta è probabilmente migliore di tanti film che abbiamo avuto modo di vedere negli ultimi anni, magari anche su argomenti simili.
Fishes, questo il titolo dell’episodio è un lungo flashback che ci riporta indietro di cinque anni rispetto alla storia principale e ci invita a trascorrere un “tranquillo” Natale a casa Berzatto: in poco più di un’ora capiamo meglio alcune dinamiche familiari che già avevamo intuito, conosciamo nuovi membri della famiglia e soprattutto facciamo conoscenza della matriarca, indaffarata a cucinare per decine di persone ma sempre con un bicchiere di vino in mano. Come sempre capita in The Bear la tensione è altissima, il disastro sempre imminente eppure non riusciamo a smettere di guardare. Anzi vorremmo che durasse per sempre. Perché anche solo quel singolo episodio rappresenta una gemma che ci porteremo sempre detto, come solo le grandi opere sanno fare.
Jamie Lee Curtis guida un tripudio di guest star
Merito di cotanta perfezione è in primis dello showrunner Christopher Storer che ha diretto e scritto l’episodio sopracitato ma anche molti altri dei dieci che compongono la stagione. La realizzazione tecnica della serie è sempre a livelli altissimi così come la recitazione di tutto il cast: in particolare Jeremy Allen White, Ayo Edebiri e Ebon Moss-Bachrach sono straordinari, con quest’ultimo poi che riesce in un’evoluzione tanto impressionante quanto credibile e si prenota a diventare, se già non lo ara prima, il personaggio preferito di tutti.
Ma la ciliegina sulla torta quest’anno è rappresentata dalle tante guest star d’eccezione, altra conferma di quanto la serie sia amata e apprezzata anche e soprattutto dagli addetti ai lavori. La più brava di tutte è il freschissimo premio Oscar Jamie Lee Curtis, che qui interpreta la sopracitata madre di Carmy e Natalie, con una performance a nostro parere perfino superiore a quella vista in Everything Everywhere All at Once e che quasi certamente il prossimo anno le varrà anche un Emmy. La sua Donna Berzatto rappresenta il cuore del meraviglioso episodi flashback che citavamo sopra ed è talmente sorprendente da mettere in ombra tutte le altre guest presenti, nonostante si tratti di gente del calibro di Bob Odenkirk, Sarah Paulson, Gillian Jacobs o John Mulaney. A questi si aggiungono altri nomi importanti visti in altri episodi – come Olivia Colman e Will Poulter – o già la scorsa stagione – Jon Bernthal, Joel McHale e il sempre incredibile Oliver Platt.
Tutti pazzi per The Bear quindi, una serie che promette di avere al suo interno sempre più star. Se invece riuscirà il ristorante del titolo a conquistare qualche stella è ancora tutto da vedere. Anche perché la serie non sembra avere fretta di svelarcelo, anzi sembra volersi prendere tutto il tempo per farci apprezzare prima ogni singolo ingrediente.
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La recensione in breve
Questi nuovi 10 episodi di The Bear rappresentano tutto quello che uno potrebbe desiderare da una seconda stagione: più approfondimento, crescita dei personaggi principali, nuovi sviluppi e dinamiche tra i protagonisti. Ma anche guest star, episodi "speciali" straordinari, colpi di scena e in più, fedele a quella che era già una caratteristica della prima stagione, un crescendo di ansia e tensione. L'unico difetto che riusciamo a trovare? Nonostante gli episodi in più e il minutaggio più lungo, non ci bastano mai e vorremmo subito una terza stagione!
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Voto ScreenWorld