Come sapete, ci siamo appena fatti una bella Cannes, e questi sono i risultati. Abbiamo visto Grindelwald abbracciare Grindelwald (sì, Mads Mikkelsen e il redivivo Johnny Depp finalmente insieme), un tipo tranquillo come Tom Hanks che si incazza con un tizio sul red carpet, Jennifer Lawrence che se ne frega nell’etichetta e indossa delle ciabatte sotto l’abito elegante, Nanni Moretti che si mette a ballare prima di entrare in sala e il direttore del festival Thierry Frémaux che viene fermato dalla polizia perché va in bici sul marciapiede e sfiora la rissa con un agente. Ne abbiamo viste cose strane, insomma. Colpa della stanchezza? Della vecchiaia? Come direbbe qualcuno: “Non sono gli anni, tesoro. Sono i film“.
Ce lo ha insegnato un vecchio archeologo che abbiamo rivisto proprio a Cannes dopo tanto tempo (qui la nostra recensione di Indiana Jones 5). Di anni ora ne ha 80, i suoi film intanto sono diventati cinque, ma lo spirito è quello di sempre: pieno d’avventura. E ogni festival è proprio questo: un’avventura piena di cose inaspettate. E le avventure, come farebbe il buon Indiana Jones, vanno condivise. Visto che siamo appena tornati dalla Croisette, ci è venuta voglia di condividere con voi le cinque cose più importanti e significative di questo strambo festival di Cannes 2023. Non dimenticate il capello e la frusta, e partiamo.
1. Polemiche inutili
Partiamo all’ombra della Palma d’Oro. Partiamo dal film che ha vinto il festival di Cannes. Si chiama Anatomy of a Fall ed è un bellissimo film francese con più chiavi di lettura (la nostra recensione è qui).
Lo puoi leggere come un piccolo giallo da risolvere, visto che tutto parte dal ritrovamento di un cadavere. Oppure come un dramma sentimentale, visto che l’indagine entra nel cuore marcio di una coppia e di una famiglia intera.
Avrebbero potuto vincere altri film? Sì. È uno scandalo che abbia vinto questo? No.
Non siamo d’accordo con le solite polemiche inutili, che arrivano quando qualcuno si accorge che Anatomy of a Fall lo ha diretto una regista francese: Justine Triet. Sì, è successo di nuovo. É successo di ancora. Riecco i soliti “Eh, ormai premiamo solo le donne” e gli immancabili “Classica forzatura”.
Come la pensiamo noi? Che questa volta non ci siamo nemmeno posti il problema. Abbiamo pensato solo al film e non al sesso di chi lo ha diretto. E magari quando smetteremo di sottolineare che anche le donne vincono i festival, forse, il 2023 sarà iniziato per davvero. Ma come direbbe qualcuno: non è questo il giorno.
2. Grandi vecchi
A proposito di archeologia e Indiana Jones, questo Cannes 2023 ha davvero riesumato tante vecchie glorie del cinema. Si è tolto un po’ di polvere di dosso Wim Wenders (anni 76), che con il poetico e potente Perfect Days ci ha regalato un delicato ritratto di un uomo che lava bagni pubblici in una Tokyo mai così quieta e riflessiva. Un maestro come Ken Loach, che di anni ne ha 86, ci ha regalato l’ultimo inchino con The Old Oak, un film pieno di speranza e solidarietà.
E poi sua maestà Martin Scorsese, che con Killers of the Flower Moon (per fortuna di tutti gli altri Fuori Concorso) ha tirato fuori ancora una volta una perla assoluta (la recensione è qui). Un film che è la somma del suo cinema: disincantato come un western, violento come un ganster movie e soprattutto tanto arrabbiato con la coscienza sporca degli Stati Uniti d’America. E poi, diciamolo: vedere lui, De Niro e DiCaprio insieme sul red carpet, forse, convertirebbe anche un ateo.
3. Che succede, Wes?
Se fossimo cattivi e maliziosi, penseremmo che Wes Anderson viene invitato a Cannes soprattutto per riempire il red carpet di star. Ma siccome non lo siamo, lasciamo perdere questa inquietante ipotesi. Resta che dopo il per noi deludente The French Dispatch, anche Asteroid City (che da noi uscirà a metà settembre) fa sempre battere la lingua dove il dente duole. Il solito Wes Anderson tutta forma e poca sostanza (come abbiamo scritto nella nostra recensione). Le solite inquadrature simmetriche, i soliti color pastello e la solita cura maniacale per i movimenti di macchina. Ma manca tutto il resto. Manca un cuore nei personaggi, manca una storia capace di abbracciare davvero.
E poi c’è il problema del cast: nessuna star aggiunge qualcosa al film. E tutti, nessuno escluso, sembrano figurine collezionate da attaccare su un album. Ovviamente al centro dell’album. Però un segnale incoraggiante in Asteroid City c’è. Quale? Wes Anderson ha girato un film sul suo vuoto creativo e sulla sua crisi. Com’è che si dice? Ah, sì: il primo passo per risolvere un problema è riconoscerlo.
4. La lezione di Quentin
L’ultima volta che era stato a Cannes la lezione l’aveva data solo a una giornalista. Lei insinuava che Margot Robbie parlasse davvero troppo poco in C’era una volta a Hollywood. E lui, maestro delle parole come nei dialoghi dei suoi film, la zittì dicendo: “Rigetto la sua ipotesi“. Questa volta Quentin Tarantino la lezione l’ha tenuta per tutti in una bellissima masterclass cinefila in cui ha parlato di un sacco di cose: del suo amore per Rolling Thunder di John Flynn (uno dei film che gli ha cambiato la vita), di come la violenza sia un’esigenza irrinunciabile per lui (tranne quella sugli animali) e poi quella conferma. Sì, il prossimo sarà il suo ultimo film. Vuole chiudere all’apice Quentin, come fanno i grandi sportivi.
Ma chiuderà con il cinema, per cui non ha escluso di continuare a scrivere altro. Magari altri libri, serie tv o magari fumetti. E poi ecco finalmente qualche anticipazione su The Movie Critic. Il decimo e ultimo film scritto e diretto da Quentin Tarantino. A Cannes ha anticipato che il film sarà ambientato in California nel 1977 e sarà basato sulla vera vita di un trentenne che si è goduto la vita, ma che non è mai diventato davvero famoso, “visto che scriveva recensioni di film per una giornalaccio porno“. Quentin ha definito il suo nuovo protagonista “molto scortese”, visto che bestemmiava e usava spesso insulti razziali. Ultima definizione lapidaria, degna di Quentin Tarantino: “Era maleducato come l’inferno”. Insomma, sarà l’ultima volta. Ma ci divertiremo parecchio.
5. E l’Italia che fa?
Non è bastato il Mondiale del 2006. E non basterà mai. Quando c’è la Francia di mezzo, noi italiani diventiamo prede di un improvviso nazionalismo competitivo senza freni. E no, questa volta non è andata bene per il nostro cinema. Tre film italiani in concorso. Tutti a mani vuote. Non ci è riuscito Nanni Moretti con Il sol dell’avvenire. Non solo un film di Nanni Moretti, ma un film su Nanni Moretti in cui il regista riflette anche sulle sue fissazioni. Unico limite? Se non conosci bene Moretti forse lo apprezzi poco. Sarebbe come vedere Endgame senza aver visto il resto. Perché questo è un film sul Moretti Cinematic Universe. Non ci è riuscita Alice Rohrwacher con il suo realismo magico visto ne La chimera. Un film particolare, libero, criptico, dedicato al vuoto che tutti portiamo dentro quando rimaniamo imprigionati nel passato.
Non ci è riuscito un altro maestro come Bellocchio che con Rapito ha portato in scena un film che era nella lista dei desideri di Spielberg. Una ricostruzione rigorosa ed efficace di un incredibile fatto storico ambientato nell’Italia di metà 800, quando un bambino ebreo di sei anni fu sottratto alla sua famiglia per volere di Papa Pio IX. Se vi intriga, sappiate che è appena uscito al cinema.
Per chiudere però una cosa dobbiamo dirla: il film di Nanni Moretti in Francia è stato accompagnato da una locandina molto più bella di quella italiana. E sì, dopo qualche mese, ci siamo arresi e l’abbiamo copiata anche per il nostro mercato. Francia 1 – Italia 0. Nessuna palla al centro, perché la partita è finita. Facciamocene una ragione. Au revoir.
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