Una domanda soltanto: “Riesci a trovare i lupi in questa immagine?”. Una domanda ripetuta due volte nel trailer del nuovo, magnifico film di Martin Scorsese. Un avvertimento, ma anche un invito a guardare le cose con attenzione. Perché in questa brutta storia i lupi ci sono eccome. Fanno branco, azzannano e uccidono, ma sono vili come le pecore. Perché agiscono seguendo il gregge, senza pensare, senza volere. Mossi soltanto dal volere altrui.
Apriamo la nostra recensione di Killers of the Flower Moon mettendo subito in chiaro una cosa: questo è forse il film definitivo sulla coscienza sporca degli Stati Uniti d’America.
Un tema assai caro a Martin Scorsese, che dopo aver reso il gangster movie specchio di una nazione intera, ha scavato anche tra le radici della sua terra, con quel Gangs of New York che ha esplorato il mito fondativo dei suoi amati/odiati States.
Ecco, Killers of the Flower Moon è il figlio stanco e disincantato di questo lungo viaggio autoriale. Un film che si ferma al confine tra i generi. A metà strada tra il western fuori tempo massimo e il gangster movie dove, questa volta, non c’è niente e nessuno da mitizzare. Nasce così una profonda indagine sulla miseria umana, raccontata attraverso un’epopea degna di un grande romanzo. Americano, ovviamente. E con le pagine sporche di sangue e petrolio.
Killers of the Flower Moon
Genere: Drammatico
Durata: 206 minuti
Uscita: 20 maggio 2023 (Cannes), 18 ottobre 2023 (Cinema)
Cast: Leonardo DiCaprio, Lily Gladstone, Robert De Niro, Brendan Fraser, Jesse Plemons
La fame delle pecore
Avidità bianca per l’oro nero sotto la terra rossa. È una questione di colori e contrasti fin da subito. Da quando Killers of The Flower Moon ci mette nei sudici panni di un povero disgraziato: Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio). Reduce della Prima Guerra Mondiale, il nostro torna in Oklahoma. Lo Stato che ospita la nazione indiana degli Osage, diventata la comunità più ricca d’America grazie al petrolio che sgorga sotto i loro piedi. Un benessere e una fortuna insopportabili per William Hale (Robert De Niro), proprietario terriero che inizia ad ammazzare gli Osage uno per volta. Un piano diabolico orchestrato in modo subdolo, coinvolgendo anche suo nipote Ernest. Un vile burattino nelle mani di un vile burattinaio. Nasce così un feroce spettacolo di marionette in cui o si manipola o si viene manipolati. Perché nell’Oklahoma degli anni Venti non c’è spazio per l’amore e l’affetto. E non c’è tempo per il dolore. C’è solo la fame di uomini piccoli che si credono lupi agendo da pecore.
Gangs of Far West
Siamo negli anni Venti. Le città sono piene di insegne, i cavalli hanno lasciato il passo alle automobili, la civiltà ha preso piede in città sempre meno allo sbaraglio. Eppure tanti credono di essere ancora nel Far West. E allora ammazzano, prevaricano, conquistano. Killers of the Flower Moon è la storia di uomini fuori tempo massimo che non accettano il nuovo, il diverso, il progresso. Così si avvinghiano con tutte le loro forze alla legge del “più forte”, alle pistole e alle bombe. Uno sforzo che Scorsese non nasconde mai, rendendo spesso ridicoli i protagonisti di questa storia. Perché se si torna al selvaggio West quando il selvaggio West è ormai storia, allora, siamo dentro una farsa.
Una parodia recitata da uomini balordi, goffi e inetti. Gente grottesca nei modi e negli atteggiamenti, buffa con i cappelli da cowboy sulla testa e con le pistole tra le mani. Questa volta non c’è niente di mitico da raccontare. Questa volta Scorsese è stanco dei gangster cool, personaggi carismatici e frasi a effetto. Un cambio di rotta che rende Killers of the Flower Moon un film tragico in quello che dice ma anche brillante, divertente e a tratti sguaiato in come lo dice. Una convivenza di toni diversi che solo un grande autore riesce a mantenere sempre in straordinario equilibrio.
Il corpo racconta
Se tragico, epico e grottesco convivono a meraviglia, lo stesso non si può dire del ritmo. Killers of the Flower Moon, forse penalizzato da un montaggio non ancora definitivo (e con qualche incertezze), procede a fiammate. Parte prepotente, procede sicuro, poi si siede a metà strada come preda di un’improvvisa stanchezza per poi rialzarsi con un finale straordinario, capace di dare una svolta morale all’intero film con una scelta geniale. Se il ritmo è ondivago, tutto il resto è scalfito nella pietra. Come la scelta di raccontare i personaggi attraverso i loro corpi e i loro volti. Come se tutti in questo film fossero statue emblematiche. Lo sa bene questo Leonardo DiCaprio imbastardito come non mai, il cui volto angelico è ormai diventato un vecchio ricordo. Il suo Ernest è segnato da una smorfia di sdegno sempre stampata in faccia. Come se fosse sempre nel bel mezzo di una specie di grugnito.
Uno schifo che forse non prova tanto per il mondo ma verso se stesso. Nonostante un sopracciglio luciferino, degno del miglior Jack Nicholson, il suo personaggio è talmente incapace e vuoto da non fare mai davvero paura come un demonio. Anzi, fa pena e basta. Dall’inizio alla fine. Robert De Niro, invece, si porta addosso tutto il peso del Male. Cammina a fatica, si trascina, si muove piano, e il suo volto è ormai una maschera grottesca.
A fare da contraltare a questi luridi infami, c’è la figura ieratica di una meravigliosa Lily Gladstone, che incarna tutto il dolore di un popolo vessato. Il suo personaggio (la nativa americana Molly) parla poco e guarda tanto. Spettatrice di un orrore di cui porta i segni addosso, eppure illuminata da una luce costante. Come se Scorsese la accarezzasse con la luce per chiederle scusa.
Il tempo sta finendo
Il tempo sta finendo. Martin Scorsese lo ha detto chiaramente in un’intervista. E Killers of the Flower Moon nasce proprio dall’esigenza di un autore che scende a patti con la fine che sta arrivando. Un film che incarna tutto il cinema di Scorsese e allo stesso tempo lo rilegge. Un film impregnato di senso di colpa, vergogna e pena per una nazione intera. La sua. Quella che in passato ha raccontato con furia vertiginosa, e ora guarda con più distacco, ma senza mai lavarsi le mani.
No, perché in Killers of the Flower Moon c’è sempre il respiro possente del grande cinema. Quello che racconta attraverso le immagini, che ha la pazienza dei grandi romanzi (ricordiamolo: il film è tratto dall’omonimo libro del giornalista David Grann) e regala sequenze memorabili da consegnare ai posteri. Il tempo sta finendo, è vero. Ma gli ultimi granelli di sabbia sono bellissimi.
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La recensione in breve
In Killers of the Flower Moon Martin Scorsese ci regala un film che incarna tutte le anime del suo cinema: il disincanto del western e il tramonto del ganster movie. Il tutto sporcandosi le mani con le colpe storiche degli Stati Uniti d'America.
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Voto ScreenWorld