Dopo il successo del suo primo lungometraggio Pitch Perfect 2 (2015) e il flop dell’opera seconda Charlie’s Angels (2019), Elizabeth Banks ha ancora una volta cambiato registro per il suo percorso dietro la macchina da presa, e non solo perché a questo giro non appare nel cast. Per la sua terza incursione registica, infatti, l’attrice e cineasta ha optato per una bislacca storia vera (molto romanzata, ça va sans dire) che, per il suo contenuto a dir poco orrifico, era stata inizialmente proposto al duo composto da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, che hanno preferito lavorare ai recenti sequel di Scream.
Una storia che ha evidentemente fatto segno nel cuore del pubblico, dato che nel momento in cui il film, di cui parliamo nella nostra recensione di Cocainorso, arriva nelle sale italiane (circa due mesi dopo l’uscita in quelle statunitensi), ha già racimolato quasi 90 milioni di dollari al box office nei vari mercati internazionali.
Cocainorso
Genere: Horror, commedia
Durata: 95 minuti
Uscita: 20 aprile 2023 (Cinema)
Cast: Keri Russell, O’Shea Jackson Jr., Christian Convery, Alden Ehrenreich, Brooklynn Prince, Isiah Whitlock Jr., Margo Martindale, Ray Liotta
La trama: orso, droga e rock’n’roll
1985, nel nord-est della Georgia, Stati Uniti: il narcotrafficante Andrew C. Thornton II, che sta trasportando un carico sostanzioso di cocaina, è costretto a liberarsene. Nel momento in cui lui stesso deve paracadutarsi fuori dall’aereo, perde conoscenza e muore in seguito alla caduta. Il suo corpo viene rinvenuto nel Tennessee, e il poliziotto locale Bob decide di rintracciare il carico di droga, che si trova in un parco nazionale della Georgia. Altri due individui sono alla ricerca della cocaina, per conto del gangster Syd White che era il committente di Thornton. E nel parco si aggira anche Sari, un’infermiera che deve ritrovare la figlia Dee Dee e il di lei amico Henry, rei di aver marinato la scuola. E poi c’è un orso che ha consumato per sbaglio una quantità non indifferente della merce di Thornton, e ha sviluppato un certo appetito per la cocaina, seminando il panico nell’area circostante mentre è alla ricerca della dose successiva…
Il cast: In Loving Memory of Ray Liotta
All’orso digitale, realizzato con grande maestria dalla neozelandese Weta FX, si contrappongono vari interpreti umani di talento, tra i quali è doveroso segnalare soprattutto Ray Liotta, al quale il film è dedicato dato che lui è scomparso nel maggio del 2022, poco dopo aver finito di ridoppiare le sue battute durante la post-produzione. Una vera forza della natura, che si presta al gioco della commedia horror con il giusto brio, così come interpreti del calibro di O’Shea Jackson Jr. e Alden Ehrenreich (rispettivamente lo scagnozzo e il figlio di Liotta), Margo Martindale (la sorvegliante del parco) e Keri Russell (Sari). Il compagno di quest’ultima, Matthew Rhys, ha un cameo muto e beffardo all’inizio della pellicola: è lui, infatti, a interpretare Thornton nella sequenza d’apertura. Altra presenza minore ma apprezzata è quella del caratterista norvegese Kristofer Hivju, nei panni di un turista che ha la sfortuna di imbattersi nell’orso (e anche se non è voluto, per dichiarazione della regista, fa molto ridere che il suo personaggio e la di lui accompagnatrice si chiamino Olaf ed Elsa).
Gli bastan poche briciole, lo stretto indispensabile…
“Basato su eventi reali”, recita una scritta iniziale dopo che l’orso scatenato ha già mietuto le prime vittime. Quanto reali, viene da chiedersi. Ebbene, l’assurda morte di Thornton corrisponde al vero, così come il fatto che un plantigrade in mezzo alla Georgia ha consumato della cocaina. Non vi sono altre informazioni in merito, anzi, molto probabilmente Cocaine Bear (uno dei suoi tre soprannomi insieme a Pablo Escobear e Cokey the Bear, rispettivamente allusioni al noto narcotrafficante e alla mascotte del servizio forestale degli Stati Uniti) è passato a miglior vita per overdose nel giro di pochi minuti (il cadavere, oggi custodito in un museo, è stato rinvenuto qualche mese dopo l’accaduto). Il resto del film è pertanto l’invenzione di Banks e dello sceneggiatore Jimmy Warden, il cui copione ha attirato l’attenzione dei produttori Phil Lord e Chris Miller, ma c’è un sentore di aderenza a un certo tipo di reale – aumentato dall’uso di sostanze stupefacenti – che rende tutto quello che accade nei 95 minuti della pellicola (post-credits incluso) molto più plausibile di un altro sedicente adattamento di eventi realmente accaduti in ottica horror come L’esorcista del Papa, il cui rapporto con la realtà si ferma al nome di battesimo del personaggio principale.
Paura e delirio nel parco nazionale
Al netto di alcune sequenze dove l’ausilio del computer è evidente, l’impressione è quella di assistere a una storia non solo ambientata negli anni Ottanta, ma effettivamente girata in quel periodo, quando il filone degli animali pericolosi, reali o inventati che fossero, aveva un certo fascino per il pubblico pagante (basti pensare a un regista come Lewis Teague, che in quel decennio sfornava film come Alligator e Cujo). Banks, classe 1974, ha una palese familiarità con la spensieratezza con cui si realizzavano pellicole di genere in quegli anni, e quella spensieratezza la fa da padrone in un racconto dove famiglia, humour nerissimo e grande violenza vanno costantemente a braccetto, alzando più volte un metaforico dito medio nei confronti di chi oggi si potrebbe scandalizzare per scene dove i bambini imprecano o scherzano sull’essere cocainomani (d’altronde la giovane Brooklynn Prince è stata lanciata da un film non proprio per famiglie come Un sogno chiamato Florida, girato quando aveva sei anni). Sangue e sghignazzi sono all’ordine del giorno in quello che, innanzitutto, vuole essere un divertimento d’altri tempi ma non nostalgico. E ci riesce con la stessa ipnotica aggressività del suo posticcio protagonista.
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La recensione in breve
Con Cocainorso Elizabeth Banks passa alla commedia horror per il suo terzo lungometraggio da regista, portando sullo schermo una folle storia vera con abbondanti dosi di irriverenza e brutalità.
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Voto ScreenWorld