Con Thor: Love and Thunder, il sesto lungometraggio della Fase Quattro del Marvel Cinematic Universe, ci addentriamo in territori finora esplorati da un certo punto di vista. È infatti la prima volta che un eroe del franchise ha diritto a un quarto film in solitario, ed è logico che capiti con Thor, quello con il maggiore potenziale di evoluzione tra i membri fondatori degli Avengers (insieme a Hulk, il cui destino sul grande schermo è però oggetto di contendere con la Universal). E per questo nuovo viaggio in sua compagnia è tornato dietro la macchina da presa Taika Waititi, il regista neozelandese che cinque anni or sono, con Thor: Ragnarok, diede alle avventure individuali del dio del tuono la spinta necessaria, con il suo stile coloratissimo che rientra fermamente nella categoria “prendere o lasciare” (capita ancora di leggere commenti di chi non ha apprezzato il tono scanzonato del film e lo chiama in segno di scherno Ragnajoke negli Stati Uniti e Natale ad Asgard in Italia).
Come vedremo nella nostra recensione di Thor: Love and Thunder, si tratta di un ritorno all’insegna dell’epica, che trae ispirazione dalla recente e acclamata gestione del fumetto a cura di Jason Aaron, ma anche del divertimento, in tutte le sue forme (Waititi, come ormai appurato, tutto è tranne che sottile), e dell’amore. Amore espresso già nel titolo, che nel corso del film si manifesta in varie declinazioni e comporta anche il glorioso ritorno al franchise di Natalie Portman, che qualche anno addietro diede forfait in seguito all’esperienza non proprio piacevole di Thor: The Dark World. Complice la reinvenzione del dio del tuono sullo schermo, lei è nuovamente dei nostri, ed è proprio il caso di dire che si tratta di un ritorno… divino.
(Una piccola avvertenza: abbiamo visto il film in lingua originale, motivo per cui la recensione non contiene considerazioni sul doppiaggio italiano.)
Thor: Love and Thunder
Genere: Fantastico/Azione
Durata: 119 minuti
Uscita: 6 luglio 2022 (Cinema)
Cast: Chris Hemsworth, Natalie Portman, Christian Bale
La trama: corsa contro il tempo
È passato circa un anno dagli eventi di Avengers: Endgame, e Thor (Chris Hemsworth) – ritornato in forma – difende pianeti vari al fianco dei Guardiani della Galassia. Lo fa convinto che i suoi giorni da vero e proprio supereroe siano finiti, ma una nuova minaccia lo costringe a tornare in pista in modo serio: un tale Gorr (Christian Bale) ha deciso di eliminare tutte le divinità, e ha un’arma che gli consente di farlo. Per sconfiggerlo, il figlio di Odino, aiutato dall’amico Korg (Taika Waititi) si reca ad Asgard per chiedere l’aiuto del nuovo sovrano, Valchiria (Tessa Thompson), e inaspettatamente si manifesta un’altra persona in grado di dare manforte alla squadra. Si tratta di Jane Foster (Natalie Portman), che ha ottenuto i poteri di Thor in seguito a un incantesimo di Mjölnir, il quale le consente di rimanere attiva e non in un letto d’ospedale dove passa gran parte delle sue giornate a causa di un tumore. Riusciranno a sconfiggere colui che potrebbe effettivamente azzerare l’intero patheon del Marvel Cinematic Universe?
I tuoni cambiano, lo spirito no
Al quarto giro, la Marvel cerca di fare un po’ la summa del percorso di Thor finora (ma senza arrivare a una conclusione definitiva, perché i titoli di coda promettono per iscritto che lo rivedremo). Lo fa all’interno del film stesso, aprendo con un riassunto ironico degli episodi precedenti, e a livello di toni e atmosfere, unendo essenzialmente tre lungometraggi in uno: c’è il côté umoristico che si rifà alle avventure anni Ottanta e propone gag di ogni genere, dal sublime (la reinvenzione delle capre che trainano il carro del protagonista) al mortifero (il cameo di Melissa McCarthy); c’è il lato romantico, che si rifà al capostipite di Kenneth Branagh e dà finalmente del materiale interessante a Hemsworth e Portman in tandem; e poi c’è Gorr, il villain più cupo e spietato della saga, una versione riuscita del Malekith visto nel secondo film che ancora oggi è tra i punti più bassi dell’epopea Marvel sullo schermo. Un gioco non sempre perfettamente equilibrato, ma molto coerente, che propone un viaggio tra mondi in nome della salvezza del cosmo e in nome dell’amore. L’amore di Thor per Jane, per l’umanità intera, ma anche l’amore palese di Waititi per questi personaggi, al netto dell’occasionale impulso di decostruirli un po’ troppo.
È un film che espande l’universo politeistico della Marvel, con aggiunte molto carine (Russell Crowe nei panni di Zeus promette bene per sviluppi futuri), ma anche un racconto molto fedele all’essenza drammaturgica di Thor, il pesce fuor d’acqua che in un millennio e passa di esistenza non ha mai del tutto capito quale sia il suo posto nel mondo. Ci arriva – forse – in questa sede, con un ritorno alle origini che guarda anche al futuro, combinando il meglio dei film precedenti per regalarci l’avventura asgardiana definitiva, con pathos sincero, battaglie spettacolari e una colonna sonora da urlo che riesce a battere quella del terzo episodio. Ai fan della macrostoria Marvel potrebbe mancare la presenza di elementi legati al Multiverso e affini, ma dopo la conclusione dell’Infinity Saga è giusto che ci sia un po’ di pausa a livello di costruzione della prossima grande storyline. Ed è giusto che Thor, passando da “zio del tuono” (principale malefatta del doppiaggio italiano di Ragnarok) a rinato “dio del tuono”, abbia diritto a una piccola vacanza da quello che inevitabilmente gli creerà problemi in un futuro prossimo.
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La recensione in breve
Con Thor: Love and Thunder, Taika Waititi torna a occuparsi del dio del tuono e lo fa con amore, dietro e davanti la macchina da presa. Mescolando gli elementi più riusciti dei film precedenti, il regista neozelandese firma la più bella avventura del personaggio Marvel interpretato da Chris Hemsworth sullo schermo.
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Voto ScreenWorld