Che ultimamente ci sia un forte interesse da parte del pubblico internazionale per le storie incentrate su truffe incredibili, ma realmente accadute, è evidente dal successo di prodotti come la serie Inventing Anna e il docufilm Il truffatore di Tinder, entrambi disponibili su Netflix. Come vedremo in questa recensione di The Dropout, distribuita qui da noi da Disney+ (mentre negli USA è disponibile su Hulu), il personaggio di Anna Delvey/Sorokin a uno sguardo superficiale potrebbe assomigliare alla Elizabeth Holmes che incontriamo nella serie creata da Elizabeth Meriwether: entrambe sono ragazze giovani, belle ed affascinanti, capaci di irretire ed imbrogliare ricchi investitori grazie al proprio carisma.
La drammatizzazione della vicenda di cui Holmes è protagonista, però, porta su schermo un parterre di personaggi di gran lunga più interessanti (e questo grazie anche all’ottimo cast, prima fra tutti Amanda Seyfried nel ruolo principale) oltre ad una storia che, pur arrivando ad essere in certi momenti al limite dell’assurdo, è sempre coinvolgente ed intrigante, e stimola diverse riflessioni sulla società in cui viviamo. Non si tratta di un prodotto privo di difetti, nelle puntate centrali infatti il ritmo vacilla un po’ e alcuni dei personaggi secondari sembrano fin troppo caricaturali nella loro rappresentazione. Detto questo, però, The Dropout resta una di quelle serie da cui è difficile staccarsi una volta iniziate: come la storia andrà a finire lo sappiamo fin da subito, ma la strada che si delinea davanti a noi per arrivarci è molto più interessante – e sorprendente – di quanto avremmo mai potuto immaginare.
The Dropout
Genere: drammatico
Durata: 50 minuti ca/8 episodi
Uscita: 20 aprile (Disney+)
Cast: Amanda Seyfried, Naveen Andrews, William H. Macy, Laurie Metcalf, Stephen Fry
L’ascesa e la caduta di Theranos
Prima di parlare più nel dettaglio della serie è necessario però un piccolo passo indietro, dato che il caso di Theranos – la sua ascesa e la clamorosa caduta – non è infatti così conosciuto qui da noi quanto lo è negli Stati Uniti. Chi è Elizabeth Holmes? Una giovane imprenditrice che a 19 anni abbandona il college (la prestigiosa Standford, per l’esattezza) per fondare la sua sua start up: Theranos. L’idea con cui decide di fare fortuna? Una macchina portatile per le analisi del sangue, capace di rendere la diagnosi di numerose malattie molto più tempestiva e soprattutto accessibile, alla portata di tutti per un prezzo irrisorio. Peccato però che si tratti di una tecnologia che ancora non è stata inventata e, come le faranno notare inizialmente alcuni, forse impossibile da ottenere. Elizabeth è però convinta di potercela fare e – insieme all’amico/amante Sunny Balwany (Naveen Andrews), un uomo molto più grande di lei e dalle vaste disponibilità economiche – diventa la CEO di Theranos (dalla combinazione delle parole “terapia” e “diagnosi”, “therapy” e “diagnosis”).
Gli anni successivi alla fondazione sono segnati da conquiste (milioni di dollari ottenuti da molti investitori di prestigio) e sconfitte (tenute segrete): solo nel 2015, dopo la denuncia di due ex dipendenti, si scoprirà che la macchina per le analisi non è mai stata sviluppata e che queste vengono condotte con apparecchiature comprate da compagnie concorrenti. Soprattutto, però, si verrà a sapere che i risultati ottenuti non sono attendibili e che potrebbero per questo essere molto dannosi per chi li riceve (ad alcune persone, ad esempio, viene diagnosticato un cancro pur essendo completamente sane!). Sarà un coraggioso giornalista del New York Times, John Carreyrou (Ebon Moss-Bachrach), a svelare al mondo che Theranos è molto diversa da quel che vuole apparire e la caduta di Elizabeth Holmes – che era stata definita da Forbes la più giovane e ricca miliardaria fattasi da sé d’America – sarà inevitabile e rovinosa.
In The Dropout – i cui primi quattro episodi sono stati diretti da Michael Showalter (Gli Occhi di Tammy Faye) – troviamo tutto questo, e seguiamo la vita di Elizabeth Holmes dalla giovinezza fino a poco prima del processo che la vede imputata. Pur concedendosi qualche flashforward al giorno di un’udienza preliminare, la serie non si affida all’escamotage del continuo flashback (come faceva ad esempio Inventing Anna), ma procede con una narrazione piuttosto lineare, a momenti forse un po’ troppo didascalica ma convincente ed incisiva.
Amanda Seyfried alla guida del cast
Il grande pregio di questa serie, come vi accennavamo in apertura, è un cast di protagonisti e coprotagonisti veramente in parte e convincenti. A colpire è sopratutto Amanda Seyfried, camaleontica nel trasformasi in Elizabeth Holmes, adottandone le movenze e l’atteggiamento ma anche le stranezze, come la famosa parlata baritonale (che avrebbe “creato” per farsi prendere maggiormente sul serio). Seyfried da vita ad un’antieroina per cui non si riesce quasi mai ad empatizzare, in cui ambizione ed egoismo – ma anche immaturità e imprudenza – esplodono in mix davvero letale e la portano su una strada da cui, fin da subito, ci rendiamo conto che sarà quasi impossibile tornare indietro. La trasformazione del personaggio, dal primo episodio in cui la vediamo addirittura bambina agli anni del college, dai primi successi di Theranos alla metamorfosi nella sua personale versione di Steve Jobs (con tanto di dolcevita nero), è impressionante e spiazza lo spettatore. Proprio quest’ultimo, più la storia procede, più si ritrova a “fare il tifo” per chi vorrebbe smascherare Elizabeth, per chi – al contrario – mette al primo posto l’integrità professionale e il benessere dei pazienti piuttosto che il successo a tutti i costi.
Tra gli altri interpreti colpiscono Naveen Andrews con il suo furbo e manipolatore Sunny (ma a suo modo succube di Elizabeth), Stephen Fry nella parte dell’onesto scienziato Ian Gibbons, William H. Macy che come Richard Fuisz dedica gran parte della sua vita al fallimento di Theranos e Laurie Metcalf/Phyllis Gardner, professoressa di Stanford che fin da subito si accorge della doppia faccia di Elizabeth.
Una donna nella Silicon Valley
È proprio Phyllis Gardner che, con una battuta dell’ultimo episodio, rimarca uno dei temi su cui la serie vuole farci riflettere: quale sarà l’impatto dell’imbroglio di Elizabeth sulle donne che, in futuro, vorranno fondare la propria azienda ed esserne le CEO? Il ruolo delle donne in un ambiente ipercompetitivo (e “maschile”) come quello dell’imprenditoria tecnologica – quella con base nella tanto celebrata Silicon Valley – è uno degli snodi fondamentali di The Dropout, che cerca di esplorare come a volte essere bella, giovane e bianca possa rivelarsi un’arma a doppio taglio. La serie cerca poi anche di spiegarci le dinamiche di potere che si instaurano in un contesto di questo tipo, in cui il valore di una persona dipende dal proprio livello di ambizione e dalla capacità di fare soldi (anche se non si hanno specifiche competenze). Non a caso, infatti, i personaggi con maggiore integrità morale, esperienza ed intelligenza vengono presto schiacciati dalle aspirazioni di Elizabeth e Sunny, che non guardano in faccia a nessuno per raggiungere i propri obiettivi.
Non tutti questi spunti vengono approfonditi in egual misura, alcuni episodi trovano infatti il giusto linguaggio per far arrivare allo spettatore il proprio messaggio (tra questi il quarto “Old White Men”), altri invece ricorrono un po’ troppo al grottesco e alla macchietta, e quanto accade sullo schermo perde di credibilità e, pertanto, di incisività. Detto questo, comunque, The Dropout è una serie che colpisce fin dal suo incipit, e che ci sentiamo assolutamente di consigliare, sicuri che possa catturare ed affascinare anche lo spettatore che non ha mai sentito parlare del caso Theranos e di Elizabeth Holmes.
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Conclusioni
Nella recensione di The Dropout vi abbiamo spiegato come la serie creata da Elizabeth Meriwether sia particolarmente coinvolgente ed intrigante, fin dal suo primo episodio. L'assurda ed incredibile storia di Elizabeth Holmes viene portata su schermo con una sceneggiatura ben scritta e strutturata, che si appoggia sulla camaleontica interpretazione di Amanda Seyfried. Peccato per alcuni personaggi secondari fin troppo caricaturali e un ritmo un po' vacillante nelle puntate centrali.
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Voto ScreenWorld