Una galleria di foto incorniciate alla parete, quasi la cronistoria di un perfetto idillio familiare, costituiscono l’immagine d’apertura del nuovo film di Stéphane Brizé. Ma la scena immediatamente successiva già ci informa che quell’idillio si è infranto in maniera irreparabile: i coniugi Philippe ed Anne Lemelse, seduti uno di fronte all’altra al fianco dei rispettivi avvocati, assistono alla certificazione della fine del loro matrimonio e di una vita insieme che, secondo la testimonianza di Anne, ormai si era ridotta a un “inferno”.
Si tratta di un punto di partenza emblematico per un’opera che, da lì in poi, si concentra però sull’esperienza professionale di Philippe, giocoforza il principale elemento di analisi anche per la nostra recensione di Un altro mondo, presentato in concorso alla Mostra di Venezia 2021 e in seguito a Rendez-vous, il festival del nuovo cinema francese.
Un altro mondo
Genere: Drammatico
Durata: 97 minuti
Uscita: 1 aprile 2022 (Cinema)
Cast: Vincent Lindon, Sandrine Kiberlain, Anthony Bajon
L’altro fronte della ‘guerra’
Un altro mondo sancisce il punto d’arrivo della trilogia avviata da Stéphane Brizé nel 2015 con La legge del mercato e dedicata appunto al mondo del lavoro. Se in quel primo film l’attore Vincent Lindon incarnava il volto del precariato nella società contemporanea, offrendoci al contempo un ritratto dei compromessi fra sussistenza economica e rispetto della dignità umana, nel 2018 Brizé aveva rilanciato con In guerra, focalizzando lo sguardo su un’intera categoria: una working class impegnata in un durissimo braccio di ferro. Mentre In guerra aderiva dunque al punto di vista e alle ragioni dei sindacati, Un altro mondo ci propone un ideale controcampo: Vincent Lindon, al solito di un’intensità e di un naturalismo impressionanti, in questo caso interpreta infatti il direttore della sede francese di un’azienda di elettrodomestici, stritolata dalle spietate logiche di mercato dettate dal gruppo di investitori americani a capo della multinazionale.
Fra incudine e martello
Pertanto, rispetto al comprensibile schematismo di In guerra, Un altro mondo adotta un approccio ben più problematico: Philippe, che nel film precedente sarebbe stato semplicemente l’avversario, qui invece è un uomo dilaniato fra le imposizioni dei superiori, che richiedono il sacrificio di numerosi posti di lavoro come testimonianza di ‘coraggio’, e i richiami della propria coscienza. Stéphane Brizé, anche autore della sceneggiatura, non rinuncia a quel ritmo teso, incalzante, rigoroso che ci trasporta in medias res nei serrati confronti tra Philippe, i dipendenti, i rappresentanti del sindacato e la cinica responsabile della sezione francese dell’azienda, Claire Bonnet Guérin, interpretata dalla giornalista televisiva Marie Drucker; e Lindon, al solito, è impeccabile nel far emergere il nervosismo, la frustrazione e il senso di logoramento di un individuo incastrato fra incudine e martello, e tuttavia determinato a difendere fino all’ultimo i propri dipendenti.
Un altro mondo è impossibile
A segnare degli occasionali intermezzi, all’interno di questa cronaca di un ennesimo “gioco al massacro” consumato sulla pelle dei lavoratori, sono i frammenti della crisi familiare di Philippe: la rottura con la moglie Anne (una dolente Sandrine Kiberlain), la quale gli rimprovera di esser venuto meno al ruolo di marito e di padre, e i problemi psichici del figlio Lucas (Anthony Bajon), ingabbiato nell’illusione paranoica di una facile carriera a portata di mano, offertagli su un piatto d’argento da Mark Zuckerberg in persona. E se Philippe non rinuncia alla prospettiva di “un altro mondo”, contrassegnato dal modello di un capitalismo dal volto umano, a metterlo davanti a una spaventosa epifania è il boss della multinazionale, nella scena più drammatica e rivelatrice del film: la videoconferenza durante la quale si delinea quell’implacabile gerarchia in cui, al di sopra di qualunque essere umano, regna un’entità suprema chiamata Wall Street. E allora, forse, non è possibile alcun altro mondo.
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Conclusioni
Più complesso e inquietante dei due capitoli precedenti, proprio in virtù della scelta di una focalizzazione ‘intermedia’ fra la classe lavoratrice e chi tiene le redini del mercato, Un altro mondo è la degna conclusione della trilogia di Stéphane Brizé, costruita ancora una volta attorno a un grandioso Vincent Lindon: un lucidissimo affresco dei nostri tempi, in cui neppure i rapporti umani e la dimensione familiare possono sottrarsi alle dinamiche del mondo del lavoro e di un capitalismo sempre più disumano.
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Voto ScreenWorld