Se Silent Hill ci ha aperto le porte dell’inferno, è con Silent Hill 2 che attraversiamo quelle porte per addentrarci in una valle di dolore, perversione e follia.
Non desta sospetti la scelta di Konami di rilanciare il franchise di Silent Hill, optando per un rifacimento del secondo capitolo. Per quanto il primo Silent Hill sia un titolo di assoluta bellezza, è con Silent Hill 2 che il franchise riesce a staccarsi l’etichetta da “clone” di Resident Evil, per dimostrare di possedere una spina dorsale di tutto rispetto, costruita con stilemi diversi dagli zombie di Capcom, abbracciando una narrazione dove la rappresentazione e diretta esplorazione della psiche umana, restituiva un’esperienza videoludica inedita per gli standard di allora.
Silent Hill 2, gli orrori di James
Chiudere gli occhi non cancella i macabri orrori che abbiamo davanti a noi. Magari li evitiamo, giriamo al largo facendo finta di non vederli, ma sono lì, in agguato, che aspettano la giusta finestra di azione per ripresentarsi a noi con ancora più violenza, facendo rumore e trascinandoci verso l’oblio.
L’oblio di James è la cittadina di Silent Hill, luogo dove la moglie lo invita per incontrarsi di persona. Ma la moglie di James è morta da diversi anni, dunque chi o cosa lo sta spingendo lì?
Come una terra di purificazione divina, tra orride creature, personaggi con forti problemi e una donna che somiglia moltissimo alla moglie defunta di James, Silent Hill 2 è una scala a chiocciola verso una melma densa e maleodorante, che gradino dopo gradino si tramuterà nel brodo primordiale dove gli incubi di James hanno avuto origine.
Silent Hill e le sue macabre mostruosità assumono la forma dell’incubo intimo da cui è impossibile uscire. La sindrome del sopravvissuto si avvinghia alle caviglie di James, mentre scopriamo la verità dietro la morte della moglie e le certezze, prima così forti, ora cadono come un castello di carte, rileggendo inevitabilmente tutta l’avventura vissuta fino a quel punto, fino al fatidico finale e la scoperta della verità.
Come si costruisce un capolavoro?
Era importante fare qualcosa di estremamente forte e convincente con Silent Hill 2. Se il primo capitolo è stato il prodotto di una fortunata e rarissima combinazione di persone e talenti allo stato grezzo, messi assieme da Konami, con un piccolissimo budget, a creare un gioco clone di Resident Evil, Silent Hill 2 assumeva tacitamente la promessa di continuare a disegnare il percorso tracciato dal precedessore.
La ricerca di un’esperienza ed espressione ludica diversa dalla semplice sopravvivenza da zombie e creature mutanti ha portato gli sviluppatori – il Team Silent – ad affrontare una sfida maggiore, ovvero quel senso di sopravvivenza che ognuno di noi ha provato sulla sua pelle almeno una volta nella vita: sopravvivere a noi stessi.
La materializzazione di Silent Hill dunque è l’essenza della sfida e degli incubi che tengono in scacco la vita di James giorno dopo giorno. Tutta l’esperienza di gioco sarà un continuo confronto con elementi specifici della vita e del passato del protagonista. Ne è un esempio il temibile Pyramid Head, divenuto nel tempo creatura simbolo del franchise. Il primo incontro che avremo con questo mostro infatti metterà in evidenza un contesto sessuale – e relativa frustrazione vissuta da James – estremamente importante, seminando i primi indizi sulla comprensione dell’incubo che andremo a vivere.
Silent Hill diventa lo specchio della psiche di James, dei suoi peccati, desideri, colpe, frustrazioni e perversioni (quest’ultimi, elementi sempre presenti nel franchise, come il protagonista di Silent Hill 4, con puntellati interessi voyeuristici).
La discesa in Silent Hill è il perfetto manuale di come si costruisce un capolavoro: prendere il materiale di partenza e avvilupparlo attorno un personaggio da cui estrapolare – e veicolare – i messaggi più importanti, spiazzare il videogiocatore con temi forti, mai banali, mettendo in discussione le stesse azioni eseguite fino a quel momento e salutare lo stesso con almeno due finali (tra i tanti) che rappresentano la redenzione finale come la reiterazione degli stessi errori.
Siamo noi a compiere quelle azioni premendo i relativi tasti e ci sentiamo parte attiva di quelle scelte morali, divenendo sia vittime che carnefici degli eventi appena vissuti. Esperienze del genere, nel mondo videoludico, sono rare e come tali, valutate come piccole pepite d’oro.
Il Re della collina
Il retaggio di Silent Hill 2 è qualcosa di importante ancora oggi. Uno dei primi passi verso la legittimazione artistica del videogioco, vera e propria opera catalogabile come capolavoro universale, capace di trascendere il suo stesso medium per divenire qualcosa di più.
Come capita in queste situazione, il franchise poi si trova a dover fare i conti con un vero e proprio titano videoludico. Cosa fare nell’immediato futuro: fermarsi per evitare di rovinare il nome di Silent Hill, o continuare sperando nel miracolo?
Ecco dunque che, con soli due capitoli alle spalle, Silent Hill è diventato subito sinonimo di estrema qualità, che purtroppo mancherà in tutti i capitoli successivi, decretando nel tempo, la graduale morte del franchise, capitolo dopo capitolo.
Silent Hill 3 è un’operazione buona, ma mai eccelsa, mentre Silent Hill 4: The Room, ultimo capitolo sviluppato dal Team Silent, è risultato molto controverso, ma anche molto amato da chi cerca quel tipo di narrazione e qualità che mette in correlazione l’orrore ad aspetti sociali e psicologici. Totalmente da dimenticare il tris di Origins (2007), Homecoming (2008) e Downpour (2012) con un occhio di riguardo a Shattered Memories (2010), una rielaborazione estremamente particolare del primo Silent Hill – ma non remake – dove il gioco stesso, a seconda delle nostre scelte, elaborerà un profilo psicologico del videogiocatore, chiave di volta per svelare il finale.
Paure e speranze
Con la rinata intenzione di Konami di tornare a sviluppare videogiochi, le prime mosse riguardo i suoi franchise sono state già svelate: Metal Gear Solid è pronto a tornare con il remake del terzo capitolo, assieme a una collector dei primi giochi già uscita, mentre attorno Silent Hill c’è stato un movimento assai più corposo, con molteplici progetti partiti e dati in mano a studi di sviluppo tutti diversi, un nuovo merchandising e anche un altro film, in sviluppo da mesi, ma senza ombra di dubbio gli occhi sono tutti puntati sul remake di Silent Hill 2.
Questo è il progetto che a breve avremo tra le nostre mani, il più bramato come il più temuto proprio per il delicato tessuto narrativo, da molti considerato inviolabile.
Al netto delle paure, a vincere però è la curiosità. Una curiosità comunque estremamente delicata e macabra, perché il viaggio di Silent Hill 2 ha lasciato cicatrici in tutti noi e tornare a provare quel tipo di dolore, ha sempre quel gusto di estremo piacere sadico, motivo per cui lo giocheremo, sperando di amarlo di nuovo, arrivando ai titoli di coda distrutti nell’animo. Esattamente come il suo protagonista.