Correva l’anno 2006, e Bob Iger, che alcuni mesi prima aveva sostituito Michael Eisner come amministratore delegato della Disney, portava a termine la sua prima grande acquisizione: la Pixar. Una scelta motivata dal fatto che lo studio situato a Emeryville e specializzato in animazione digitale fosse, all’epoca, l’unica fonte di guadagno solida per la major in termini di animazione per il grande schermo (con personaggi che, a differenza di quelli della Disney Animation dopo il cosiddetto Rinascimento, erano entrati nell’immaginario collettivo).
Fa un certo effetto, quindi, vedere che Bob Chapek, successore di Iger, considera la Pixar come mera fabbrica di contenuti per Disney+, che ha accolto in esclusiva, senza passaggio in sala o uscita ibrida con Premier Access, tutte le produzioni dello studio completate dopo l’inizio della pandemia (anche se Lightyear, in uscita in estate, in teoria beneficerà del modello distributivo tradizionale in quanto parte del franchise di Toy Story). Come vedremo nella recensione di Red tra queste c’è anche il film di Domee Shi, una storia di ribellione adolescenziale e rapporti genitori-figli con tocchi di fantastico.
Red
Genere: animazione, fantastico, commedia, avventura
Durata: 99 minuti
Uscita: 11 marzo 2022 (Disney+)
Cast: Rosalie Chiang, Sandra Oh, Ava Morse, Maitreyi Ramakrishnan, Hyein Park
Il grande problema rosso
Siamo a Toronto, dove è cresciuta la regista Domee Shi e dove vive la tredicenne Meilin Lee detta Mei. La sua è una vita fatta di tradizioni, con la madre Ming che le ricorda costantemente l’importanza della cultura ancestrale e disapprova gli interessi personali della figlia. Il loro rapporto si complica ulteriormente quando Mei, in piena trasformazione puberale, una mattina si ritrova con le sembianze di un enorme panda rosso. I genitori le spiegano che ogni membro femminile della famiglia va incontro a questa metamorfosi in seguito alle azioni di un’antenata, e per contenere la cosa bisogna eseguire un rituale molto specifico. Nelle intenzioni di Ming, Mei rimarrebbe rinchiusa fino a quel momento, dato che la trasformazione è provocata da qualsiasi sbalzo emotivo, ma la ragazza scopre un modo per tenere il tutto sotto controllo, e spera di potersene servire per andare avanti con la propria vita. Cosa non facile quando si vive con una genitrice dal pensiero molto conservatore…
Nuove generazioni
Domee Shi si è già fatta notare in casa Pixar con il bellissimo cortometraggio Bao, che nel 2018 accompagnava l’uscita in sala de Gli Incredibili 2 e affrontava, in modo diverso ma sempre in ottica incantata, i rapporti tra genitori e figli. Un discorso che continua in questa sede e porta avanti quella che, forse inavvertitamente, è la dichiarazione d’intenti della Pixar da qualche anno a questa parte: dopo l’estromissione di John Lasseter, ben quattro film dello studio, a cominciare da Toy Story 4 (realizzato mentre Lasseter era ancora a capo dello studio, ma uscito dopo il suo addio), hanno affrontato il tema del doversi affrancare da genitori e/o mentori (mentre Soul, firmato dal successore Pete Docter, esplora il dover ritrovare l’ispirazione di un tempo). Un fattore reso ancora più significativo dal fatto che ora inizia a passare dietro la macchina da presa una nuova generazione di cineasti, di cui fanno parte Shi e il collega Enrico Casarosa (regista di Luca), reclutati dalla Pixar dopo i primi successi (lui è stato assunto nel 2002, lei nel 2011) e ora membri del Senior Creative Team dell’azienda.
Con il suo esordio nel lungometraggio, la regista esplora territori simili a quelli di Casarosa, applicando il filtro delle trasformazioni fisiche paranormali a un racconto di formazione ancorato in un contesto culturale autobiografico, quello della comunità di origine cinese in Canada. Dà alla pubertà (e in particolare al menarca, esplicitamente menzionato qualora la metafora fosse poco chiara) una manifestazione fisica che racchiude tutte le contraddizioni di un’età difficile, quasi una versione più pulita di quello che fa Netflix con la serie Big Mouth (dove esistono creature come i mostri ormonali, guidati dalle pulsioni sessuali dei protagonisti). E prende anche uno stereotipo, quello dei genitori asiatici che difficilmente approvano le scelte dei figli, e gli dà uno spessore che, pur non raggiungendo le vette emotive che siamo soliti associare alla Pixar, conferisce al film un’identità spirituale solida e coinvolgente, un ponte tra le vecchie e le nuove generazioni. Queste ultime sono ben rappresentate anche a livello sonoro e musicale, con le composizioni di Ludwig Göransson e le canzoni scritte da Billie Eilish insieme al fratello Finneas O’Connell, che in originale è anche la voce di uno dei membri di una popolare boy band.
Slapstick come se piovesse
Se non c’è la solita garanzia di occhi umidi, è più che mantenuta la promessa umoristica, con un’animazione che mette in risalto la componente puramente fisica delle gag. Da quel punto di vista, abbiamo a che fare con uno dei film più spassosi in assoluto della Pixar, con un’attenzione alla comicità slapstick e personaggi deformati alla Tex Avery allo scopo di far ridere che sono elementi atipici per lo studio (è più consono ritrovare queste caratteristiche nelle produzioni di rivali come la DreamWorks o la Sony Pictures Animation). E forse è lì che si cela la vera arma segreta del progetto: se a livello contenutistico e tematico siamo in zone molto riconoscibili per chi segue le attività della Pixar da anni, in termini estetici comincia a farsi avanti qualcosa di nuovo, frutto della fantasia di cineasti che non sono legati alle tradizioni di lasseteriana memoria. E anche per questo dispiace che, salvo casi eccezionali legati a festival e simili, quasi nessuno potrà assistere a questa trasformazione sul grande schermo.
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Conclusioni
Red segna una svolta per la Pixar, che rimane fedele ai suoi precetti tematici ed emotivi ma esplora nuovi territori a livello di animazione, in particolare in ambito umoristico.
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Voto ScreenWorld