A poco a poco, impercettibilmente, il mondo inizia a mutare. Le nuvole si deformano in volti, gli alberi sembrano contorcersi in espressioni antropomorfe, le superfici riflettono immagini troppo nitide per essere semplici illusioni.

La paura è una maestra crudele, ma efficace. Insegna più dell’esperienza, più delle parole, più della scuola. È l’ansia, il terrore, lo spavento a impartire le lezioni più dure, soprattutto ai bambini. Vuoi insegnare a temere il fuoco? Nessun discorso sarà mai incisivo quanto una scottatura sulla pelle.

In Occhi (Kocchi Wo Miteru), di Soshichi Tonari e illustrata dal maestro dell’orrore Junji Ito, è proprio questa serpeggiante trasformazione a innescare l’incubo: il manifestarsi improvviso di facce. Ovunque. Volti incisi nel paesaggio urbano e domestico, talmente radicati nella realtà da risultare invisibili a chi non è predisposto a vederli. Fino a quando uno di quegli sguardi non sceglie una vittima. E allora comincia la persecuzione: il volto non smette di puntare, di osservare, di inseguire.

Occhi è un titolo tanto breve quanto carico di tensione. Pubblicato da J-POP Manga, il cui testo originale è vincitore del “Ghost Story Picture Book Contest” (concorso indetto dall’editore giapponese Iwasaki Shoten), il volume è stato presentato in grande formato, con copertina rigida e sovracoperta, impreziosito da una raffinata veste editoriale. Una gemma per collezionisti e amanti del genere, ma anche un’ulteriore conferma del ruolo di Ito come architetto del terrore.

Il terrore dell’ordinario: cosa si prova nel sentirsi osservati?

Occhi, Junji Ito, © J-POP Manga
Occhi, Junji Ito, © J-POP Manga

Ma cosa temiamo davvero?

I mostri? I fantasmi? Quelle creature protagoniste indiscusse delle storie dell’orrore? Vampiri, esseri informi, l’uomo della laguna… oppure presenze più subdole: bambini negli armadi, case infestate, luoghi che dovrebbero essere sicuri e – invece – celano il vero terrore. Talvolta, è la quotidianità stessa a farsi spaventosa.
Tutto può generare inquietudine. Ma c’è una paura che si insinua più delle altre, un’angoscia sottile e persistente, che si aggrappa addosso e non se ne va. E Ito vanta proprio questa capacità rara fornitagli dal dio dell’orrore: trasformare l’ordinario in un vero e proprio incubo.

Difatti, protagonista della storia è un bambino che inizia a percepire anomalie attorno a sé, nel proprio ambiente sicuro: riflessi, ombre, immagini incise nei muri che paiono osservarlo. Tuttavia, nessun altro sembra accorgersene. Occhi ovunque. Volti ovunque. I muri si deformano in facce, il cielo si contorce in espressioni distorte, le nuvole si fanno creature viventi. Una realtà familiare che si trasforma in incubo, sotto lo sguardo giudicante del mondo. Gli sguardi lo braccano, lo seguono ovunque, spuntano come funghi. In tal caso, dunque, l’orrore non è qualcosa che irrompe da fuori: è già lì, nascosto in piena vista, radicato nel quotidiano.

Questo tipo di narrazione rifugge i classici cliché dell’horror. Non ci sono mostri urlanti o apparizioni improvvise. L’inquietudine nasce dai dettagli nascosti, dalla ripetizione dei volti, da un’ansia che si sedimenta pagina dopo pagina. È un orrore che agisce come un veleno: lento, ma inesorabile.

Lo sguardo come maledizione

Occhi, Junji Ito, © J-POP Manga
Occhi, Junji Ito, © J-POP Manga

Per capire l’opera di Ito, ci viene in soccorso la saggezza popolare napoletana: l’uocchie ‘nguoll, gli occhi puntati addosso, il malocchio. Perché lo sguardo, nella tradizione scaramantica, è carico di potere, e anche di male. Ma come si sfugge a certi sguardi, quando non provengono nemmeno da esseri umani? È ciò che si domanda il giovane protagonista di Occhi. Tuttavia, lui vede ciò che gli altri non vedono.

Nella cultura e nella narrativa, lo sguardo è da sempre simbolo di controllo, giudizio, potere. Dalla Medusa mitologica al malocchio mediterraneo, il timore di essere osservati è una paura antica e universale. In Occhi, Ito recupera questa suggestione e la attualizza con lucidità. Lo sguardo non è mai neutro: non accompagna l’individuo, ma lo perseguita.

Gli occhi, oltre a rappresentare potenti simboli narrativi, costituiscono anche uno degli strumenti espressivi più incisivi nel linguaggio del manga. Difatti, a pensarci bene, nell’estetica del character design giapponese lo sguardo riveste un ruolo centrale: è attraverso gli occhi che si veicolano emozioni profonde, intenzioni nascoste e stati d’animo complessi. E nei racconti dell’orrore, questo potenziale visivo si trasforma in un mezzo efficace per generare inquietudine. Uno sguardo disallineato, un’iride innaturalmente grande, oppure un volto che appare umano ma ha qualcosa di disturbante, attivano il meccanismo della uncanny valley.

Cos’è l’uncanny valley?

La cosiddetta Uncanny Valley (in italiano “valle misteriosa”) è quel senso di disagio che molti di noi provano quando guardano un oggetto inanimato con delle sembianze umane. (via geopop.it)

D’altronde, sebbene l’essere umano sia un osservatore per natura, è profondamente turbato quando diventa oggetto di uno sguardo. Si sente nudo, impotente.

Un’ossessione ricorrente

Occhi, Junji Ito, © J-POP Manga
Occhi, Junji Ito, © J-POP Manga

Il tema dello sguardo attraversa l’intera produzione di Ito: oseremmo dire che – talvolta – ne è il vero protagonista. Lo ritroviamo, ad esempio, ne Le storie dell’orrore di Mimi, dove volti e mani di bambini scomparsi attirano i personaggi verso un destino mortale. Anche lì, come qui, è lo sguardo l’elemento disturbante: lo sguardo come maledizione, come portale verso l’abisso. Del resto, gli occhi sono un potente incantesimo narrativo, e Ito lo sa bene.

Oltretutto, l’infanzia – nei racconti del maestro – non è mai rifugio: i bambini sono testimoni, vittime o veicoli di forze invisibili. Difatti, in Occhi il piccolo protagonista è completamente solo nella sua percezione dell’orrore. Non riesce a comunicare con gli adulti, non è in grado di liberarsi dagli sguardi, nessuno gli crede. Questa incomunicabilità è – forse – anche indice dello scarto generazionale tra percezione e comprensione: i bambini sono affascinati dalle storie dell’orrore, il che gli permette di sviluppare una fervida immaginazione. Tuttavia, tali fantasticherie possono tramutarsi in… incubo.

Una galleria dell’orrore

Occhi, Junji Ito, © J-POP Manga
Occhi, Junji Ito, © J-POP Manga

Più che un semplice manga, Occhi è un esperimento visivo sulla paura, una galleria dell’orrore. Ogni tavola è un dipinto, un quadro raccapricciante. Ogni dettaglio è orientato a destabilizzare il lettore, vezzo artistico del maestro Junji Ito: il suo segno meticoloso, accompagnato da una palette di toni freddi, raggiunge qui una raffinatezza disturbante. La realtà si incrina con eleganza: da macchie sul muro ad aloni distorti, sino a tramutarsi in volti dagli occhi sbarrati. Junji Ito, ancora una volta, riesce nell’impresa di rappresentare l’orrore che nasce dall’ordinario.

Nel corso della narrazione, i volti si fanno via via più definiti: da semplici macchie sui muri a sguardi penetranti, fino a sembrare veri e propri visi, quasi palpabili. Tangibile, invece, è la paura del protagonista, costretto a confrontarsi non solo con presenze invisibili, ma anche con la solitudine: nessuno, tra familiari e amici, sembra credergli o capirlo.

Il lavoro di Ito dimostra ancora una volta che non servono trame complesse o colpi di scena eclatanti per generare vero terrore. In tal senso, Occhi ci è parsa più una prova d’arte del maestro, una Galleria dell’Orrore formato cartaceo. La trama, breve e coincisa, non è altro che un’aggiunta, un di più, dinanzi alla maestria di Ito, che con il suo tratto ed estro creativo riesce a condizionare il lettore, ad inquietare. Scomode le sue tavole, come scomodi sono gli sguardi puntati sul giovane protagonista.

Un’opera breve, ma densa di inquietudine

Occhi, Junji Ito, © J-POP Manga
Occhi, Junji Ito, © J-POP Manga

Occhi è un’opera concisa, ma la sua brevità non è affatto un problema. In tal caso, è palese come poche pagine bastino a costruire una tensione crescente, una spirale di paranoia che inghiotte il lettore. Le illustrazioni, alcune delle quali realizzate da Ito con pittura a olio su pannelli di MDF, conferiscono al volume una dimensione artistica fuori dal comune. È un orrore che si insinua nelle fibre più sottili della percezione umana.

Eppure, non c’è nulla di esplicitamente cruento. L’orrore di Ito è suggerito, mai mostrato. Sfugge allo sguardo diretto. Ed è proprio questa ambiguità a renderlo tanto potente. È un’opera che si aggrappa alla mente del lettore come uno sguardo che non si riesce più a scrollare di dosso.

Con questa storia, Junji Ito, insieme a Soshichi Tonari, costruisce una piccola galleria d’arte cartacea. Ogni dettaglio è calibrato, utile a creare un forte disagio. E dopo la lettura, è difficile guardare una lavagna, una nuvola o una crepa nel muro senza sospettare che qualcosa – o qualcuno – ti stia fissando davvero.

Perché l’orrore, ci insegna Ito, non vive solo nei mostri, demoni e killer senza scrupoli. Vive nello sguardo, nella percezione di un gesto ordinario, nel quotidiano. Quel terrore appena accennato che si tramuta in panico, quando siamo certi che due occhi estranei siano puntati su di noi.

Dopotutto, una delle fobie più grandi è sapere che qualcuno ti guarda mentre dormi.

Conclusioni

8.5 Malocchio

Junji Ito riesce ancora una volta a trasformare l’ordinario in incubo. In Occhi, la paura cresce lentamente: da macchie indistinte si formano volti inquietanti che osservano il protagonista, isolato e incompreso. La trama è semplice, ma l’impatto visivo e psicologico è profondo. Con uno stile disturbante e mai esplicitamente cruento, Ito costruisce un terrore sottile, insinuante e psicologico.

The Good
  1. Galleria dell'orrore
  2. Prova d'arte del maestro Ito
  3. Inquieta in poche pagine
  4. Edizione di pregio
The Bad
  1. Prezzo un po' alto per l'esperienza
  • Voto ScreenWorld 8.5
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Napoletana, classe 92, nerd before it was cool: da sempre, da prima che fosse socialmente accettato. Dopo il diploma al Liceo Classico, una breve ma significativa tappa all'Accademia di Belle Arti mi ha aperto gli occhi sul futuro: letteratura, arte e manga, compagni di una vita ed elementi salvifici. Iscritta a Lettere Moderne, ho studiato e lavorato per poi approdare su CPOP.IT e scoprire il dietro-le-quinte del mondo dell'editoria. Dal 2025 scrivo per LaTestata e mi sono unita al team di ScreenWorld in qualità di Capo Redattrice Anime e Manga: la chiusura di un cerchio e il coronamento di un sogno.