Quando Netflix ha annunciato l’uscita di una docu-serie in quattro episodi su Wanna Marchi, molti hanno criticato il colosso dello streaming per la scelta di dare spazio ad un personaggio così controverso. Insieme a sua figlia Stefania Nobile, Marchi è stata una delle figure più rappresentative dell’Italia degli anni ’80: chiassosa, innovativa, un personaggio di grande successo che si arricchì vendendo promesse di felicità e scioglipancia alle spettatrici che speravano di ritrovare la forma fisica di un tempo.
Contrariamente alle aspettative e nonostante questo documentario veda la partecipazione attiva di Wanna Marchi e Stefania Nobile e di ex collaboratori – tra cui anche il redivivo Mago do Nascimento – non è un santino agiografico che celebra le due televenditrici e non le assolve dalle accuse gravi che le portarono dagli studi televisivi al carcere. Come spiegheremo nella nostra recensione di Wanna, il meticoloso documentario diretto da Nicola Prosatore e scritto da Alessandro Garramone con Davide Bandiera, è anche un racconto avvincente di quello che è stata l’Italia tra gli anni ’80 e ’90.
Wanna
Genere: Documentario
Durata: 45 minuti ca./3 episodi
Uscita: 21 settembre 2022 (Netflix)
Cast: Wanna Marchi, Stefania Nobile
La trama: da Vanna a Wanna, la donna che conquistò la TV con scioglipancia e sporchi trucchi
Arrivata alla soglia degli 80 anni, l’icona pop di Ozzano nell’Emilia ritrova il suo pubblico sul piccolo schermo (ma stavolta in streaming) per raccontarsi, apparentemente, a carte scoperte. Wanna oggi vive tra Milano e l’Albania, è una signora in forma smagliante, brilla nei suo tailleur bianco con la chioma platino e il rossetto rosso e non ha assolutamente perso un grammo del carisma che caratterizzava le sue apparizioni televisive. Le luci dei riflettori tornano ad accendersi su Wanna (e sua figlia) per riportarci negli studi delle tv private e per intessere un racconto che parte dalle sue origini contadine e prosegue con i primi successi imprenditoriali e l’esordio televisivo. Un debutto battezzato da lacrime televisive strategiche che le permisero di conquistare il pubblico. Lacrime che ritorneranno, come a voler chiudere il cerchio, anche alla fine di questa incredibile parabola, davanti ai giudici. Lacrime che oggi sono diventate un meme e hanno sancito la canonizzazione social di Wanna Marchi.
Il racconto di Wanna si interrompe ogni tanto per trovare un po’ di respiro e per dare la parola a sua figlia Stefania, ma anche ad ex collaboratori e altri personaggi che ne allargano la prospettiva, aggiungendo dettagli che vi lasceranno a bocca aperta. Le interviste realizzate in questi mesi si alternano alle numerose immagini d’archivio montate in modo tale da renderle parte attiva della narrazione. Il racconto pacato, ma graffiante, della Wanna di oggi, i suoi sorrisi a denti stretti si alternano a registrazioni recuperate con pazienza negli archivi delle reti private. Wanna e Stefania planano con destrezza sulle vicissitudini delle loro vite, senza risparmiarsi e senza tentare di riabilitarsi agli occhi del pubblico. Si parla di matrimoni naufragati, fallimenti commerciali, miliardi fatturati, spese pazze. Quando il racconto però si addentra in territori troppo scomodi anche per loro – accuse, truffe, legami con personaggi ambigui della politica e della criminalità – le due donne prendono le distanze o elaborano frettolosamente una versione molto diversa da quella delle loro controparti.
Ovviamente all’avventuroso racconto tempestato di paillettes e di aneddoti su centralini assediati da telefonate, indagini e prodotti inventati dal nulla (tra cui il famoso scioglipancia), non mancano le “massime di vita” di Wanna Marchi. E lei, la regina delle televendite, ci regala anche una scena in stile The Wolf of Wall Street.
“Vedi, io ho 79 anni e l’unica cosa che so fare qual è? Vendere. Cosa? Ditemi voi, datemi qualcosa da vendere e io la vendo, non c’è mica problema”
Gli anni ’80: l’urlo di Wanna Marchi scuote l’Italia tutta
Il documentario di Netflix spiega come ha avuto origine il fenomeno delle televendite nelle tv private e di conseguenza, come si sono affermati personaggi come Wanna Marchi e Roberto da Crema (che ritroviamo tra gli intervistati, con il leggendario baffo sostituito da una barba candida). Tra tanti imbonitori, Wanna spicca per il suo stile e per l’approccio al pubblico, meno accondiscendente e più aggressivo, all’insegna del bodyshaming più estremo. Ma attenzione: la differenza tra il bodyshaming che oggi frutta engagement agli influencer e le “cazziate” di Wanna è che queste ultime puntavano a scuotere gli spettatori abituati ad una tv che non era urlata come quella di oggi, per fargli prendere coscienza della loro inadeguatezza fisica e offrirgli prontamente il modo per risolverla. Le “ciccione” di Wanna Marchi vedevano in lei un personaggio televisivo inedito, un volto familiare a metà strada tra il Sergente Hartman e l’amica matta e senza filtri. Wanna le aspettava nel suo salotto televisivo per dirgliene di tutti i colori, per poi intrattenerle e attirarle nel suo cerchio magico, dove era possibile dimagrire mangiando di tutto e riscoprirsi attraenti e realizzate.
“Un signore mi chiamò in diretta per lamentarsi della moglie, che era stata piacente e bella ed era diventata un baule informe, una roba allucinante”
Siamo negli anni ’80, in cui l’ossessione per il fitness e le diete dimagranti iniziano a prendere piede, gli anni dei corsi di aerobica in tv tenuti da dive scattanti e sgambatissime, come Jane Fonda e Barbara Bouchet. Nello stesso periodo Verdone e Pozzetto scherzavano sulle cliniche dimagranti con il loro film Sette chili in sette giorni, tra padellate colpevoli di amatriciana e “cene psicologiche”. In questo fermento collettivo, Wanna Marchi dichiara “guerra al lardo” promettendo di restituire ai suoi clienti corpi tonici e snelli senza alcuna rinuncia e senza fatica. Un’utopia che tutt’oggi, quarant’anni dopo, resta irraggiungibile. Le promesse di Wanna si reggevano sulle sue spiccate capacità imprenditoriali e comunicative, ma anche su qualche azzardo che l’avrebbe portata ad un passo dal perdere tutto.
Gli anni ’90: amuleti, ricatti e centralini
La prima parte della serie Netflix è vivace come un episodio di Desperate Housewives ambientato ad Ozzano. Nel momento in cui il racconto su Wanna e Stefania si addentra negli anni ’90, cambia registro e si fa più cupo e torbido, una favola con maghi, regine cattive e faccendieri, con un tocco alla Tangentopoli.
Le due venditrici sono arrivate al culmine della popolarità, ma l’incontro con il Marchese Capra de Carrè stravolge tutto. Non vogliamo anticiparvi troppi dettagli, perché la narrazione è davvero avvincente e ricca di colpi di scena, ma è in questo momento che entra in scena Mario Pacheco do Nascimento che oggi vive in Brasile e non si azzarda a tornare in Italia, anche se potrebbe. Vediamo il mago nei filmati d’archivio, a torso nudo, avvolto nei fumi degli incensi, impegnato ad officiare riti televisivi, e lo ritroviamo oggi, con una folta barba scura, mentre rievoca i tempi andati. Wanna ci racconta il rapporto del mago con Stefania Nobile e la sua rocambolesca fuga in Brasile, per evitare di finire in carcere come le sue compagne di merende.
Wanna, Stefania e il mago vendono amuleti, sali magici e numeri per il lotto, ma dietro le quinte del loro vivace show, si organizzano truffe milionarie ai danni di persone psicologicamente fragili. Un’inchiesta di Striscia la Notizia metterà fine alle carriere delle due signore urlatrici. Il racconto qui si fa più serrato e le versioni narrate discordano. Wanna Marchi non rinnega nulla e lo fa con dichiarazioni che faranno discutere. Per quanto riguarda i procedimenti giudiziari, i loro sospetti si concentrato su una persona che potrebbe aver tramato contro di loro.
“Dio perdona, Wanna Marchi no”
Testimoni d’accusa: l’ex marito, le collaboratrici e un chimico
Come abbiamo detto, il racconto di Wanna Marchi e Stefania Nobile è intervallato dalle testimonianze di persone che le hanno conosciute e hanno lavorato con loro. Si parla del rapporto tra Wanna e l’ex marito Raimondo Nobile – “anche da morto mi perseguita, questo maledetto” recita lei, con un’interpretazione da attrice consumata – ma anche del rapporto, più solido, con il secondo compagno, Francesco Campana, scomparso poco prima dell’uscita del documentario. Viene dato spazio anche al racconto di Primo Tortini, il chimico che inventò lo scioglipancia nel giro di poche ore, ma le testimonianze più sconcertanti arrivano dalle ex collaboratrici e soprattutto da Milva Magliano, “l’amministratrice dell’azienda che anni fa fu condannata per appartenenza alla nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo”.
Wanna e Stefania, una vita pubblica e più di un segreto
Una parte consistente del documentario è dedicato al rapporto simbiotico tra Wanna Marchi e Stefania Nobile, che va oltre i ruoli di madre e figlia. Wanna Marchi non è solo un nome, ma è l’insegna che campeggia sulle loro teste, sorretta da due personalità sopra le righe e dalle loro vite pubbliche, esplicite, urlate. Nel buio dietro l’insegna però, sembrano nascondersi altri segreti, e il documentario ce lo fa intuire un attimo prima dei titoli di coda.
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La recensione in breve
Wanna è una serie documentario in quattro episodi che racconta l'ascesa e la caduta di Wanna Marchi e Stefania Nobile e l'Italia degli anni '80 e '90, tra luci dei riflettori e molte ombre. Un racconto ben congegnato, che intrattiene e sorprende lo spettatore con rivelazioni e interviste.
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Voto ScreenWorld