Due anni di attesa, funestati da ritardi di produzione (per ormai ben note ragioni) e imprevisti di natura personale (la notizia del malore di Bob Odenkirk durante le riprese). Due anni che non hanno intiepidito l’attesa con cui è stato accolto il ritorno di Better Call Saul − spinoff/prequel della serie madre, l’ape regina Breaking Bad − approdato alla sua sesta e ultima stagione su Netflix. Due anni che aspettavamo di poter scrivere la recensione dei primi due episodi di Better Call Saul 6.
E, finalmente, ci siamo.
Better Call Saul – Stagione 6
Genere: Drammatico
Durata: 13 episodi/50 minuti ca.
Uscita: 19 aprile 2022 (Netflix)
Cast: Bob Odenkirk, Rhea Seehorn, Jonathan Banks
A un passo dall’inizio
Un totale di 13 episodi, i primi sette rilasciati a cadenza settimanale a partire da questo 19 aprile, gli ultimi dall’11 luglio 2022, con cui gli autori Vince Gilligan e Peter Gould segneranno la conclusione di un’epopea americana che ha portato l’eccellenza all’interno della serialità televisiva contemporanea. Un’eccellenza che fino ad oggi non ha mai vacillato, i cui unici “scivoloni” sono quelli del suo protagonista, quel goffo, scaltro, spontaneo “Slippin” Jimmy all’inizio del suo percorso professionale.
E questi due episodi iniziali, sin dai primi fotogrammi, hanno riconfermato la loro appartenenza a un campionato dove la qualità tecnico visiva, la solidità della scrittura e la maestria nel muoversi agilmente all’interno di piani temporali diversi senza perdere compattezza narrativa, non hanno mai subito flessioni o incrinature.
Una writing room, quella di Gilligan e Gould, che da sempre ha le idee molto chiare. Una chiarezza che ha consentito agli autori di modellare un universo complesso, dettagliato e coerente, lasciando però intelligentemente tutto lo spazio necessario alla fioritura di quei personaggi che nel corso delle stagioni hanno richiamato attenzione a gran voce. Ed è su tre di questi – amatissimi dal pubblico − che l’occhio di bue ha fissato il suo fascio di luce, riprendendo dal punto esatto in cui li avevamo lasciati nell’ultimo episodio della quinta stagione.
La bussola rotta della moralità
Kim Wexler, una magnifica Rhea Seehorn sempre più calata nell’ambiguità di un personaggio al bivio, abilissima nel gestire il dinamismo di un’evoluzione di cui finalmente vedremo gli esiti, e su cui pende la domanda che ci teniamo dall’inizio di Better Call Saul. Che fine farà, alla luce del fatto che la donna non è presente nella serie madre? In questi primi due episodi, Kim appare ancora più risoluta nel mettere in atto la truffa pianificata col marito Saul Goodman ai danni dell’ex socio Howard Hamlin, giocando una parte attiva che lascia il “fu” Jimmy McGill sempre più a disagio, incapace di penetrare una cortina che sembra stia diventando sempre più spessa e indecifrabile.
Ed è grazie a questa indecifrabilità, costruita in modo sapiente e calibrato, che la personaggio di Kim è riuscito progressivamente a calamitare l’interesse del pubblico e a configurarsi come imprescindibile polo magnetico di tutto lo show. Non più contraltare deontologico di Saul ma complice propositiva che ha silenziosamente riconfigurato la propria bussola morale. Fin dove, aspetteremo di vederlo al termine della stagione, dopo che la fanbase, in questi ultimi due anni, si è lanciata nell’esplorazione di ogni plausibile (o meno) ipotesi.
I villain di cui avevamo bisogno
Parallelamente alle vicende della coppia Wexler/Saulman, scorre la vicenda del cartello messicano, e in particolare di due strepitosi (ormai) coprotagonisti. Lalo Salamanca, interpretato dall’ottimo Tony Dalton, e il giovane e scaltro Nacho Varga, che si ritrova all’interno del fuoco incrociato di Lalo e dell’altro iconico villain dello show, che ha il volto sfingico di una nostra vecchia conoscenza, Gustavo Fring. Lalo, sopravvissuto all’imboscata ordita da Fring con l’appoggio di Nacho (che si è suo malgrado trovato a fare il doppiogioco ai danni del clan dei Salamanca, la più potente e temuta famiglia del cartello messicano), decide di restare in terra messicana per mettersi sulle tracce di Varga. Quest’ultimo, aiutato telefonicamente da Mike, si dà a una fuga disperata, in un crescendo di tensione drammaturgica e a tratti claustrofobica che sorregge la storyline più di genere dei due episodi, costellata da elementi di puro thriller ben equilibrati e nei quali gli autori dimostrano ancora una volta di essere nel loro elemento (o, a voler essere precisi, in uno dei loro numerosi elementi).
La partita è quindi tutta aperta, le pedine si sono rimesse in moto e si stanno muovendo ognuna nella propria direzione, lasciate libere di esplorare il proprio percorso col tempo di cui hanno bisogno. Resta comunque ben percepibile la sensazione che la sfasatura fra i diversi segmenti temporali, e il divario fra la natura iniziale e finale dei personaggi si stia colmando, confluendo in un’unica direzione che punta una freccia sempre più marcata in direzione di Breaking Bad. E se, come ci hanno preannunciato, anche Bryan Cranston e Aaron Paul faranno la loro apparizione all’interno di questa ultima stagione in un crossover più sognato che sperato, forse raggiungeremo l’acme e avremo davvero la chiusa perfetta di quello che è uno dei prodotti audiovisivi più completi e significativi nel vasto mare magnum della serialità contemporanea.
Ma di questo, ormai, ne riparleremo a visione conclusa.
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Conclusioni
Come scritto nella nostra recensione, non sorprende che i primi due episodi della sesta e ultima stagione di Better Call Saul soddisfino a pieno le pur alte aspettative a riguardo. La storia riprende senza soluzione di continuità da dove si era interrotta, e porta avanti le vicende dei protagonisti. Le qualità cinematografiche che da sempre caratterizzano lo show si mantengono inalterate, appoggiandosi a un cast che si riconferma per la bravura e la tridimensionalità conferita ai personaggi.
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Voto ScreenWorld