È notte in Georgia. Due amici, un nero e un bianco, sono seduti su una barca, in mezzo alle acque del lago Lanier, intenti a pescare. La conversazione prende una piega strana: si parla di antiche maledizioni e di cosa voglia dire “essere neri” ed “essere bianchi”. D’altronde, qual è la differenza? “Con abbastanza sangue e denaro chiunque può essere bianco” viene pronunciato da uno dei due personaggi in scena. In poco più di cinque minuti, dopo un’attesa durata quasi quattro anni, Atlanta entra subito a gamba tesa, mollando sulle nostre facce sorprese il primo schiaffo della stagione, mettendo in chiaro già il tema fondamentale dei suoi nuovi dieci episodi.
Fa male questo schiaffo. È un dolore che ci ricorda quanto ci era mancata Atlanta. Ci era mancata questa serie ormai in fase di chiusura (la prossima stagione, la quarta, in uscita quest’autunno, sarà l’ultima) che attraverso genialità nella messa in scena e nel racconto e una tagliente satira sociale continua a raccontare la contemporaneità americana (e non solo) con tutte le sue illusioni e i suoi problemi, soprattutto razziali. E anche identitari. Come vedremo nella nostra recensione di Atlanta 3, la serie disponibile su Disney+ creata da Donald Glover stavolta oltrepassa i propri confini geografici, scardina tutte le regole della serialità e, nonostante un senso di smarrimento e di giro a vuoto che colpisce sorprendendo lo spettatore, mette a fuoco un discorso talmente denso da risultare alla fine commovente.
Atlanta 3
Genere: Commedia/Dramma
Durata: 10 episodi/30 minuti ca.
Uscita: 29 giugno 2022 (Disney+)
Cast: Donald Glover, Brian Tyree Henry, Lakeith Stanfield, Zazie Beetz
Si può ancora parlare di trama?
Alla fine della seconda stagione avevamo lasciato i nostri quattro protagonisti principali su un aereo, in partenza per un tour europeo: Paper Boi, il rapper di successo pronto a girare l’Europa e guadagnare un po’ di soldi con la musica; il suo braccio destro Darius, personaggio sconnesso dal mondo e dalla forte impronta spirituale; il cugino ora suo manager Earn, che deve dimostrare di saper fare il suo lavoro, e l’ex compagna di quest’ultimo Van, che si trova in un periodo enigmatico della sua vita. Li ritroviamo all’inizio di questa nuova stagione… beh, in realtà non li ritroviamo. Subito il primo episodio della terza stagione di Atlanta mette le cose in chiaro: la serie capovolgerà le nostre aspettative, si divertirà con noi e darà vita a un racconto che procederà più per temi e quadri, invece che attraverso una linearità narrativa.
Alle vicende dei quattro protagonisti, spesso e volentieri separati tra loro, che si ritroveranno in varie città dell’Europa per un tour di cui non avremo traccia (se non per brevissimi momenti), si alterneranno episodi di stampo antologico che riguarderanno altri personaggi che poco sembrano avere a che fare con la trama principale. Difficile se non impossibile riassumere la trama di questa terza stagione: Atlanta sceglie la strada molto più complessa e variegata di non raccontare degli eventi, ma procedere per tesi. E così, ciò che viene portato avanti non è un racconto, ma un discorso, in cui vengono messe in scena situazioni, comportamenti, metafore, la cui somma è maggiore delle singole parti.
Atlanta State of Mind
In questo labirinto di narrazioni lo spettatore si immedesima nella stessa condizione dei personaggi, smarriti in un luogo estraneo, come le città europee che visiteranno, alla ricerca di una bussola per orientarsi. Eppure, paradossalmente, nonostante i luoghi diversi in cui sarà ambientata la terza stagione sembra quasi che nulla sia cambiato davvero. Atlanta non è solo una città della Georgia, punto di partenza delle storie dei protagonisti, ma è soprattutto uno stato della mente. Fil rouge di questa stagione, non importa chi sia il protagonista, è la rappresentazione del dolore e del passato, che ritornano sotto forma di spettri e fantasmi. È una stagione che porta sotto i riflettori la relazione tra la vita e la morte (fisica ma anche e soprattutto spirituale), in cui i personaggi si ritrovano in un limbo in cui i fantasmi del loro passato sembrano appoggiarsi sulle loro spalle, appesantendoli. Ogni episodio è intriso di questa dimensione fantasmatica, tra funerali imprevisti, esperienze extra-corporee e strambe maledizioni. Le situazioni grottesche e assurde di cui è intrisa la serie confermano la sua natura cinefila e contribuiscono a costruire il fulcro del discorso.
Perché Atlanta è soprattutto una serie sul razzismo americano, che mai come in questi episodi viene rappresentato in maniera lucida e interessante, mostrando i paradossi e la sensazione di eterni sconfitti che coinvolge entrambe le comunità. Quella black e quella bianca rappresentano due facce della stessa medaglia, a loro volta carnefici e vittime inconsapevoli, che sottolineano un disagio esistenziale e la sensazione di non essere mai abbastanza. In questo la serie di Donald Glover si dimostra incredibilmente contemporanea, oltre che geniale, capace di parlare alle nuove generazioni che devono fare i conti con un passato ingombrante, con le lezioni dei padri che sembrano valere sempre meno, facendo perdere loro ogni punto di riferimento su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Impossibile non sorprendersi
Guardare una serie come Atlanta (ci raccomandiamo la visione in lingua originale per meglio apprezzare l’uso della lingua e dello slang) significa entrare in un territorio che non si trova molto spesso in televisione. Per caratura e stile, era dai tempi di Twin Peaks – Il ritorno che non si assisteva a un’opera così geniale e sorprendente (peccato che in Italia, a differenza della messa in onda americana, gli episodi saranno disponibili in un’unica soluzione anziché diluiti ogni sette giorni), dove risulta davvero impossibile prevedere le derive narrative. Al netto di qualche episodio meno coinvolgente della media, la terza stagione di Atlanta regala alcuni degli episodi migliori della serie (in particolare l’episodio 8, New Jazz, e l’ultimo Tarrare sono due punte di diamante incredibili). Merito anche di un cast riuscitissimo a cui ormai non possiamo che sentirci legati, nella loro dimensione così umana.
Ed è proprio questa umanità che funziona in Atlanta. Nonostante tutto non si può fare a meno di riconoscersi nelle storie di Earn, Van, Paper Boi e Darius. Poco importa il colore della pelle o la cultura che ci ha formato. Si condividono gli stessi dubbi, le stesse incertezze. Si è tutti, in qualche modo, frammentati o surreali (il poster della stagione, in stile De Chirico, descrive bene lo status dei personaggi e la composizione della serie). Si vive nello stesso mondo e quindi nella stessa città. Siamo tutti cittadini di Atlanta.
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La recensione in breve
La terza stagione di Atlanta è unica nel suo genere. Lasciando da parte una trama vera e propria, i nuovi dieci episodi sorprendono lo spettatore risultando imprevedibili e densi di significato. Con un cast semplicemente fantastico, la serie di Donald Glover è quanto di più contemporaneo e geniale ci si possa aspettare.
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Voto ScreenWorld