Certi progetti sembrano impossibili, anche dopo la loro realizzazione. Perché fare animazione in Italia, ma anche soltanto pensarci, non è la più semplice delle missioni. Ci è riuscito ZeroCalcare ma farlo da zero, senza un successo nazionale e un nome solido alle spalle, diventa più complesso. Se Lucky Red e Prime Video hanno scommesso, con tutti i rischi del caso, su Il Baracchino, un motivo però c’è. Una commedia umana sul mondo della stand-up comedy, che tanto guarda all’animazione americana per stili e narrazioni e che, al momento giusto, sa essere amara e disarmante.

I sei episodi della serie, arrivata sulla piattaforma da pochi giorni, sono l’esempio che un lungo lavoro (quasi cinque anni, di cui venti mesi di produzione), tanto cuore e le giuste idee possono pagare. Salvo Di Paola e Nicolò Cuccì (da qui in avanti abbreviati in SDP e NC), con il loro studio Megadrago, le idee sembrano averle piuttosto chiare. I due autori, intercettati durante l’ultima giornata di EtnaComics 2025, hanno brevemente raccontato alcuni aspetti della serie ai microfoni di ScreenWorld.

Come si passa da Megadrago, da un garage di Palermo, a Lucky Red e Prime Video?

SDP: Pensa che Megadrago neanche esisteva quando abbiamo iniziato a parlare con Lucky Red. Megadrago è dovuta esistere proprio perché a un certo punto dovevamo fare questa cosa qua.

NC: Avevamo un altro nome, c’era un altro studio che si chiamava Basaricò ed era più piccolo. Poi lo stesso studio si è evoluto in Megadrago.

SDP: In realtà il nome originale doveva essere Supermegadragonpower ma non c’è l’hanno fatto fare, è stato scartato. Era un po’ troppo ambizioso. Ma anche inindicizzabile. A parte questo, come si fa? Io stavo già lavorando con Lucky Red per un’altra cosa, quindi diciamo che, oltre ai sacrifici importanti che abbiamo fatto, all’ostinazione e all’allineamento degli astri se vogliamo, ci sono state situazioni che siamo riusciti a cogliere.

NC: Fortuna e compromesso. Abbiamo sfruttato bene alcune opportunità.

Però prima facevate pubblicità. Questa esperienza è tornata utile?

SDP: Secondo me è stata una bella palestra, ci ha formati molto. Perché comunque devi dire un sacco di cose in pochissimo tempo e con poco budget. Tutto era poco, soprattutto il tempo a disposizione. Un mondo terribile da cui siamo fuggiti.

NC: E ci torneremo!

SDP: Quando le cose non andranno più bene torneremo a fare brutte pubblicità di vini.

Quindi sicuramente non andranno bene?

SDP: Ora non è che… voglio dire… tu inizia a toccarti [riferendosi a Cuccì].

Claudia e Gerry in una scena de Il Baracchino
Claudia e Gerry in una scena de Il Baracchino – ©Lucky Red

Da dove viene Il Baracchino? È una di quelle idee pazze che balzano in testa quando ti svegli al mattino?

SDP: Più che altro quando ti svegli il pomeriggio da un pisolino frustrato perché stavamo facendo cose noiose. In realtà Il Baracchino di per sé viene chiaramente dallo sbatterci le corna tutti i giorni, ma l’idea originale (lavoriamo su questi comici scarsi) viene dalla noia. Conta che inizialmente doveva essere una raccolta di pillole brevi, tipo per YouTube, e i comici li abbiamo contattati noi su Instagram.

NC: Diciamo che qualche anno fa, mentre eravamo annoiati, Salvo ha pensato a questo test animato, un monologo di una sorta di proto-Gerri. Io l’ho completato aggiungendo il corpo ed è nata una “cosa”. Poi questa cosa si è espansa poco poco, poi un altro poco. Poi alla fine avevamo un concept carino, fico, che qualcuno ha voluto produrre. Ma è importante menzionare le persone di Megadrago, con cui l’abbiamo fatto. Perché alla fine noi abbiamo realizzato una bellissima cornice narrativa ma soprattutto i ragazzi dello studio hanno creato ciò che il pubblico vede nella serie.

Quanti eravate?

NC: In totale boh, quaranta persone?

SDP: Dipende da dove inizi a contare.

NC: Nei periodi più intensi, circa venti contemporaneamente nello stesso spazio. Scrivere per l’animazione è complesso. Nel senso, fai concept, poi lo scrivi, poi lo disegni, ti accorgi cosa non funziona, poi lo riscrivi e lo rifai e così via. E serve molto dialogo tra le parti, tra chi fa, banalmente, il character design o gli storyboard e chi scrive. Ci sono dietro un sacco di persone.

SDP: Questi nostri sottoposti, che diciamo, a fatica, assorbono il nostro talento e poi lo riflettono in maniera meno brillante [ride]. In realtà sono straordinari, sono molto più bravi di noi.

E com’è fare animazione per adulti in Italia?

NC: È un miracolo!

SDP: È un miracolo che ce l’hanno fatto fare. Perché se parli di animazione in Italia, qui i cartoni animati sono incentrati molto sul preschool, quasi tutto Rai Kids. Siamo ancora convinti che l’animazione sia una roba relegata ai bambini. Non solo, bambini molto piccoli. Chiaramente la serie di Zerocalcare è stata apripista per questa roba qua. Però apripista per chi? Per le case di produzione, perché per il pubblico no. Il pubblico mangiava animazione per adulti da mo’. BoJack Horseman, Rick e Morty ma anche I Simpson: il pubblico era affamato di questo tipo di animazione. Anche se Il Baracchino comunque parla a un pubblico trasversale, non solo adulto.

NC: Le produzioni dopo ZeroCalcare hanno iniziato a capire che c’è un mercato, qualcosa che loro credevano impossibile. Appoggiandosi al successo di ZeroCalcare come autore è stata una scelta un po’ più safe quella di fare una serie animata. Ma nonostante ciò si sono accorti che c’era un pubblico che non era solo quello di ZeroCalcare, ma anche quello di adulti che vogliono guardare animazione. Ora vedremo se confermeremo questo trend oppure la nostra sarà l’ultima cosa animata per adulti in Italia.

Per voi, quindi, il vostro progetto non è una scelta safe?

SDP: Esatto, per questo è un miracolo Il Baracchino. Perché non si appoggia su nessuna IP esistente, non ha un pubblico pre-esistente, a parte chiaramente avere la spinta dei comici doppiatori. È una roba completamente nuova, un’idea originale. È stata una scommessa per chi ci ha creduto. Lucky Red ha dovuto un po’ mettere i pantaloni da bambino grande per prendere questa decisione. È stato coraggioso… il signor Lucky Red.

Luca in una scena de Il Baracchino
Luca in una scena de Il Baracchino – ©Lucky Red

A proposito di ZeroCalcare, anche Il Baracchino va su piattaforma. La distribuzione sarà internazionale? Avete paura che fuori dall’Italia, proprio come accaduto a ZeroCalcare, possa perdersi qualcosa?

NC: Al momento non credo che sarà online ovunque, solo in Italia che io sappia.

SDP: ZeroCalcare però racconta proprio quel mondo lì, non racconta neanche l’Italia, proprio Roma.

NC: Se lo si adatta, Il Baracchino può funzionare. Noi mastichiamo prodotti doppiati e adattati da sempre, quindi è una cosa che si può fare. Se la sottotitoli e basta, sicuramente meno, dovresti conoscere la cultura italiana.

SDP: Vabbè, qualcosa si perde sicuramente, sempre, soprattutto nelle trasposizioni letterali. Ma questo vale per tutto. Il Baracchino poi è pieno di riferimenti alla cultura pop italiana: ovunque ci sono gag visive e citazioni.

I personaggi erano già chiari e definiti prima del doppiaggio o li avete costruiti in relazione alle voci?

SDP: Nascono contemporaneamente. Tutti i personaggi nascono insieme a chi li va a doppiare, tranne alcune piccolissime eccezioni. Il nostro obiettivo era lavorare insieme ai comici per cucirgli un personaggio addosso. Spesso l’idea, come nel caso del personaggio di Edoardo Ferrario o quello di Luca Ravenna, veniva da loro.

NC: I personaggi di Claudia e Maurizio, diciamo, nascono dopo, come cornice narrativa per la storia. A parte loro due, tutti gli altri sono stati pensati o sul doppiatore o addirittura con il doppiatore stesso. A volte alcune cose della trama vengono anche da piccole suggestioni che ci avevano dato.

SDP: Sì, e le parti sul palco sono improvvisate – quasi del tutto farina del loro sacco. Chiaramente dovevamo metterci un pochettino a far quadrare il tutto, in fase di scrittura e montaggio. Però noi siamo partiti da ciò che loro avevano scritto sul personaggio.

Soprattutto in relazione alla commistione di diversi stili d’animazione, molti accostano Il Baracchino a Lo straordinario mondo di Gumball, di Bocquelet. Quali sono stati per voi i principali riferimenti culturali, per la costruzione sia della narrazione che dello stile visivo della serie?

NC: Culturali? Allora Leopardi, Piero della Francesca…

SDP: Come si chiamava quello? Trilussa! Totò, Papa Ratzinger!
No a parte gli scherzi, secondo me la tripletta è The Office, Fleabag e BoJack Horseman.

NC: Mh, vabbè per me uguale ma visivamente bisogna aggiungere anche lo stile multitecnica di Gumball, la gente non ha visto male in realtà. Poi noi partiamo dalla stop-motion, quindi per me che faccio art direction tutto quello che è LAIKA. Anche Aardman ma meno, nei miei gusti c’è più quella puppet animation a là Wes Anderson, tipo Fantastic Mr. Fox. Cos’altro? Scott Pilgrim sicuramente! Sia il film che i libri, la serie no.

SDP: Dichiarazione forte.

Claudia in una scena de Il Baracchino
Claudia in una scena de Il Baracchino – ©Lucky Red

La scelta del bianco e nero vi ha aiutato o tecnicamente è stato più complesso lavorarci?

SPD: Non ci ha aiutato per niente, anzi! Forse un po’ nell’uniformità fra le diverse tecniche, proprio a livello di “pasta”, però quella noi la chiamiamo “salsa Megadrago”, cioè è una cosa di composizione nostra, che dà identità a tutto.

NC: L’identità del progetto si fonda sul bianco e nero ma dipende, a volte può essere un limite. Da un punto di vista compositivo, se hai lo stesso livello di grigio in due colori che sono complementari devi fare un tipo di ragionamento diverso per differenziarli.

SDP: Ci abbiamo sbattuto molto. Con le scale di grigi non puoi ragionare con i colori reali, devi pensare in scala di grigi. È come dipingere con la luce. Conta che Claudia c’ha tipo una ring light, una schicchera di luce dietro che veniva aggiunta a mano, perché non solo è bella ma soprattutto ci serviva qualcosa per staccare dallo sfondo. È assurdo pensare che una sedia in bianco e nero, in uno sfondo in bianco e nero ci metti un secondino in più a capire che è una sedia.

Avete citato The Office e l’impostazione sembra venire proprio da lì. Il Baracchino è un po’ il vostro finto documentario, il vostro mockumentary sulla stand-up comedy? E come sta la comicità italiana oggi?

SDP: Il Baracchino, inizialmente, nasce proprio con l’idea del found footage su questi comici. La comicità come sta? Ma bene dai. Secondo me sta crescendo parecchio e come tutte le cose che crescono e diventano pop, si imbastardisce un po’. Molte persone pensano si stia rovinando, che la qualità stia scendendo, ma in realtà è diventata semplicemente più nazionalpopolare. C’è un sacco di gente che adesso prova a fare questa matta cosa delle battute in giro e per me è una cosa bellissima. Chiaramente ci sarà un momento in cui la moda sfumerà e a quel punto ci sarà una piccola selezione naturale tra chi vuole fare questa cosa. Però come per l’animazione, il pubblico è molto affamato di ridere. Nella serie c’è anche una piccola critica al mondo dell’intrattenimento audiovisivo ma diciamo che il tema centrale, la questione non è dove lo fai ma per chi lo fai. È il cuore della storia.

Che futuro avrà Il Baracchino?

NC: Diciamo che stiamo lavorando alla seconda stagione, noi siamo pronti. Le idee ci sono. Al momento abbiamo uno slate di progetti, di cui uno verrà presentato ad Annecy: si chiama Sushi Boy, ne sentirete parlare presto.

SDP: Più altri tre progetti, un po’ segreti, che stiamo portando avanti e che cercano casa. Che però i ragazzi di Megadrago si stanno facendo un mazzo così per svilupparli. Noi abbiamo uno zainetto pieno di cose, ora sta al mondo capire se le vuole… che frase finale ti ho dato?

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Siciliano, nato lo stesso anno dell'uscita di Evangelion e qualcosa dovrà pur dire. Critico e giornalista cinematografico e televisivo, con una smodata passione per il cinema fatalista di Hong Kong e le polpette al sugo. Laureato magistrale in Storia dell'arte - con una tesi su Robert Rauschenberg e Tom Phillips che gli ha tolto il sonno e la ragione - così da poter orgogliosamente dire a tutti "prendi l'arte e mettila da parte". Nello staff del Catania Film Fest. Ritiene che un film al giorno non possa togliere il medico di torno, ne servono almeno due. Parla in terza persona solo in alcune occasioni.