Tanjiro è un ragazzo gentile. Vive con i fratellini e la madre in una casetta di legno ai limiti della foresta. Dà una mano in famiglia, accudisce i minori, è attento al benessere dei suoi cari: insieme, vivono una vita serena. Ma, si sa, non tutto dura per sempre, e il Paradiso Taisho in cui sopravvivono i componenti della famiglia Kamado viene improvvisamente invaso dal demonio. Un demonio che indossa un completo nero, celando mani guantate imbrattate di sangue pronte a spargerne ancora e ancora.

Questo l’incipit di un manga che sembrava destinato a rimanere tra i tanti titoli di Weekly Shōnen Jump. La sua autrice, Koyoharu Gotōge, era un’esordiente dal tratto riconoscibile, dalla penna sensibile e il segno imperfetto. E il suo Demon Slayer – Kimetsu no Yaiba (2016) nel giro di pochi anni ha travolto l’immaginario collettivo con milioni di copie vendute, film da record al botteghino, merchandising e una popolarità che ha superato i confini del Giappone per conquistare il mondo intero.

Ma come ha fatto a diventare un vero e proprio brand?

Il cuore della storia, due fratelli contro il destino

Demon Slayer © amazon prime video
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Immagina di essere un gentile ragazzo di provincia, con una famiglia povera ma unita da amore e rispetto. In una fredda giornata d’inverno, però, tornando a casa da una commissione, scopri con orrore che i tuoi cari sono stati massacrati da un demone senza scrupoli. Ti disperi, in preda al dolore tenti di ragionare, ma ti accorgi che un membro è ancora vivo: tua sorella Nezuko è sopravvissuta, ma si è tramutata anch’essa in una creatura demoniaca. E così metti da parte, per un attimo, il sentimento di vendetta per far posto a un obiettivo ben più ambizioso: trovare una cura per farla tornare umana.

Da questa premessa, Gotoge costruisce una storia che parla di sacrificio e speranza. Non una vendetta fine a sé stessa, ma un amore fraterno che spinge Tanjiro a non arrendersi mai, nemmeno dinanzi a sofferenza e fallimento. Un cammino dell’eroe dalla semplicità disarmante: chiunque, anche senza conoscere i codici degli shōnen, può riconoscersi nella missione di Kamado Tanjiro e i suoi compagni.

Dunque, la “banalità” è stata paradossalmente la chiave del successo: una narrazione chiara e accessibile, ma al contempo sufficientemente ricca di emozioni e colpi di scena. Persino la struttura narrativa è stata progettata come un conto alla rovescia verso la resa dei conti finale con Muzan Kibutsuji. Niente archi “di riempimento”, poiché ogni volume aggiungeva un tassello necessario alla storia. Bastano pochi capitoli perché il lettore senta il peso del dovere e la determinazione del protagonista nel voler aiutare gli altri. Persino i malvagi demoni.

Il periodo Taisho

Demon Slayer © amazon prime video
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Templi, foreste, spade affilate e samurai ancora fedeli al bushido. La neve cade, copre la fitta vegetazione, mentre creature mostruose si nascondono nel buio.

Il manga di Gotoge si distingue per uno stile grafico riconoscibilissimo che mixa suggestioni tradizionali a un tratto moderno e dinamico. Di conseguenza, le scene di combattimento risultano fluide e spettacolari, mentre il design dei personaggi – pur non essendo “perfetto” – risulta in grado di trasmettere personalità. Ma sapete cos’è che rende a storia ancora più affascinante per il pubblico? L’ambientazione. Protagonista del titolo è – a nostro parere – proprio l’Era Taishō (1912–1926), periodo storico di grande trasformazione, dove il folklore si intreccia alla modernità, tra allenamenti ai piedi della montagna e battaglie sovrannaturali. In questo contesto prendono vita organizzazioni segrete come il Corpo dei Cacciatori di Demoni, ma anche tecniche di spada elaborate e antagonisti dotati di poteri, frutto di leggende e incubi propri dell’epoca.

Ma il riferimento al periodo Taishō non è soltanto scenografico. Storicamente parlando, si trattò di un momento di transizione cruciale per il Paese del Sole. In seguito all’apertura verso l’occidente e l’industrializzazione avvenuta nel corso dell’era Meiji, il Giappone conobbe un fermento culturale e sociale senza precedenti. La cosiddetta Democrazia Taishō comportò il fiorire di movimenti modernisti nel campo dell’arte e nella letteratura (promossi da autori quali Akutagawa Ryūnosuke). Anche l’estetica rifletteva questo incontro tra tradizione e modernità, tant’è che architettura e moda risentivano delle correnti occidentali, mentre la figura della moga (modern girl) divenne simbolo di emancipazione.

Dunque, il manga di Gotoge trova terreno fertile per intrecciare mito, azione e momenti di introspezione, trasformando la lotta contro i demoni in un racconto di crescita, con un protagonista empatico che preferisce sacrificare se stesso piuttosto che rinunciare alla speranza di un futuro migliore per la sorella.

I demoni, mostri o ombre di esseri umani?

Demon Slayer © crunchyroll
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Ma Demon Slayer non sarebbe diventato quello che conosciamo senza i suoi spettacolari antagonisti, a nostro parere il vero motore della storia. Nelle battaglie tra Tanjiro e le Lune (Crescenti o Calanti che siano), lo spettatore non si trova mai di fronte a semplici “mostri” da eliminare, poiché ogni demone porta con sé il peso di un passato doloroso, una ferita che lo ha spinto a cedere all’oscurità. E Tanjiro lo sa, ne è consapevole, tant’è che impara a comprenderli, a perdonarli, a provare empatia per loro, dando prova di un animo puro, cristallino.

Questo escamotage narrativo permette all’autrice di approfondire concetti chiave come quello di famiglia e perseveranza, sia per i protagonisti, sia per i villain. Il legame tra individui in Demon Slayer è fondamentale, sia quello tra Tanjiro e Nezuko, sia quello tra Gyutaro e Daki. Ma il destino di questi ultimi altro non è che riflesso di ciò che sarebbe potuto accadere ai fratelli Kamado, se solo avessero incontrato un anima oscura come Muzan anziché Giyu. Dopotutto, l’affetto che Gyutaro nutre nei confronti della sorella è puro, sincero, malgrado egli sia essenzialmente malvagio. E così, giunti alle porte dell’inferno, Daki torna ad essere la dolce Ume, scegliendo di accompagnare suo fratello negli abissi più oscuri, malgrado sia destinata al Paradiso.

A trasformare i due sfortunati fratelli è il glaciale Doma, uno dei demoni incapaci di provare emozioni ancor prima di tramutarsi in mostro. Il divoratore di donne, malvagio quasi quanto Muzan. Altro emblema di ambiguità morale è Kokushibō, guidato dall’invidia verso il fratello Yoriichi, che ci dimostra come la grandezza possa degenerare in ossessione e autodistruzione. Infine, ma non per importanza, abbiamo la Luna Crescente Akaza, un tempo Hakuji. Il giovane ha visto morire la propria promessa sposa e il maestro per mano di rivali, pertanto cade nella più completa disperazione prima di essere trasformato in demone da Muzan. La sua sete di vendetta e bisogno di essere il più forte nasconde in realtà un dolore profondo e un odio verso se stesso che lo spinge sempre più in fondo, nell’oblio. Eppure, basta una carezza della sua amata a farlo rinsavire.

In ognuno di loro, dunque, c’è un barlume di umanità. Lo spettatore non si trova mai dinanzi a una lotta tra bene e male assoluti, bensì piuttosto tra la compassione del protagonista Tanjiro e il rifiuto dell’empatia dei demoni, spaventati all’idea di poter nuovamente provare dolore. E quando muoiono, questi ultimi spesso rivedono i volti delle persone amate, come se la morte stessa concedesse loro un momento di pace. Ed è così che il pubblico, di fronte ai flashback che rivelano i loro trascorsi, è spinto a provare pietà e riflettere sulla fragilità umana.

Forse è più semplice mettersi nei panni dei demoni, che vestire quelli di Tanjiro.

L’arrivo dell’anime, la svolta

Demon Slayer © crunchyroll
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Fino al 2019, Kimetsu no Yaiba era un manga certamente apprezzato, ma confinato soprattutto alla cerchia dei lettori di Jump. Uno shonen semplice, dalla trama lineare, ma nulla di più. Eppure, tutto cambiò quando lo studio Ufotable decise di mettere le mani sull’adattamento anime.

Questo perché Ufotable non era uno studio qualunque. Già celebre per aver dato vita alla saga di Fate, era conosciuto per la sua cura maniacale ai dettagli di un’opera. Ma con Demon Slayer decise di alzare ancora di più l’asticella. Ogni tecnica di respirazione di Tanjiro e i suoi compagni d’avventura, ogni colpo di spada, ogni combattimento, diventa una vera e propria esplosione di colori: flussi d’acqua che si intrecciano in affreschi giapponesi, fiamme incandescenti pronte a bruciare l’aria, fulmini scattanti che deflagrano nemici.

La colonna sonora di Yuki Kajiura e Go Shiina contribuisce a trasformare ogni scontro in un’esperienza emotiva atta ad amplificare il senso di vita o di morte. Non a caso, The Guardian ha descritto il film Mugen Train come un “piacere spettacolare per gli occhi”, mentre siti come Variety e IndieWire hanno lodato l’inventiva delle scene d’azione e la perfezione estetica del titolo.

Ancora oggi ricordiamo con commozione l’episodio che adatta la celebre battaglia contro Rui, il demone delle ragnatele. In quell’occasione, Tanjiro s’accorge del dolore provato dalla “madre” di Rui e, mosso da una tenera pietà, decide di finirla con il Kata più delicato della Respirazione dell’Acqua: levandosi in aria, il giovane spadaccino punta il dolce sguardo nelle pupille della Madre, mentre quest’ultima alza le braccia al cielo in un abbraccio. Il demone accoglie la morte, e il suo spirito lascia serenamente questo mondo colmo di dolore.
Questa è la potenza di Demon Slayer
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Quando tutto cambiò: il Mugen Train

Demon Slayer © crunchyroll
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Il 2020 portò con sé un evento senza precedenti: l’uscita del film Mugen Train. Era il primo lungometraggio a continuare direttamente la trama di una serie anime, e non un riassunto o un film non-canonico, come spesso accade. Il lungometraggio fu distribuito non solo al cinema, ma anche su piattaforme quali Netflix e Crunchyroll, sottotitolato in 33 lingue e doppiato anche in italiano. Ciò rendeva Demon Slayer un prodotto fruibile da chiunque, non destinato solo agli appassionati del medium.

In Giappone, il film divenne immediatamente un fenomeno di massa. File interminabili ai cinema, biglietti venduti in poche ore, merchandise ovunque. Nel giro di poche settimane, Demon Slayer – Mugen Train superò La città incantata di Miyazaki, diventando il film giapponese più visto di sempre. A livello globale incassò oltre 500 milioni di dollari, il più alto incasso nella storia per un film d’animazione giapponese. E il sequel attualmente nelle sale, Demon Slayer – Infinity Castle, ha battuto i record di prevendite e debutti su IMAX fuori dalla Cina.

Ma perché il film ebbe tanto successo? Ebbene, al di là della storia canonica di Tanjito, Zenitsu e Inosuke, impegnati a diventare ammazzademoni, il reale protagonista morale è un altro: capelli gialli e rossi, sorriso stampato in volto e predisposizione al sacrificio, Rengoku, il Pilastro della Fiamma impiega pochissimo ad entrare nei cuori degli spettatori. L’animo di Rengoku arde, non trema dinanzi al pericolo, ed è pronto ad accogliere la morte come una vecchia amica. In poco più di 2 ore, Kyojuro diventa il protagonista della vicenda, rubando la scena a Tanjiro e tramutandosi nel suo mentore, ispirandolo anche in seguito. Ma è stato il suo sacrificio contro Akaza a commuovere milioni di spettatori.
Ironico, quanto doloroso.

La macchina del successo: numeri e strategie

Demon Slayer © crunchyroll
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Dietro questa fama improvvisa c’è anche una strategia ben precisa, poiché l’anime e i film non furono confinati al Giappone. Come abbiamo già visto, Netflix e Crunchyroll li resero disponibili in decine di lingue, portando Demon Slayer nelle case degli spettatori. Sony e Crunchyroll coordinarono l’uscita delle pellicole in tutto il mondo, trasformandole in veri e propri eventi imperdibili.

I risultati sono impressionanti, sia che si parli di cartaceo (con oltre 220 milioni di copie del manga vendute entro il 2025), sia che si tratti di vendite di merchandise (8 miliardi di dollari). Le conseguenze sul mercato nipponico hanno avuto un impatto dirompente: più di un trilione di yen. Numeri che non si vedevano dai tempi d’oro di Dragon Ball e One Piece, ma con una velocità di crescita mai registrata prima.

Pertanto, sfidiamo chiunque a provare a “frenare” la realizzazione di 3 film divisi in circa 3 anni.

Questo fenomeno ha certamente travalicato i confini rigidi del mondo otaku, impattando anche sul fronte culturale del Giappone. Qui, Demon Slayer non è rimasto confinato alla carta o allo schermo, bensì è addirittura entrato nei rituali popolari. Durante il Covid-19, nei santuari i fedeli acquistano amuleti ispirati ai personaggi, convinti che potessero proteggere dalla malattia. Nel corso del festival Awa Odori, alcuni gruppi danzavano travestiti da protagonisti dell’opera.

All’estero, il franchise ha influenzato moda, cibo, eventi. Caffè a tema, collaborazioni commerciali e citazioni nei social di celebrità hanno consolidato la presenza di quello che è a tutti gli effetti un vero e proprio brand. Dopotutto, quel che è certo è che Demon Slayer ha contribuito a rendere l’animazione giapponese “più” mainstream, aiutando a trasformare gli anime in un fenomeno aperto a tutti. Anche a chi, prima d’ora, bullizzava gli appassionati di anime e manga.

La voce della critica

Demon Slayer © crunchyroll
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Ovviamente, la stampa internazionale non è rimasta indifferente. The Diplomat ha definito Demon Slayer l’esempio perfetto di “sofisticatezza visiva, narrazione solida e autenticità culturale”, mentre IndieWire ha parlato di “perfezione vivida” per il grande schermo.

Tuttavia, il motivo vero per cui – a nostro parere – Demon Slayer ha brillato è uno: il tempismo, in quanto l’anime è arrivato nel momento giusto. Lo streaming permise a chiunque, ovunque, di accedere in pochi click a un anime sottotitolato o doppiato. I social trasformavano ogni scena spettacolare in clip virali, condivise e commentate da milioni di persone.

La pandemia, il lockdown e l’incertezza dei tempi hanno fatto il resto, accrescendo il bisogno di storie di speranza: e proprio questo offriva Demon Slayer. Una macchina commerciale perfettamente sincronizzata ha alimentato la fiamma con ristampe, gadget, collaborazioni e lungometraggi trasmessi al cinema. Tutto, dal contenuto al contesto, ha giocato a favore. E così, grazie a un tempismo quasi miracoloso, il viaggio di Tanjiro è diventato celebre quasi quanto quello di Goku e Naruto.

Non sono mancati, tuttavia, le criticità: alcuni recensori hanno segnalato un ritmo degli episodi talvolta troppo serrato, una banalità nella trama, una “immeritata fama”. Ed è così per molti, oseremmo dire persino per noi: un trionfo dell’ordinario ben costruito, una serie dalla trama non particolarmente originale, salvato da animazioni incredibili e una fortuna sconcertante.

Eppure, nonostante tutto, dobbiamo molto a Demon Slayer, poiché l’opera è diventata un punto di riferimento per l’animazione, un titolo in grado di ridefinire gli standard anime. E questo perché chiunque, dopo l’adattamento del titolo di Gotoge, non si accontenterebbe di una serie dalle animazioni e la tecnica mediocri.

Pertanto, sarebbe giusto asserire di essere stati – a tutti gli effetti – testimoni della nascita di un brand da milioni di dollari, in grado di travalicare i confini nipponici. Una serie capace di sdoganare l’interesse nei cartoni animati giapponesi, colpevole di aver spinto migliaia di persone a leggere “anche il manga”.

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Napoletana, classe 92, nerd before it was cool: da sempre, da prima che fosse socialmente accettato. Dopo il diploma al Liceo Classico, una breve ma significativa tappa all'Accademia di Belle Arti mi ha aperto gli occhi sul futuro: letteratura, arte e manga, compagni di una vita ed elementi salvifici. Iscritta a Lettere Moderne, ho studiato e lavorato per poi approdare su CPOP.IT e scoprire il dietro-le-quinte del mondo dell'editoria. Dal 2025 scrivo per LaTestata e mi sono unita al team di ScreenWorld in qualità di Capo Redattrice Anime e Manga: la chiusura di un cerchio e il coronamento di un sogno.