Il nome di Leigh Bardugo è un nome ormai noto anche a coloro che non frequentano spesso il reparto fantasy delle librerie. L’autrice, infatti, è diventata famosa a livello internazionale grazie al cosiddetto Grishaverse, che è poi esploso grazie alla serie Tenebre e Ossa, approdata su Netflix.
Ma nel corso della sua carriera la Bardugo non ha scritto solo di stregoni Grisha e di ladri che si muovono per le strade della sporca città di Ketterdam. Nel 2020, infatti, la scrittrice di origine israeliana è tornata sul mercato con un romanzo paranormal che ben si sposa con la moda attuale della dark academia. Ne parliamo nella nostra recensione de La nona casa, pubblicato da Mondadori.
La nona casa
Genere: Dark Fantasy
Pagine: 420
Editore: Mondadori
Autrice: Leigh Bardugo
La trama de La nona casa
Galaxy “Alex” Stern non ha di certo avuto una vita facile. Cresciuta da una madre hippie, la ragazza è ben presto caduta in un vertice di scelte sbagliate: in una Los Angeles sporca e labirintica, tra relazioni tossiche e lavori ancora più discutibili, l’unica cosa che Alex sembra desiderare è la possibilità di ignorare l’abilità che ha sin da piccola: vedere i fantasmi, i Grigi. Eppure è proprio questa sua capacità che attira l’attenzione del rettore di Yale. Dopo essere sopravvissuta a una strage che le è costata le persone a lei più care, Alex viene “assunta” per indagare a Yale sulle Otto Case. Confraternite (reali) con la passione per l’occulto, capaci di manovrare il mercato o di giocare con la vita degli studenti, le Otto Case eseguono i loro rituali sotto lo sguardo della Nona Casa, la Lethe, che ha il compito di sorvegliare la discesa nel paranormale per evitare che accadano altri incidenti, come avvenuto in passato. In questo labirinto accademico che somiglia quasi a una discesa attraverso vari gironi infernali, Alex viene guidata dal suo personale Virgilio, Darlington. Ma quest’ultimo sparisce di punto in bianco e mentre altri misteri e cadaveri si affollano nella cittadina di New Haven, Alex spera anche di scoprire cosa la rende così speciale da poter vedere i Grigi.
Yale, come teatro di smarrimento
La trilogia di Tenebre e Ossa e la dilogia di Sei di Corvi hanno contribuito a creare intorno a Leigh Bardugo un interesse da parte del pubblico del tutto meritato. Mescolando un world building complesso con la tradizione folkloristica che sembra affondare le radici nell’eredità della cultura russa, la scrittrice ha creato due saghe fantasy che, a diversi livelli, funzionavano e, soprattutto, mettevano in luce le capacità narrative dell’autrice. Con La Nona Casa Leigh Bardugo sembra aver voluto affrontare un’altra sfida, creando un urban fantasy che miscelasse la tradizione del dark academia classico – quello, per intenderci, di Donna Tartt e Dio di Illusioni – con il paranormale e l’occulto, scegliendo però luoghi reali.
L’ambientazione, in questo senso, è stata una delle scelte migliori dell’operazione. Yale è un teatro di marmo e costruzione antiche, di palazzi dall’aria barocca che si affacciano su giardini che sembrano distendersi a perdita d’occhio e che bene possono rappresentare lo smarrimento della protagonista. Impegnata su due piani temporali, il passato e il presente, Alex sembra infatti sempre un po’ fuori posto, sia quando deve comprendere come funziona Yale, che quando si deve inserire in una realtà apparentemente molto diversa dalla Los Angeles corrotta in cui viveva. Ma anche quando si trova a indagare, a scavare nei segreti delle Case del Velo di Yale, Alex sembra sempre un po’ smarrita. E l’Università di Yale, coi suoi corridoi e le sue sale in penombra, è lo scenario perfetto per restituire questo senso di labirintica ricerca di verità e conferme. La scelta della Bardugo di scegliere luoghi e fatti reali per raccontare la sua versione dell’impossibile è qualcosa che affascina molto chi legge, trascinandolo in una dimensione altra dove è proprio l’illusione del rendere concreto ciò che non esiste a farla da maggiore.
Un libro che avrebbe bisogno di un po’ di editing
Leggendo La Nona Casa si ha spesso la sensazione di star leggendo tanti romanzi insieme. L’elemento che salta per primo all’occhio è proprio la confusione della struttura narrativa, come se l’autrice avesse così tante cose da dire da non sapere come metterle in ordine, dando a tutte la stessa importanza. Il risultato è un romanzo che all’inizio è talmente lento da rasentare la noia, che impiega pagine su pagine per cercare di spiegare il mondo paranormale di Yale, spesso peccando di infodump, e non riuscendo comunque ad essere chiaro. Molto spesso il lettore si trova ad accettare le spiegazioni che Leigh Bardugo dà al suo mondo come un atto di fede: crediamo a quello che l’autrice fa spiegare alla sua protagonista, ma non riusciamo mai a capirlo nella sua interezza.
Durante la lettura, allora, si avverte un senso di artificialità, una meccanica di fondo che fa sentire il peso degli ingranaggi che girano e che rende palese il lavoro che ogni scrittore dovrebbe nascondere sotto la sua storia, facendo sembrare semplice qualcosa di complicato. Con La Nona Casa, invece, Leigh Bardugo fa avvertire tutto il peso e la fatica che ha attraversato per scrivere il suo romanzo.
La sensazione è che il romanzo avrebbe avuto bisogno di una mano un po’ più pesante in fatto di editing. Non tanto per la scrittura di Leigh Bardugo, che continua ad essere di un’eleganza innegabile e con una buona scorrevolezza di fondo, quanto per una limatura degli elementi aggiuntivi e spesso inutili, che rendono la prima metà del romanzo ostica quanto il monte su cui Sisifo era costretto a trascinare la sua pietra.
Una seconda parte più convincente
In effetti, per le prime duecento pagine si prova un po’ di frustrazione: si vede tutto il potenziale della storia, ma ogni avanzata è interrotta da spiegoni e informazioni spesso inutili (o, peggio ancora, gratuite) che rallentano la vicenda e danno al lettore la sensazione di essere sempre fermo nella stessa posizione. Poi, di colpo, il romanzo cambia di nuovo. Superata la metà Leigh Bardugo sembra ricordarsi dell’importanza dell’intrattenimento tout court e il ritmo cambia, al punto che chi legge si trova a chiedersi se le due metà del romanzo siano state scritte dalla stessa mano. La seconda parte de La Nona Casa è quella che funziona meglio, è quella che si lascia divorare e che mostra in modo inequivocabile quello che il romanzo sarebbe potuto diventare se si avesse avuto il coraggio di eliminare qualcosa.
La recensione in breve
La Nona Casa è un romanzo che mostra di non aver sviluppato a pieno il suo potenziale. Nonostante la scrittura sempre elegante di Leigh Bardugo e un setting che ben si sposa con la storia, il romanzo pecca di un'eccessiva lentezza e di vari infodump che rallentano la lettura e la rendono un'esperienza frustrante per il lettore
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Voto ScreenWorld