Il cinema sentimentale è una brutta gatta da pelare: lo si può scrivere e concepire nel migliore dei modi, ma poi si basa quasi tutto su elementi difficili da prevedere e da gestire in fase di ripresa – come per esempio l’alchimia tra i personaggi e i loro interpreti, la capacità di coinvolgere chi guarda nei sentimenti oltre che nel racconto.

We Live in Time, diretto dal John Crowley dell’acclamato Brooklynazzecca tutte queste cose, ma paradossalmente sbaglia proprio nelle scelte di scrittura.

We Live in Time
Genere: Drammatico
Durata: 107 minuti
Uscita: 6 Febbraio 2025 (Cinema)
Regia: John Crowley
Cast: Andrew Garfield, Florence Pugh

Il tempo che ci rimane

Florenche Pugh e Andrew Garfield in We Live in Time
Una scena di We Live in Time – ©A24

Il film racconta di Almut (Florence Pugh, straordinaria) e Tobias (Andrew Garfield), lei chef, lui venditore, che si incontrano per caso quando lei lo investe con la macchina mentre lui compra le penne per firmare il suo divorzio. Si amano, si sposano, mettono al mondo una bimba, ma il destino ha in piano qualcos’altro per loro: lei ha un cancro e questo cambia prospettive e obiettivi primari.

We Live in Time è scritto da Nick Payne, uno specialista dei film sentimentali che qui rielabora un grande classico di questo tipo di racconti – ossia la malattia e il tempo che rischia di scadere. Tuttavia, anziché concentrarsi sul patetismo come nel capostipite Love Story o in molti epigoni adolescenziali, l’autore preferisce dare attenzione al quotidiano della coppia, al crescere della loro relazione, alle mutazioni inevitabili e universali, per questo così coinvolgenti. Finché non decide che per coinvolgere un pubblico più ampio debba anche inserire elementi esterni.

Un ingrediente di troppo

Una scena di We Live in Time
Una scena di We Live in Time – ©A24

Non è la malattia in sé a rendere convenzionale (e persino un po’ banale) un film che ha due attori bravissimi nel comunicare i vari strati di un amore al pubblico, perfettamente costruito nelle singole scene (molto bello il parto nel bagno pubblico) e abile a tenersi in equilibrio tra toni diversi, coniugando la carezza e lo schiaffo. A rovinare We Live in Time è la necessità di dover raccontare cose che non c’entrano con la coppia, pretesti per aumentare il livello drammaturgico, come se la “storia di un amore” non bastasse.

Payne si sente in obbligo di aggiungere la variante “sportiva” (Almut partecipa di nascosto a una gara per chef, togliendo tempo alla famiglia e alle cure), per sottolineare l’importanza del tempo che scorre e di quello che (non) trascorriamo assieme a chi amiamo, concetto che era già ampiamente alla base di tutto il resto del film. Così facendo, una struttura che era già parecchio accessibile allo spettatore, quasi ruffiana nei tempi del racconto e nella musica, diventa quasi triviale, anche a livello di regia e immagini – come mostra quel brutto finale alle Olimpiadi della cucina. È come sprecare un piatto eccellente per volerci mettere un contorno di troppo, un condimento fuori luogo.

Conclusioni

6.5 Ruffiano

We Live in Time ha tutto per conquistare il pubblico: il racconto, le emozioni, due grandi attori come Garfield e Pugh, ma gli eccessi di scrittura sprecano buona parte del suo potenziale.

  • Voto Screenworld 6.5
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La rivista del Cinematografo e Il sussidiario, collabora con vari siti internet, quotidiani e riviste, cura programmi radiofonici, rassegne e festival cinematografici. Ha pubblicato saggi, in opere come Il cinema di Henri-Georges Clouzot (a cura di Stefano Giorgi, Il foglio) e Il cinema francese negli anni di Vichy (a cura di Simone Venturini, Mimesis), e monografie come Beautiful Freak. Le fiabe nere di Guillermo Del Toro, Blue Moon. Viaggio nella notte di Jim Jarmusch e Bigger Boat e Blinded by the Light dedicato a Steven Spielberg per Bakemono Lab. Dal 2016 è membro della Commissione di selezione della Mostra del Cinema di Venezia, dal 2019 è socio della Rete degli Spettatori con cui organizza rassegne cinematografiche e progetti culturali volti alla diffusione del cinema di qualità e indipendente, nelle sale, in streaming, nelle scuole.