Si è rivelato al mondo per la prima volta durante la 79esima Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia, e più di recente ne abbiamo risentito parlare in occasione dell’annuncio delle nomination agli Oscar, dal momento che la sua protagonista, Cate Blanchett, è una delle favorite nella corsa alla statuetta dorata per la miglior attrice.
Ora, finalmente, è approdato anche nelle sale cinematografiche: il film è Tár, di Todd Field, e la storia è quella di una talentuosa e crudele direttrice d’orchestra che supera il limite e cade vittima di se stessa.
Attenzione al rischio di fraintendimenti: nonostante il titolo e la sinossi inducano a pensare che possa trattarsi di un film biografico ispirato a una storia vera, Lydia Tár è un personaggio di fantasia.
Quello tracciato da Tár è, semmai, un paradigma: nella drammatica parabola percorsa dalla protagonista sono riflessi molti temi di attualità, legati in particolare al volto oscuro del mondo dello spettacolo e della cultura, tra favoritismi e competizione sfrenata, #MeToo e cancel culture.
Per questo, anche prima della sua uscita, il film non ha mancato di suscitare controversie: Marin Aslop, prima direttrice donna di una grande orchestra americana, ha affermato che il film l’ha “offesa come donna, come musicista e come lesbica”, mentre molti critici cinematografici hanno invece elogiato l’acuta analisi tracciata dal regista. Scopriamo di più con la nostra recensione di Tár.
Tár
Genere: Drammatico
Durata: 158 minuti
Uscita: 9 febbraio 2023 (Cinema)
Cast: Cate Blanchett, Mark Strong, Julian Glover, Nina Hoss
La trama: quando il talento sconfina nel narcisismo
Con un curriculum artistico da capogiro e una biografia in uscita nelle librerie di tutto il mondo, Lydia Tár, prima direttrice donna della Filarmonica di Berlino, è un genio della musica ossessionato dalla perfezione.
Al direttore d’orchestra, del resto, spetta il compito più delicato, ossia quello di coordinare, frenare e spronare in perfetta sincronia tutti i musicisti che osservano la frenetica danza della sua bacchetta.
Orgogliosamente lesbica, vincitrice di tutti i maggiori premi nel settore, e impegnata nella promozione di borse di studio per i giovani talenti, Lydia Tár entra in scena come un’autentica supereroina, un modello di perfezione quasi irraggiungibile.
Osservandola con più attenzione, tuttavia, si intravedono alcune crepe: durante una lezione alla prestigiosa scuola Juilliard, Lydia perde la pazienza con uno studente che, esaltato dalle moderne manie woke, afferma di non nutrire alcun interesse per la musica di Bach, perché in vita ha dato prova di misoginia.
L’uscita del ragazzo è davvero sciocca e fuori luogo, ma la protagonista non si limita a correggerla, bensì lo umilia pubblicamente.
Non si tratta di un episodio isolato: Lydia Tár è una donna dura e inflessibile, e il suo amore per l’arte spesso sconfina nel narcisismo e nell’insensibilità.
Nel suo mondo non c’è posto per l’umanità e la riconoscenza nei confronti dei suoi collaboratori più fidati, dal momento che l’unica cosa che conta è la ricerca della perfezione a ogni costo, anche a rischio di rovinare le vite di chiunque le stia intorno.
Qualcosa, però, si muove nell’ombra, e la sua mancanza di umanità la condurrà alle soglie dell’autodistruzione.
Il suicidio di una giovane e instabile musicista a cui Lydia ha negato a più riprese una lettera di referenze sancirà il punto di rottura, e ci dimostrerà come anche dietro la sua icona si celi una donna fragile e insicura.
Cate Blanchett crea un personaggio dai mille volti
Genio cristallino e distruttrice di vite, donna fragile e direttrice glaciale, Lydia Tár è un personaggio dai mille volti, profondamente umano nella sua apparente assenza di umanità.
Come già si può intuire dal titolo, malgrado le buone prove offerte dai comprimari, il film gravita quasi completamente sulla poliedrica figura della sua protagonista, magistralmente interpretata da una Cate Blanchett da Oscar.
L’attrice australiana ci regala una prova attoriale superlativa, che rappresenta la vera colonna portante dell’intero lungometraggio.
Come se si trattasse di una galleria di personaggi differenti, cogliamo dapprima la sua perfetta ed eroica apparenza esteriore, poi la personalità più severa e inflessibile, quindi l’identità più meschina pronta a insabbiare ogni collegamento con il suicidio della ragazza, successivamente la donna sola e rancorosa, e infine i suoi aspetti più umani, che emergono dal rapporto con la figlia Petra.
Quale di queste è la vera Lydia Tár? Il film di Todd Fields ci pone di fronte a un contradditorio personaggio dalle mille identità, oppresso dalla pesante barriera di solitudine che lei stessa continua a erigere intorno a sé.
Nella grigia e ambigua figura della Lydia Tár di Cate Blanchett si amalgamano e convivono bene e male, virtù e vizi, nobiltà e bassezza, rendendo impossibile esprimere un giudizio.
Ma del resto, chi può davvero giudicare un essere umano, nella sua infinita complessità?
Un’analisi impietosa, ma priva di sentenze
Con buona pace dei ruoli fissi della narrazione, Tár sfugge a qualsiasi tentativo di classificazione.
La protagonista è al tempo stesso carnefice e vittima, eroina e antagonista, e la pluralità di opinioni e chiavi di lettura proposte dalla critica testimonia come sia difficile attribuire a questo film un’interpretazione univoca.
Certo, quella interpretata da Cate Blanchett è una figura spietata e dittatoriale, che nella sua orchestra non ammette alcuna forma di democrazia, come ammette in un dialogo con la piccola Petra.
Talora Lydia assume persino i tratti una predatrice sessuale, una sorta di Harvey Weinsten al femminile, a testimonianza di come i tratti più deleteri del patriarcato possano sopravvivere anche a un superficiale cambiamento di ruoli.
Lo confermano la sua ostinata volontà di farsi chiamare “maestro”, e di rivendicare per sé il ruolo di “padre” nei confronti di sua figlia Petra.
Al tempo stesso, però, la sua inevitabile caduta non rappresenta certo un semplice contrappasso dantesco, o la giusta punizione di una malfattrice.
Nella seconda parte del film, infatti, Lydia Tár viene attaccata con l’inganno dal volto più disumano e meschino della cancel culture contemporanea, e nel tragico dipanarsi degli eventi è impossibile non avvertire il peso di una profonda ingiustizia.
La sua intera carriera musicale e le sue scelte – discutibili a livello umano ma artisticamente ineccepibili – vengono infangate e prese d’assalto da aggressori senza volto, protetti dalla vigliacca impersonalità dei social.
In Tár non c’è alcuna giustizia: rapide come i tweet che le contengono, verità e menzogne si amalgamano per creare l’agghiacciante “sentenza del popolo”, emessa da chi nulla conosce, e tutto giudica.
Il film, insomma, ha molte chiavi di lettura, ma contiene soprattutto un invito a sospendere il giudizio e non affrettare le sentenze.
La regia è eccellente, la sceneggiatura non altrettanto
Sul piano tecnico, Todd Fields ci regala un film diretto in maniera davvero magistrale, che sfrutta e padroneggia una grande varietà di linguaggi differenti.
C’è quello del biopic – o meglio della pseudo-biografia – che fa filo conduttore all’intero lungometraggio. C’è l’ansia del dramma familiare e lavorativo, ci sono i silenzi e l’opprimente senso di minaccia del thriller, e c’è perfino un ampio ricorso al repertorio del genere horror, che si può cogliere piuttosto distintamente fin dalle prime scene, in cui un anonimo stalker segue e commenta ogni azione della routine della protagonista.
La pluralità di registri e linguaggi è perfettamente ben amalgamata dal regista, che si muove con grande disinvoltura tra palcoscenico e vita privata, grazie anche al contributo di una fotografia e a un montaggio davvero memorabili.
L’unico neo è rappresentato dalla sceneggiatura, che finisce per dilatare eccessivamente i tempi del racconto: il primo atto del lungometraggio risulta infatti davvero troppo lento, stazionario e privo di mordente, e questa falsa partenza potrebbe stancare più di uno spettatore prima del netto cambio di passo che, fortunatamente, va in scena al termine della prima ora.
Ciò nonostante, Tár resta un film molto attuale e di ottima qualità, a cui molto avrebbe giovato un minutaggio di poco inferiore.
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La recensione in breve
Sfruttando al massimo il talento di una Cate Blanchett da Oscar, Tár ci conduce negli oscuri meandri dell'anima di un essere umano, tra luci e ombre, solitudine e crudeltà. Da un lato c'è il narcisismo di una direttrice d'orchestra fredda e inflessibile, dall'altro la stupida meschinità di una cancel culture ormai fuori controllo. Nel mezzo c'è il lucido sguardo del regista, che ci esorta a osservare senza mai affrettare il giudizio.
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Voto Screenworld