Erano vent’anni, dall’uscita dello sfortunato Paycheck, mediocre adattamento di un racconto di Philip K. Dick, che il regista hongkonghese John Woo non metteva piede a Hollywood. A farlo tornare, complice il produttore Basil Iwanyk (quello di John Wick), è stato un copione di Robert Archer Lynn che ha fatto il giro degli studios e intrigato tutti per una sua peculiarità: è quasi completamente privo di dialoghi, in particolare per quanto riguarda i personaggi principali (nota tecnica sul doppiaggio italiano: una delle poche scene con battute udibili – si tratta di una radio della polizia durante una sparatoria – contiene un momento in cui è rimasta per errore la traccia audio in inglese). Una sfida che Woo ha accolto con gioia, ragion per cui siamo qui a scrivere la recensione di Silent Night – Il silenzio della vendetta, ormai immancabile action natalizio che arriva in sala con un po’ di anticipo rispetto al periodo festivo vero e proprio.
Silent Night – Il silenzio della vendetta
Genere: Azione, thriller
Durata: 104 minuti
Uscita: 30 novembre 2023 (Cinema)
Cast: Joel Kinnaman, Scott Mescudi, Harold Torres, Catalina Sandino Moreno
La trama: in nome del figlio
Natale 2021: Brian Godluck vive felice con la moglie Saya e il figlio piccolo Taylor, ma la tragedia è letteralmente dietro l’angolo quando il loro quartiere diventa il teatro di una guerra tra bande criminali. Durante lo scontro a fuoco, un proiettile colpisce Taylor, ferendolo a morte, mentre Brian finisce in coma. Si risveglia quasi un mese dopo, privo di voce in seguito a una pallottola in gola, e torna a casa con un umore decisamente nero. Grazie a un poliziotto che sta indagando sul caso, Brian viene a sapere chi si cela dietro l’uccisione di suo figlio, e si fissa l’obiettivo di ucciderli tutti esattamente un anno dopo, la Vigilia di Natale 2022. Nel frattempo, sarà necessario mettersi in forma, procurarsi le armi e informarsi il più possibile sulle abitudini del boss Playa e i suoi scagnozzi.
Il cast: quartetto muto
Joel Kinnaman, già abituato a scenari di vendetta con la trilogia svedese Easy Money, che lo ha reso una star in patria e ha elevato il suo profilo internazionale dieci anni or sono, presta il suo fascino nordico, questa volta di pochissime parole, al personaggio di Brian. La moglie Saya ha invece il volto molto espressivo dell’attrice colombiana Catalina Sandino Moreno, la cui presenza breve ma intensa ha evidentemente colpito i produttori, poiché subito dopo aver terminato le riprese di Silent Night è stata scritturata per un ruolo attualmente non specificato in Ballerina, lo spin-off di John Wick. Il quartetto principale (il resto del cast è essenzialmente composto da comparse e stuntmen per le scene d’azione) è completato da Scott Mescudi, forse quello maggiormente fuori dal suo elemento in questo contesto dato il suo percorso artistico come cantante, che interpreta il poliziotto; e Harold Torres, precedentemente dall’altro lato della barricata in Memory con Liam Neeson, è il minaccioso leader della gang criminale presa di mira dal padre addolorato.
Canovaccio quasi fumettistico
Durante la promozione del film negli Stati Uniti, John Woo – come molti altri colleghi prima di lui – ha espresso un parere negativo sul filone dei film di supereroi e degli adattamenti di fumetti, un’affermazione che alcuni internauti hanno trovato ironica una volta visionato Silent Night, a loro avviso una rielaborazione ufficiosa della origin story del Punitore (al netto del fatto che la moglie è ancora viva e non viene specificato un passato militare per Brian, la premessa di base è effettivamente identica), impressione accresciuta quando il protagonista, a livello proprio iconografico, sembra quasi la versione di Frank Castle ordinata su Wish, come se chi ha lavorato al film si fosse reso conto della somiglianza e avesse voluto spingerla fino al limite consentito (in parole povere, basta omettere la famosa maglietta con il teschio per non far arrabbiare la Marvel). Certo, qui manca la volontà di trasformare la storia in un franchise, poiché l’escamotage dei pochissimi dialoghi già in questa sede sa occasionalmente di forzatura, ma fa effettivamente ridere la frase di Woo quando, al suo grande ritorno in territorio nordamericano, si è sostanzialmente mosso entro i parametri di un canovaccio collaudato che ha non pochi echi fumettistici.
Silenzio senza pietà
Ed è forse per via di quel canovaccio che a tratti Woo sembra inibito, costretto a soffermarsi su dettagli che vogliono aggiungere pathos ma appesantiscono inutilmente l’intreccio a forza di ripetersi per dare a Brian uno spessore psicologico che francamente non gli serve (ma lo stratagemma dell’assenza di dialoghi ha probabilmente reso necessario qualche “spiegone” visivo in più). Poi però subentra l’azione vera e propria, e lì torna il grande narratore per immagini, quello delle due pistole e delle coreografie brutali, senza le solite colombe (e il rallentatore essenzialmente limitato alla sequenza d’apertura) ma con tanta voglia di sfogare quegli istinti che Hollywood aveva un po’ smorzato prima che lui si prendesse una pausa dal cinema in lingua inglese. E quando quegli istinti arrivano sullo schermo, nella persona scatenata di un vigilante che non si fermerà davanti a nulla, la vendetta di lui mantiene tutte le promesse del ritorno dietro la macchina da presa di un autore che, seppure con qualche inciampo, ha ritrovato la forma di un tempo, da assaporare in silenzio con il formato d’immagine più grande possibile.
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La recensione in breve
John Woo non è del tutto a ruota libera per il suo ritorno in territorio hollywoodiano, ma quando riesce a scatenarsi lo spettacolo è silenziosamente micidiale, in senso buono.
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Voto ScreenWorld