Alla Festa del Cinema di Roma è stato presentato in anteprima per l’Italia il film Saltburn, nuova fatica della regista Emerald Fennell che qualche anno fa aveva sconvolto il pubblico con lo straordinario Una donna promettente. Per questa sua seconda opera, la regista abbandona il mondo prettamente femminile e si avventura in un universo che sembra quasi voler omaggiare il dark academia reso famoso da Dio di Illusioni di Donna Tartt, salvo poi virare brutalmente e conducendo lo spettatore in un universo diegetico che sembra quasi una rivisitazione postmoderna delle 120 giornate di Sodoma portate sullo schermo da Pasolini.
Nella nostra recensione di Saltburn cercheremo allora di analizzare le ispirazioni ma anche le ambizioni di un film che di sicuro non lascia indifferenti.
Saltburn
Genere: Drammatico/Thriller
Durata: 127 minuti
Uscita: 19 ottobre 2023 (Festa del Cinema di Roma)
Cast: Barry Keoghan, Jacob Elordi, Rosamund Pike, Carey Mulligan, Richard E. Grant, Alison Oliver
Il classismo come maschera di violenza
Oliver Quick (Barry Keoghan) è apparentemente un ragazzo come tanti altri. La sua unica eccezionalità è legata al fatto di essere riuscito a entrare nella prestigiosa università di Oxford. Figlio della piccola borghesia, Oliver non riesce a sentirsi a suo agio in nessun luogo, come se fosse una creatura a metà, divisa tra le sue radici “basse” e le sue ambizioni “alte”, che lo portano a guardare con famelica curiosità il ceto più ricco e nobiliare. Proprio per questa sua fascinazione, Oliver finisce col fare amicizia con Felix Catton (Jacob Elordi), erede di una famiglia ricca e altolocata, nonché uno dei ragazzi più popolari della scuola.
Come un pianeta che ruota intorno alla sua stella, Oliver finisce nell’orbita di Felix, sviluppando una passione che diventa ossessione e che esplode quando Felix decide di invitare il suo nuovo amico a passare l’estate nella magione di famiglia, Saltburn. Per Oliver è la realizzazione di un sogno lucido e a lungo atteso, ma ben presto le vere venature (a tratti gore) di quell’invito cominciano a farsi sentire. Il sogno di Oliver diventa un incubo altrettanto vivido, un insieme di ferite e violenze su cui, come suggerisce il titolo e il nome della casa, il sale continua a bruciare.
Saltburn inizia dunque come un romanzo di formazione dalle atmosfere à la dark academia, ma ben presto la regista decide di cambiare il passo e usa il classismo insito nel motore del suo racconto come una maschera dietro la quale si nasconde la discesa alla violenza dettata dalla contrapposizione tra sesso e potere.
“E il naufragar m’è dolce in questo mare”
Sebbene non sia mai una scelta saggia strutturare una critica partendo da un paragone, non si può affrontare una recensione di Saltburn senza fare un passo indietro. Anche in Una donna promettente Emerald Fennell aveva portato sullo schermo una sorta di dicotomia che si basava proprio sulla contrapposizione tra sesso e potere. Lo snodo principale della pellicola, infatti, ruotava intorno allo stupro subito da una ragazza per cui i responsabili, uomini bianchi e privilegiati, non pagavano il prezzo. Racconto di violenza e di vendetta, che disturbava per ciò che celava piuttosto che per quello che metteva apertamente in scena, Una donna promettente aveva dalla sua l’urgenza di raccontare un universo di vittime, un mondo in cui alle donne conveniva rimanere zitte dal momento che nessuna autorità era disposta a mettere a repentaglio il proprio privilegio andando ad intaccare chi aveva più potere.
In Saltburn si trova a parlare di privilegio e potere, di manipolazione e ferocia, ma in questo caso Emerald Fennell non racconta di nessuna vittima, almeno non nel senso comune del termine. Disceso in una dimensione infernale per il solo desiderio di trovare un senso di appartenenza, il protagonista di Saltburn non vuole scappare né dall’orrore né dalla violenza. Ne è vittima e carnefice al tempo stesso: in questo mare di sangue e fluidi corporei, Oliver naviga a vista, con lo sguardo insieme smarrito e spietato di Barry Keoghan, che qui è senza dubbio davanti alla miglior interpretazione della sua carriera. Lo spettatore si trova dunque ad assistere ad una vera e propria discesa infernale, un susseguirsi di violenze, vendette, crudeltà gratuite, in cui Oliver è spettatore a felice partecipante, in una dicotomia tra luce e ombra che proprio nel protagonista trova il suo marchio distintivo.
Tanto da far vedere e poco da dire
Visivamente Saltburn è un film che riesce a toccare vette davvero interessanti, soprattutto in alcune, specifiche sequenze che hanno luogo nella dimora aristocratica. Emerald Fennell è una regista che conosce il mezzo tra le sue dita e che non ha paura di “giocare sporco”, di spingere sull’acceleratore per mostrare un mondo cannibale che si nutre di ciò che partorisce. Pensato per essere tanto disturbante quanto aperto a una riflessione sul veleno che scorre nelle vene di chi detiene troppo potere e troppo ingiustamente, Saltburn ha però la pecca di voler essere uno spettacolo inquietante a ogni costo. Il lato più nero e violento a volte emerge non per necessità narrative, non per seguire la storia, ma solo per il piacere di mostrare l’orrore, di dipingere i colori accesi di una violenza che non è mai sazia.
Il rischio è quello di apparire come un film a tratti manierista, che invece di coinvolgere il pubblico e spingerlo alla riflessione, lo butta fuori dal racconto, lo estrania da quello che sta vedendo sul grande schermo. Questo fa sì che Saltburn, nonostante le interpretazioni da Oscar, sia un lungometraggio riuscito solo in parte. Forse è colpa anche delle aspettative del pubblico dopo aver visto Una donna promettente, che era lucido e aveva una sua urgenza narrativa. Quest’opera seconda, invece, appare come una specie di divertissement ben confezionato, con delle riflessioni interessanti alla base, che però vengono in qualche modo soffocate dalla corsa allo choc.
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La recensione in breve
Dopo Una donna promettente, con Saltburn Emerald Fennell dirige un'altra opera disturbante, che smantella le aspettative del pubblico, costringendolo a guardare realtà che vorrebbe ignorare. Potente e interpretato magistralmente il film ha però il difetto di voler disturbare a ogni costo, a tratti senza ragione se non quella di mettere in mostra un certo manierismo.
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Voto ScreenWorld