“I believe in monsters”, disse Guillermo del Toro nel settembre 2017 mentre accettava il Leone d’Oro vinto per La forma dell’acqua – The Shape of Water, meravigliosa fiaba cinefila che raccoglie tutte le ossessioni del cineasta messicano. A distanza di poco più di quattro anni, il regista ritorna con quello che, sulla carta, è il suo film più atipico, in quanto completamente privo di elementi esplicitamente soprannaturali. Niente vampiri, fantasmi, o creature venute dal profondo degli abissi.
Eppure, come cercheremo di spiegare nella nostra recensione de La fiera delle illusioni – Nightmare Alley, è forse il suo progetto più personale, quello che all’interno di un’apparente struttura convenzionale – il romanzo di base è già stato portato sullo schermo nel 1947, e il nuovo adattamento è altrettanto intriso di un’aura noir d’altri tempi – nasconde una riflessione profonda su cosa significhi essere umani o mostri, e sull’importanza di raccontare storie e dell’instaurare un rapporto con il pubblico. Un rapporto a base di spettacolo, istrionismo e inganni.
La fiera delle illusioni – Nightmare Alley (2021)
Genere: Thriller/Noir
Durata: 150 minuti
Uscita: 27 gennaio 2022 (Cinema)
Cast: Bradley Cooper, Rooney Mara, Cate Blanchett
Alcool et circenses
C’è un magnifico contrasto nel duplice titolo scelto per l’uscita italiana del film, perché La fiera delle illusioni – Nightmare Alley non è il classico caso di traduzione diretta dell’originale: la dicitura italiana si riferisce al gruppo itinerante di finti freaks a cui si unisce il protagonista Stanton Carlisle (Bradley Cooper), in fuga da un misterioso passato traumatico, mentre quella inglese si riferisce ai “vicoli da incubo” dove Clem Hoately (Willem Dafoe), padrone di tutta la baracca, trova i casi più disperati da sfruttare a fini di lucro. Stanton trae vantaggio dalla sua esperienza con il gruppo, imparando i trucchi del mestiere per diventare mentalista, e in un secondo momento si trasferisce in città, accompagnato dall’amata Molly (Rooney Mara), e diventa uno dei più grandi successi nell’ambito dell’intrattenimento per i più altolocati di New York. In tale contesto fa la conoscenza della psicologa Lilith Ritter (Cate Blanchett) e tra i due, entrambi privi di scrupoli, nasce un’intesa che potrebbe avere conseguenze spiacevoli per tutti…
Buona anche la seconda
Non è la prima volta che il romanzo di William Lindsay Gresham, dato alle stampe nel 1946 (edito in Italia da Sellerio), arriva sullo schermo: già nel 1947, un anno dopo la pubblicazione, ci aveva pensato la 20th Century Fox su richiesta dell’attore Tyrone Power, il quale fece acquistare i diritti con lo scopo preciso di scrollarsi di dosso la sua immagine di eroe romantico, aspirando a ruoli più cupi e complessi. E al netto di un piccolo rimaneggiamento (il finale del libro, giudicato troppo deprimente, fu parzialmente edulcorato per il cinema), la transizione funzionò, per lo meno sul piano artistico, dato che il pubblico non volle vedere il divo in parti da antieroe o addirittura villain.
La versione di Guillermo del Toro, che per ragioni filologiche esiste anche in bianco e nero (attualmente in sale selezionate negli Stati Uniti, mentre a livello internazionale sarà presumibilmente parte dell’edizione home video), si rifà agli stilemi di genere d’epoca (basti pensare alla performance di Cate Blanchett) e aderisce in modo abbastanza fedele ai momenti più importanti del romanzo, ma nasce da intenti ben diversi rispetto all’adattamento del 1947.
Da un lato c’è il desiderio, come dichiarato dal cineasta messicano, di raccontare una storia veramente cupa, senza particolari spiragli di speranza o redenzione, cosa abbastanza insolita rispetto ai capisaldi della sua filmografia. Una storia priva di mostri nell’accezione fantastica del termine (i freaks sono tutti ciarlatani), sostituiti invece da vari rappresentanti degli angoli più bui dell’animo umano, con il male che si nasconde sotto lineamenti angelici (non a caso una delle poche presenze positive ha il volto di Ron Perlman, storico collaboratore del regista e precedentemente interprete di Hellboy, che sotto la scorza demoniaca celava un cuore d’oro). Dall’altro, c’è la volontà di servirsi del genere, come ha fatto anche Christopher Nolan in opere come The Prestige e Inception, per riflettere sulla nozione dello storyteller e del suo rapporto con il pubblico. Seppure con termini diversi, il messaggio è lo stesso enunciato da Michael Caine nel film sulla magia uscito nel 2006: “Voi volete farvi ingannare”.
Cantami, o divo
Supportato da una fotografia dall’aura malsana e un impianto scenografico disturbante al punto giusto, il regista porta all’estremo il discorso sul potere di chi è dietro la macchina da presa: un potere che può essere appreso, perfezionato, abusato, a volte in nome del dio denaro. È, a suo modo, la parabola di un mestierante che, mosso da sentimenti poco nobili, riesce a farsi strada in un’industria dominata dal cinismo, a discapito di veterani che, pur non essendo ignari dei compromessi talvolta necessari, si sono fatti divorare da un sistema troppo incompatibile con ciò che restava della loro tempra morale (e dati i racconti tristemente noti su ciò che per anni è stato la norma a livello di equilibri di potere nel mondo del cinema, il personaggio di Dafoe assume contorni ancora più sinistri).
Un lungo, appassionante duello metaforico tra un autore che è sempre stato onesto nel suo patto con lo spettatore e uno dei suoi personaggi più perversamente affascinanti, che di patti non ne vuole sapere. Ad avere la meglio, ovviamente, è il primo, al termine di un vertiginoso e conturbante viaggio nel passato che ha molto da dire sui tempi in cui viviamo, e sul nostro nesso con le immagini in movimento. Magnifiche illusioni che, per qualche ora, ci distolgono dal mondo reale, anche quando gli aspetti peggiori di quest’ultimo sono parte integrante della narrazione. E in tal senso, il titolo italiano acquista un suo perché: con la sua fiera delle illusioni, Guillermo del Toro arriva a illuminare il nostro nightmare alley personale. E senza chiedere in cambio la nostra dignità umana.
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
Conclusioni
Guillermo del Toro firma una grande, disturbante, ipnotica riflessione sul potere della narrazione per immagini e suggestioni, aiutato soprattutto da un magnifico Bradley Cooper e una inquietante Cate Blanchett.
-
voto ScreenWorld