Può una storia vera avvenuta in Italia più di cinquant’anni fa essere rappresentazione di una spaventosa contemporaneità? Guardando il nuovo film di Gianni Amelio, presentato in Concorso alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia 2022, non si può fare a meno di provare un doloroso brivido nel notare come, ancora oggi, una storia come quella di Aldo Braibanti non appartiene a un tempo che possiamo definire dimenticato. In questo antro doloroso iniziamo la nostra recensione de Il signore delle formiche, con protagonista Luigi Lo Cascio nei panni del poeta e drammaturgo.
Genere: Drammatico
Durata: 136 minuti
Uscita: 6 settembre 2022 (Festival di Venezia 2022)
Cast: Luigi Lo Cascio, Elio Germano, Sara Serraiocco
La trama di un condannato
Siamo in Italia, in Emilia Romagna nel 1959, e Aldo Braibanti, poeta e drammaturgo con una passione per le formiche, instaura un rapporto prima intellettuale e poi amoroso con il giovane Ettore, diciottenne, fratello di un allievo di Aldo, che rimane affascinato dalla cultura dell’uomo. Cultura che non si ferma alla letteratura, ma si espande anche alla mirmecologia, ovvero la scienza che studia le formiche. L’amore di Ettore per Aldo è così sincero e incondizionato che decide di trasferirsi a Roma con lui, senza dire nulla alla famiglia. Sarà proprio la famiglia del giovane, qualche anno più tardi, nel 1965, a far arrestare Braibanti con l’accusa di plagio nei confronti del ragazzo, che verrà rinchiuso in un ospedale psichiatrico e sottoposto all’elettroshock.
Sarà l’inizio di un processo in cui giudici, cittadini e avvocati condanneranno l’amore omosessuale e le idee politiche marxiste di Braibanti, che non potrà far altro che sottomettersi al pensiero collettivo. Solo un giornalista dell’Unità, interpretato da Elio Germano, sembra provare empatia e comprensione per la vicenda. Questa storia vera (le cui didascalie finali ci riassumono le conseguenze di quest’evento storico) diventa, quindi, esempio fulgido di un’Italia ancorata a leggi fasciste, chiusa nella propria idea distorta di normalità, che non difende la libertà del singolo cittadino, ma solo una visione antiquata. Perché il “diverso” fa sempre paura.
Uno stile asciutto
Nonostante la forza della storia raccontata, Il signore delle formiche sembra rivolgersi, col suo stile asciuttissimo e molto attento all’uso delle parole e dei dialoghi (a volte a scapito delle immagini, ne riparliamo tra poco) a una tipologia di pubblico che troverà, nella vicenda di Braibanti, solo conferme alle proprie idee politiche e sociali. Il film stesso sembra consapevole di essere destinato a un tipo di pubblico vicino alla sensibilità di Amelio, rinunciando a un dialogo tra fazioni, ma anzi mettendo alla berlina, nei momenti migliori attraverso un geniale uso delle testimonianze nell’aula di tribunale, chi taccia il protagonista di essere un mostro. Di conseguenza non solo i personaggi sono manichei nella loro posizione, ma il film non stimola una voce contraria che possa anche solo valorizzare ulteriormente la sua giusta e sacrosanta tesi.
In questa rappresentazione molto asciutta e diretta degli eventi, attraverso dialoghi chiari e a tratti didascalici, ne viene sacrificata la componente visiva, con un uso di ambienti e scenografie che intendono richiamare gli anni Sessanta, ma non ne riescono a far respirare l’atmosfera. La sensazione, più volte straniante, è quella di trovarsi in set contemporanei con costumi dell’epoca. È una scelta che potrebbe risultare voluta in modo tale da amplificare quel legame tra passato e presente del nostro Paese, anche se sarebbe servito porre un accento maggiore.
Protagonisti della Storia
Il cast de Il signore delle formiche sembra essere spezzato a metà. Luigi Lo Cascio riesce a rappresentare al meglio il carattere di Aldo Braibanti, lavorando di sottrazione e dosando accuratamente emozioni ed espressioni. Il risultato, arrivati alla fine del film, è quello di aver assistito a un ritratto umano e tridimensionale, vero. Elio Germano, nel ruolo del giornalista Marcello, si fa forza con un’interpretazione camaleontica di quello che è il personaggio migliore del film. Paga dazio sul minutaggio e sull’importanza del giornalista nei confronti della trama, ma ogni volta che compare ruba la scena ai comprimari.
Comprimari che non riescono a spiccare come dovrebbero, vuoi per alcuni dialoghi in sede di sceneggiatura un po’ troppo artificiosi, vuoi per il confronto con talenti del calibro di Lo Cascio e Germano. Se l’Ettore di Leonardo Maltese non convince pienamente nell’uso della parola, è interessante come il giovane attore lavori attraverso il volto e il corpo, scelta questa che lo rende attento ed efficace.
I due stomaci delle formiche
In una scena del film viene detto che le formiche hanno due stomaci: uno per loro stesse, uno per la collettività. Il film di Amelio riproduce questa duplice funzione. È un film su un singolo individuo, ma che ne rappresenta molteplici; è un processo giuridico ma anche una storia in cui si riflette sull’amore e la libertà di amare; è un film in cui si percepisce una dimensione intima e personale del regista, ma che riesce a trasformarsi in racconto universale. Soprattutto, è un resoconto di una vicenda che è allo stesso tempo conclusa e ancora in corso.
Proprio nelle scene finali, la risposta alla domanda “Quando c’è la sentenza d’appello?” ha il sapore amaro e doloroso di una storia che è ben lungi dal ritenersi conclusa: “Domani”. Come se questa libertà d’amare e di essere sé stessi debba essere ancora decisa. E non accadrà oggi.
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La recensione in breve
Il signore delle formiche trova la sua forza nelle interpretazioni di Luigi Lo Cascio ed Elio Germano. La storia di Aldo Braibanti appartiene al passato quanto al presente, ma il film di Gianni Amelio predilige uno stile sin troppo asciutto che non coinvolge quanto potrebbe.
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Voto ScreenWorld