Dal 2020 al 2021, Sinister (2012) è stato considerato il film più spaventoso di tutti i tempi, finché non è stato sostituito da Host (2020). Perlomeno, così è stato stabilito da studi che hanno monitorato il battito cardiaco degli spettatori durante la visione del film. Dopo Doctor Strange (2016), Scott Derrickson decide di tornare alle sue radici horror con questo film, disponibile nelle sale italiane dal 23 giugno. Pellicola d’atmosfera che indaga il tema della paura e della solidarietà infantile tramite la minaccia di un terrore al contempo sovrannaturale e fisico, come vedremo nella nostra recensione di Black Phone.
Black Phone
Genere: Horror
Durata: 102 minuti
Uscita: 23 giugno 2022 (Cinema)
Cast: Ethan Hawke, Mason Thames, Madeleine McGraw
La trama: Attenti ai rapaci
Basato su un racconto di Joe Hill, ingenuo e torbido allo stesso tempo, la trama di Black Phone segue le tracce di un angosciante sogno infantile, in grado di turbare qualsiasi adulto non del tutto riconciliato con il proprio passato. Nel 1978, un piccolo sobborgo operaio di West Denver è assediato da una serie di rapimenti di bambini; curiosamente, nessuno sembra particolarmente terrorizzato da queste tragedie, o deciso a modificare in qualche modo la propria routine. Anche per i nostri giovani protagonisti, che devono fare già i conti con un padre alcolizzato e violento, il pensiero che il Rapace (Ethan Hawke), sadico assassino soprannominato così dalle emittenti, possa mettere le zampe su di loro sembra inizialmente qualcosa di lontano. Finché non lo farà. Alla guida di un minivan rosso, il Rapace nasconde dietro a un palloncino rosso una bombola a gas pronta a mettere fuori gioco la sua prossima vittima. È così che Finney si ritroverà in uno scantinato insonorizzato con un misterioso telefono nero appeso alla parete. Il suo rapitore gli dice subito che non funziona da decenni, ma Finney lo inizia comunque a sentir suonare: all’altro capo del filo, i fantasmi degli altri bambini uccisi nella cantina, che ricordano a malapena i loro nomi, si fanno sentire, cercando disperatamente di evitare che Finney vada incontro al loro stesso, macabro, destino…
Black Phone si preannuncia come un film cupo e minaccioso, ancor prima della svolta cruciale del rapimento di Finney. Al di fuori della solidarietà tra fratelli, c’è ben poca speranza a West Denver: anche la madre di Finney, come la sorellina, era tormentata da sogni paranormali, che l’hanno spinta al suicidio e il padre (Jeremy Davies) ancora profondamente turbato dall’accaduto, colpisce molto più forte con la cintura di quanto un genitore non sia generalmente abituato a fare in film dal simile contenuto. Questa pesantezza tematica avrebbe potuto distruggere il film se non fosse stata supportata da attori così coraggiosi: Mason Thames è una vera delizia ma, anche in questo cast di prim’ordine, è la Gwen di Madeleine McGraw (attualmente protagonista della serie Disney+ Il segreto di Sulphur Springs) a rubare completamente la scena. Profondamente religiosa
ma che maledice tanto Gesù quanto la polizia con un atteggiamento incredibilmente sicuro di sé, volendo forse farsi largo come la vera protagonista della storia, scelta verso cui avrebbe potuto – e forse dovuto – optare l’intera narrazione.
Nessuno si salva da solo
Derrickson ricrea la fine degli anni ’70 con grande attenzione ai dettagli: toni seppia sbiaditi, bambini in bicicletta e una colonna sonora d’atmosfera rendono facile per il pubblico essere trasportati nella piccola città del Colorado in cui si svolge l’azione, ma senza gli occhi a cuoricino della nostalgia. I giovani personaggi al centro della storia sono trattati con una serietà ad oggi troppo rara nelle narrazioni horror. I loro problemi e dolori non sono minimizzati o rappresentati come inconsistenti. Al contrario, sono messi a confronto con la brutalità e l’impotenza di un’epoca in cui gli adulti hanno già stabilito la loro posizione di esseri senzienti, ma non sembrano ancora avere alcuna autonomia sulla propria vita: sono persone indifese, ignoranti e svantaggiate, incapaci di fare gruppo dal punto di vista sociale e comunitario, tentare di raccattare le fondamenta scomposte di una cittadina ormai fatiscente.
I loro figli sono cresciuti con quest’etica di incomprensione e violenza, che è percepibile ovunque, è reale e concreta, soprattutto nel cortile della scuola, dove arrivano pugni in faccia più e più volte per assicurarsi che il precedente bullo della scuola abbia davvero recepito il messaggio. Persino la sorellina di Finney lo colpisce così forte con una pietra che il sangue inizia a scorrere a fiotti sulla sua fronte, e si becca anche un bel calcio in testa. Eppure, nella sua più pura essenza, Black Phone è un film sulla solidarietà infantile, in questo senso sorprendentemente toccante, nonostante gli shock. Alla fine della rissa nel cortile della scuola, tutti si accovacciano l’uno accanto all’altro presso la recinzione, completamente storditi e sanguinanti. Non viene mai detto esplicitamente, ma i ragazzi (e con loro gli spettatori) sentono che, soprattutto con furfanti in giro – e in questo gruppo sociale rientrano anche i genitori, non solo la minaccia fisica del Rapace – bisogna assolutamente restare uniti per avere qualche possibilità in questo mondo marcio. È necessario fare gruppo, stringersi la mano e unire le fila di sonorità frammentate, le voci lontane dei bambini di ieri che chiedono a quelli di oggi di combattere in nome di una saggezza lucida, della verità contro le maschere, della risolutezza contro i falsi sorrisi.
In questa città del Colorado c’è qualcuno che vuole acchiappare i sogni dei ragazzi, snaturare ogni loro fantasia, risucchiarli nell’abisso di un domani stantio: la personalità degli adulti è incarnata dalla maschera del terrore, il Rapace, un’aquila furbissima, ingorda dell’esasperazione di adulti animaleschi. Un sadico assassino privato del volto, che deve ricorrere a ogni strumento necessario per spaventare e chiede al regista di seguirlo, di catturarne lo sguardo mutevole, la modulazione vocale, tramite scelte di montaggio che vogliono stare al ritmo del suo volare vorticoso ma, in ultima istanza, finiscono per assumere una posizione ben precisa. Quella dei bambini, che stanno semplicemente cercando di sopravvivere in un mondo che non rende loro esattamente facile questo compito; quella della saggezza e della famelica fantasia infantile, che si mangia a colazione gli artigli di un rapace.
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La recensione in breve
Come abbiamo visto nella nostra recensione di Black Phone, il nuovo film di Scott Derrickson trova la sua forza nel contrapporre la voracità infantile agli schemi orrorifici incapsulati dalla maschera del Rapace, estensione di una comunità che vive nel terrore della memoria passata, ignoranti del fatto che una nuova generazione sta per calpestare il terreno di West Denver.
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Voto ScreenWorld