«Avremo sempre Parigi», era la frase malinconica con cui il Rick Blaine di Humphrey Bogart rievocava il suo idillio romantico con la Ilsa Lund di Ingrid Bergman, nel momento dell’addio fra i due ex amanti divisi dalla guerra. La scelta di aprire la nostra recensione di Amsterdam con l’iconica battuta di Casablanca non è casuale: se nel classico di Michael Curtiz la passione fra Rick e Ilsa era racchiusa in un flashback che trasformava Parigi nel correlativo del rimpianto per una felicità perduta, qualcosa di analogo accade anche nell’ultimo film di David O. Russell. La capitale olandese, da cui deriva addirittura il titolo dell’opera, funge qui da ambientazione di un’altra, lunga analessi: la cronaca dei giorni entusiasmanti trascorsi insieme dal terzetto di protagonisti nel cuore dell’Europa, all’indomani della fine della Grande Guerra e alla vigilia dei ruggenti anni Venti, forieri di nuovi amori e di fulgenti speranze.
Amsterdam
Genere: Thriller, commedia
Durata: 134 minuti
Uscita: 27 ottobre 2022 (Cinema)
Cast: Christian Bale, Margot Robbie, John David Washington
Una trama a tinte noir, fra Casablanca e Il grande sonno
Dopo essere stati commilitoni durante la Prima Guerra Mondiale, gli americani Burt Berendsen, interpretato da Christian Bale (attore-feticcio di Russell), e Harold Woodsman (John David Washington) decidono di stabilirsi ad Amsterdam insieme all’infermiera Valerie Voze, di cui Harold si è innamorato. La loro felice convivenza si interrompe quando sia Burt che Harold decidono di tornare a New York: il primo apre una clinica per veterani, il secondo intraprende la carriera legale. Quindici anni più tardi, però, Harold e Burt vengono trascinati in un oscuro intrigo legato alla morte del loro ex comandante, l’anziano senatore Bill Meekins: l’autopsia condotta da Burt rivela infatti che Meekins è stato avvelenato, e subito dopo il mistero si infittisce in seguito a un altro delitto…
Se il richiamo a un passato riletto secondo i codici del mito e le suggestioni da intrigo internazionale rimandano direttamente a Casablanca, tuttavia Amsterdam presenta attinenze di gran lunga maggiori con un’altra pietra miliare interpretata poco più tardi da Humphrey Bogart, ovvero Il grande sonno di Howard Hawks. Di ritorno dietro la macchina da presa dopo un lunghissimo periodo di pausa (il suo lavoro precedente, Joy, risale al lontano 2015), il regista e sceneggiatore David O. Russell sembra intenzionato a cimentarsi con i canoni del genere hard boiled, in particolare dal punto di vista narrativo: ecco dunque che una coppia di detective improvvisati si ritrova coinvolta in un intricatissimo noir a base di delitti, false piste, tentativi di insabbiamento e fantomatici complotti.
Il fragile equilibrio di un film densissimo
A Burt e Harold, testimoni di un bizzarro omicidio che li vede come principali sospettati, si riunirà ben presto la graziosa, eccentrica e determinata Valerie Voze, ruolo a cui Margot Robbie conferisce fascino e carisma. La presenza scenica del terzetto diventa così il motore di un racconto volto a replicare la complessità delle trame di Raymond Chandler (o, spostandoci alla narrativa contemporanea, del Vizio di forma di Thomas Pynchon e di Paul Thomas Anderson): la scommessa ardita di un film che, non a caso, rischia in più occasioni di incartarsi e fatica a mantenere un adeguato equilibrio. Certo, il ritmo è quello inconfondibile a cui David O. Russell ci ha abituato più volte, scandito dalle cadenze frenetiche di una commedia con venature grottesche; ma la sensazione frequente è quella di assistere a una versione assai più dispersiva di American Hustle, con qualche difficoltà nella gestione dei subplot e di alcuni personaggi minori (fra cui la dottoressa Irma St. Clair di Zoe Saldaña e la Beatrice Vandenheuvel della pur brava Andrea Riseborough).
Un fiasco immeritato?
Si tratta probabilmente delle ragioni alla radice della fredda accoglienza riservata dalla critica alla nuova fatica di Russell e, soprattutto, del suo cocente insuccesso di pubblico (neppure quindici milioni di dollari incassati in patria, a fronte degli ottanta milioni di budget). Un insuccesso in parte preventivabile per un film forse meno ‘immediato’ rispetto ai titoli di punta del regista, a dispetto della parata di volti celebri all’interno del variegato cast: da Rami Malek ad Anya Taylor-Joy, da Michael Shannon a Chris Rock, da Mike Myers a Matthias Schoenaerts, passando per la popstar Taylor Swift (al centro dell’“uscita di scena” più bislacca dell’anno) e per l’inossidabile Robert De Niro nei panni dell’ex ufficiale Gil Dillenbeck, modellato sulla figura del generale Smedley Butler. Amsterdam, del resto, è ispirato a una vicenda realmente accaduta: la cospirazione politica nota come il Business Plot o il putsch di Wall Street, un episodio da annoverare nel filone delle storie stranger than fiction.
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La recensione in breve
Sebbene il potenziale di un intreccio tanto assurdo e sorprendente non sia stato sfruttato nel migliore dei modi, il sonoro fiasco registrato dal decimo lungometraggio di David O. Russell appare comunque alquanto ingeneroso. È vero, talvolta Amsterdam scricchiola sotto il peso della sua stessa ambizione, ma di certo non mancano i motivi di interesse nei confronti di un progetto che si impegna a rileggere certe formule del cinema classico senza adagiarsi sulla tradizione, ma aggiornandola secondo le influenze della contemporaneità e lo stile personalissimo del suo autore.
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Voto ScreenWorld