Lo sappiamo bene: gli Oscar non potranno mai rappresentare la qualità “oggettiva” delle produzioni cinematografiche. Ma gli Academy Awards sono da sempre un indicatore estremamente importante che ci permette di analizzare le tendenze di un’industria in costante movimento. Se candidature e vittorie nelle categorie principali lanciano chiari segnali riguardo al pensiero (soprattutto politico) della Hollywood che conta, gli Oscar “tecnici” sono spesso quelli che più si legano ai cambiamenti dell’industria e ci permettono di intercettare i cambiamenti. Che si tratti di volgere il proprio sguardo ad altri stili, o semplicemente ad approcci tecnologici differenti, Hollywood si è spesso fatta emblema della varietà: chi si ferma è perduto, o perde, nel caso delle premiazioni.
Ma ciò che è accaduto quest’anno è quanto mai indicativo di un’inversione di tendenza, cosa che accade assai di rado nella terra delle major. In una premiazione quanto mai vicina a quella parvenza di meritocrazia di cui cinefili e non si lamentano ogni anno, una saga iconica come quella di Godzilla ha vinto il suo primo Oscar per gli effetti speciali. Nulla di strano all’apparenza, a parte il fatto che ci siano voluti 70 anni per vedere il Re dei mostri vincere un premio di tale portata. Eppure, questo singolo riconoscimento può dirci molto di più sullo stato dell’industria rispetto a chi ha vinto per il Miglior Film. Godzilla: Minus One ha trionfato contro Disney e Paramount, contro la Marvel e Tom Cruise, spinto dalla visione del suo regista Takashi Yamazaki. E stando a quanto dicono Del Toro, Spielberg e Cameron, questa potrebbe essere una vera svolta.
Un’industria che vacilla
Un’importante premessa: per la stragrande maggioranza delle produzioni a medio-alto budget, tanto al cinema quanto in tv, veder lavorare al comparto vfx un unico gruppo è diventato estremamente raro. Con le tempistiche sempre più ristrette dettate dallo streaming e dalla necessità di completare la post-produzione nel minor tempo possibile, è facile che il budget si diluisca su più studi specializzati in determinati compiti: uno studio si occuperà degli effetti, uno studio del compositing, un altro della color (correction/grading) e così via.
Potrebbe sembrare un’organizzazione efficiente, e sulla carta potrebbe anche esserlo, ma la verità è che il mondo occidentale dei vfx si sta facendo sempre più complesso: da una parte, i guadagni degli studi aumentano soltanto se si accettano più richieste e si lavora su più progetti differenti; dall’altra, i professionisti e i tecnici sono però costretti a turni sempre più pesanti per soddisfare le richieste di registi e produttori che spesso non hanno reale contezza di quanto tempo occorra per raggiungere risultati pienamente soddisfacenti.
Il crunch (lo sforzo intensivo a cui sono costretti gli operatori) è ormai all’ordine del giorno, come confermano i recenti scioperi del settore, ma non solo: sono parecchie le testimonianze di gruppi vfx che lavorano per mesi a delle sequenze senza ricevere il giusto supporto da parte della produzione – o al contrario, di reparti a cui viene ordinato di ricominciare un progetto da capo dopo settimane di lavoro, con un decimo del tempo a disposizione o quasi a ridosso dell’uscita del prodotto. Con la sua scarsa attenzione e la sua ossessione per il guadagno, Hollywood ha ingolfato un’intera parte dell’industria: non c’è da meravigliarsi se le situazioni imbarazzanti in trailer o prodotti finiti si fanno sempre più frequenti (basti ricordare The Flash, Cats o alcuni prodotti tv targati Marvel).
L’unicità di Godzilla: Minus One
Abituati a contesti del genere, il fatto che un gruppo di lavoro composto da sole 35 persone sia riuscito a realizzare un’opera così curata è quasi assurdo. Se pensiamo che l’intera produzione di Godzilla: Minus One è costata circa 15 milioni di dollari, quasi un ventesimo rispetto alla concorrenza targata Disney e co., la sua vittoria agli Oscar sembra davvero folle. La ragione dietro il suo successo, tuttavia, è molto più concreta. A una prima occhiata, il Godzilla di Yamazaki potrebbe essere a tutti gli effetti un film degli anni ’90: un film fortemente ispirato alla matrice spielberghiana, con chiare citazioni al maestro americano e un approccio agli effetti visivi molto più pervasivo che evasivo. Per spiegarci meglio: Minus One è un kolossal nello spirito, ma di kolossal ha solo la sua creatura protagonista, resa spettacolare dall’attento uso delle risorse e non dal loro abuso.
Yamazaki e soci hanno riportato questo lato dell’industria allo stato dell’arte, con la cura del particolare che prevale sull’esuberanza tecnologica, ma soprattutto con la magia degli effetti visivi che si mescola alle immagini per esaltare la visione del regista (e non il contrario). Questo perché lo stesso Yamazaki ha un passato da vfx supervisor, che conosce alla perfezione gli ambiti di applicazione e i modi in cui gli effetti visivi possono esaltare, non stravolgere una pellicola. La tendenza assurda degli ultimi anni di Hollywood ha visto molti registi vantarsi di non usare effetti digitali, tornando al pratico “come ai vecchi tempi”. In realtà la stragrande maggioranza delle produzioni, anche quelle che vengono celebrate come “libere” dagli effetti digitali, lavora su una commistione tra pratico e non a cui è quasi impossibile sottrarsi. Molti registi guardano agli effetti come alla “computer grafica”, ma i vfx non sono soltanto modelli 3D.
La nuova tendenza?
Yamazaki sfrutta un approccio completamente diverso, derivante da un ambiente estraneo a certe dinamiche (e che guarda al gruppo piuttosto che al singolo): mostrare al suo team un’idea chiara e precisa di come dovrebbero apparire le scene, evidente e consultabile sin dalla pre-produzione, per poter creare la struttura più funzionale all’aggiunta degli effetti speciali. Guardando oltre Godzilla, lo stesso Gareth Edwards ha sorpreso tutti con il suo sottovalutato The Creator per ragioni molti simili. Questo perché anche il regista di Rogue One condivide con Yamazaki un background da vfx supervisor, che sa bene quanto sia importante la praticità di intenti – evitando soprattutto di guardare alla post-produzione come a una tappa obbligata a cui è impossibile sottrarsi.
Questo non significa che bisogna essere esperti di vfx per poter realizzare un buon film o una buona serie, ma l’Oscar di Godzilla ha messo in luce un’esigenza fondamentale: ogni sequenza, specie se con l’ausilio di effetti visivi, deve sempre supportare il racconto, quell’idea creativa ben precisa che prescinde dai vari reparti della produzione. Se Godzilla è riuscito a essere così autentico, è perché tutti i comparti hanno lavorano insieme, riducendo costi, sforzi e attriti. La forza dei piccoli numeri, ma prima di tutto la forza delle idee: Minus One è destinato a restare un unicum a livello produttivo, soprattutto perché nessuno a Hollywood potrebbe permettersi di lavorare allo stesso modo per tempi e richieste.
Forse è troppo presto per dire che un Oscar possa davvero cambiare le cose, ma la strada sembra segnata ed è innegabile che anche l’occhio del pubblico, ormai particolarmente allenato, si stia muovendo verso quella direzione che Hollywood fatica ancora a imboccare.
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