“È bello avere degli amici” :queste sono le parole che il personaggio di Lyla ripete più volte all’interno del terzo capitolo di Guardiani della Galassia Vol. 3. Il film di James Gunn (trovate qui la nostra recensione) è una straordinaria narrazione che corre incontro alla costruzione della propria identità, ma è soprattutto il racconto di un’amicizia che si fa famiglia, un legame di determinazione e volontà che abbatte persino quello di sangue. C’è un motto alquanto usurato che asserisce che “gli amici sono la famiglia che ti scegli”. È ridondante, vetusto, a tratti smielato. Ma si dà il caso che sia anche profondamente vero.
Quando si ha a che fare con le narrazioni pensate per l’intrattenimento – per qualsiasi forma di intrattenimento – abbiamo sempre la tendenza a concentrarci maggiormente sulle storie d’amore, sull’interazione romantica tra due personaggi che si rendono conto di essere innamorati. Abbiamo sentito parlare della “più bella storia d’amore mai raccontata”, del tragico amore di Romeo & Giulietta. Ci interroghiamo ancora sulla possibilità che Jack Dawson potesse salvarsi salendo sulla porta insieme a Rose. Dietro le nostre palpebre sono immortalate decine di scene di baci da mozzare il fiato, di dichiarazioni che difficilmente troverebbero spazio nella vita quotidiana. E abbiamo accettato, più o meno inconsciamente, che il vero amore fosse quello romantico. Solo quello romantico.
E ci siamo sempre sbagliati. Lungi da noi voler in qualche modo sottostimare la bellezza di una bella storia d’amore rappresentata su grande o piccolo schermo; quello che è interessante sottolineare, al contrario, è che forse il vero amore – quello più puro, quello che non chiede nulla in cambio, quello che c’è a prescindere – è quello che ci lega ai nostri amici.
The First Slam Dunk: un’amicizia non preventivata
“Non possiamo scegliere chi amare.” Quante volte abbiamo sentito questa frase – o una sua derivazione – nel corso degli anni? Quante volte abbiamo sentito eroi innamorati giustificarsi dietro questa assunzione? Ci innamoriamo nei modi più irrazionali e inaspettati possibili. Ci rendiamo conto di provare sentimenti profondi quasi senza accorgersene e quando questi vengono in superficie è di solito troppo tardi per poter fare marcia indietro. Ma chi l’ha detto che questo funziona solo in ambito romantico?
C’è una scena di The First Slam Dunk (qui la recensione) che sembra suggerire quanto l’imprevedibilità sia comune anche al discorso delle amicizie. La squadra dello Shohoku è al centro del campo, la colonna sonora riempie le orecchie dello spettatore con una musica lontana ma tesa, al punto che sembra di sentire il battito dei cuori dei giocatori in campo. I cinque sono chiusi in cerchio, in una formazione che sembra uno scudo, un abbraccio un po’ sbilenco per chiudere fuori il resto. Akagi prende la parola, per avviare un monologo che deve dare alla squadra quella spinta necessaria per continuare una “guerra” per cui venivano dati sconfitti in partenza. E il discorso di incoraggiamento del capitano inizia con un “Voi non mi piacete, ma…” Ed è in quella particella che si nasconde il significato dell’amicizia che Takehiko Inoue ha saputo raccontare senza ostentarla, senza ricorrere a ricatti emotivi che sarebbero parsi come annoiati esercizi di stile.
Akagi è diverso dai suoi compagni di squadra. A parte il basket, non ha molto in comune con nessuno di loro. Hanamichi lo snerva, Rukawa non gli interessa. A tratti disprezza Mitsui per le sue decisioni al secondo anno di liceo e non ha chissà quale rapporto con Miyagi. Akagi è un bravo studente, gli altri sono per lo più attaccabrighe. Akagi ha una famiglia amorevole, gli altri hanno cicatrici addosso che gli hanno insegnato a non aver fiducia in nessuno, a non poter affidare la propria felicità a qualcun altro. Sono compagni di squadra, certo, ma nessuno ha dato per scontato che diventassero amici. Sulla carta, i componenti dello Shohoku sono persone che Akagi non frequenterebbe. E c’è quel ma.
Con gli altri, il “Gorilla” ha inseguito a perdifiato un sogno lungo tre anni: davanti ai suoi compagni ha mostrato la sua fragilità, ha urlato di disperazione. La sua spalla è stata quella che ha raccolto le lacrime di Hanamichi e in The First Slam Dunk si vede l’intesa che ha con Miyagi, la capacità di tradurre i suoi silenzi e i suoi sguardi. The First Slam Dunk dimostra come, al pari dell’amore romantico, anche l’amicizia è qualcosa che ci arriva addosso e che non scegliamo le persone che ci sono vicine, ma possiamo scegliere ogni giorno di far sì che questo non cambi.
Tra le tante cose che il film di Takehiko Inoue ci ha insegnato, c’è anche questo: l’amicizia è imprevedibile, ma mette radici che sono impossibili da sradicare. Ci insegna che l’amicizia non è un insieme di belle parole, ma è la feroce concretezza della presenza, dell’esserci nonostante tutto, dell’esserci anche quando si pensa di odiare l’altra persona.
L’amicizia che conta è a prescindere
E in questo senso l’ultima azione della partita contro il Sannoh, che vede come protagonisti Rukawa e Sakuragi, è emblematica: siamo amici di coloro su cui possiamo contare. E in un mondo come quello attuale, dove l’indifferenza sembra dilagare come una macchia d’olio, abbiamo bisogno di storie che ci ricordino l’importanza di avere qualcuno che è lì. Nonostante tutto. L’amicizia di The First Slam Dunk è un’amicizia fatta di a prescindere. Siamo amici di qualcuno non per questo o quel merito. Diventiamo davvero amici di qualcuno nonostante tutto, a prescindere da tutto il resto.
Kaede Rukawa è un fenomeno: un ragazzo silenzioso e taciturno, che non ha mai voluto altro che diventare il numero uno del basket in Giappone. Ha l’atteggiamento sfuggente di chi non vuole distrazioni, ed è inseguito da folle di ammiratrici. Hanamichi Sakuragi è rumoroso, eccentrico, non ha mai pensato al basket e la prima volta che lo fa è per cercare di conquistare una ragazza. Rukawa è meticoloso tanto quanto Sakuragi è impaziente. Il primo è disciplinato tanto quanto il secondo è un combinaguai. Rukawa è uno snob, Sakuragi un invidioso. Non c’è margine per questi due: non sono fatti per essere amici. Ma ecco di nuovo quel ma. Nel manga e nell’anime, quando Hanamichi viene espulso dopo la sua prima schiacciata contro lo Shoyo, Rukawa lo raggiunge e gli fa i suoi complimenti per il tiro. Dopo l’incontro con il Kainan i due si prendono a pugni e si nascondono dietro le porte chiuse della palestra per sfidarsi e, al tempo stesso, creare il terreno fertile per costruire un qualsivoglia tipo di rapporto.
Non si piacciono, Rukawa e Sakuragi. A tratti si odiano. Ma. Ed è di nuovo in quel ma, in quel nonostante tutto che si costruisce questo tipo di amicizia.
Ne Il signore degli Anelli, Sam continua a seguire Frodo nonostante lui voglia andarsene da solo, nonostante l’anello lo stia avvelenando. Ron torna da Harry Potter, nonostante sappia che sta andando incontro a una missione potenzialmente suicida, nonostante si renda conto che l’amico non potrà mai sapere cosa si prova ad essere il migliore amico dell’eroe. Questo tipo di amicizia, poi, ha una sua controparte anche nella serialità e la più recente dimostrazione è senza dubbio nel rapporto che si sta costruendo, episodio dopo episodio, tra Jamie e Roy nella nuova stagione di Ted Lasso. Personaggi diversi tra di loro, che all’inizio a stento si sopportavano, diventano due metà di un rapporto che non è perfetto, che non è sempre irreprensibile, ma che rappresenta quella terraferma di cui tutti abbiamo bisogno per rimanere in piedi, per avere il nostro equilibrio.
Perché abbiamo bisogno di storie d’amicizia
Il cinema è tante cose. Può essere una fuga dalla realtà, una chiamata all’azione. Un sogno ad occhi aperti, la concretizzazione delle fantasie a cui non sappiamo dare un nome. Ma il cinema può essere anche una grande scuola. I migliori film, però, non sono quelli che apertamente ti dicono cosa fare, cosa è giusto e cosa è sbagliato. Le pellicole migliori, quelle che ci entrano nel cuore, sono quelle che non vogliono insegnarci niente, ma che con le loro storie ci regalano il mondo. E molto spesso questi insegnamenti ci arrivano proprio dalle grandi storie d’amicizia. Le grandi storie d’amore nutrono il nostro bisogno di sognare ad occhi aperti: abbiamo bisogno dell’amicizia, nei film, per svegliarci dal sogno e renderci conto che la realtà non è poi così orribile. L’amicizia tra Buzz e Woody in Toy Story, per esempio, ci ha fatto ridere, ma ci ha anche insegnato l’importanza di non dare pregiudizi affrettati e, soprattutto, di non aver paura del cambiamento.
Tantissimi film, come I Goonies, Stand by me, ma anche i più recenti Guardiani della Galassia fino a Gli spiriti dell’isola ci ricordano il bisogno di incontrare quelle persone con cui la vita è meno miserabile. In effetti, proprio il film di Martin McDonagh racconta sì di un’amicizia che finisce di punto in bianco, forse a dimostrazione di come una guerra invisibile ma perpetua possa corroborare anche i rapporti più solidi. Ma, per i più romantici, il film ci racconta anche cosa succede quando l’amicizia finisce, quando viene a mancare proprio quella certezza che dava senso alla quotidianità.
“Dimmi chi sono i tuoi amici e ti dirò chi sei” è un altro modo di dire alquanto diffuso, che però ancora una volta sottolinea quanto ogni essere umano ha bisogno di costruirsi non solo per se stesso, ma anche per le persone che gli stanno intorno, anche grazie a chi gli sta intorno. L’amicizia è ciò che ci aiuta a crescere, che ci aiuta a guarire mentre combattiamo contro i nostri demoni, e che ci insegna ad avere fiducia in qualcuno che è altro da noi. Il cinema ci insegna a sognare, ma è l’amicizia, alla fine dei conti, che ci insegna a vivere.
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