Chiunque abbia dato uno sguardo alle classifiche delle piattaforme più utilizzate per lo streaming musicale nel mese di maggio si sarà imbattuto nell’effetto Stranger Things: a dominare le vette di ogni classifica e della Billboard Hot 100 c’era, con un singolo dell’85, un’artista che non pubblica album in studio da almeno dieci anni. L’artista era Kate Bush e il singolo era Running Up That Hill (A Deal with God), un brano che all’epoca dell’uscita non era certo passato inosservato ma che, con migliaia di unità ricavate da download e ascolti, oggi si piazza prepotentemente in vetta. A spiegare la strana parabola di questo pezzo è l’episodio 4 della serie Netflix, che ha restituito a Running Up That Hill il suo status di hit mondiale, a distanza di 37 anni dalla sua uscita, facendone il background sonoro di una delle sue sequenze chiave.
Non è la prima volta che accade qualcosa del genere. Basti pensare al fenomeno Queen esploso contestualmente all’uscita in sala di Bohemian Rhapsody, fortunato biopic sui primi quindici anni della rockband londinese e che ha reso l’omonimo brano del gruppo la canzone del ventesimo secolo più ascoltata di sempre in streaming (con oltre un miliardo e mezzo di riproduzioni totali). E la Queen mania, che ha solo rinforzato e accresciuto tra le nuove generazioni la popolarità di quattro artisti gloriosamente rappresentati dall’icona di Freddie Mercury, era stata anticipata e quasi annunciata dall’inserimento della stessa Bohemian Rhapsody nel virale trailer di Suicide Squad, due anni prima.
Parlando di viralità potremmo allontanarci dal cinema e spostare la nostra attenzione sullo strano caso che riguarda TwinsthenewTrend, canale YouTube che, sulla scia delle cosiddette “first reactions” basate sul primo ascolto di un brano musicale (non importa quanto celebre questo sia), ha riportato Phil Collins e la sua In The Air Tonight dritti ai vertici delle classifiche nell’estate del 2020, dando seconda vita a un brano che già aveva riscritto le regole della musica pop.
Il rock anni ottanta in Thor: Love and Thunder
Ma la schiera di fenomeni simili scaturiti dal cinema è ancora folta. Thor: Love and Thunder, in sala in questi giorni, insiste sulla formula del predecessore Ragnarok. E non lo fa solo da un punto di vista prettamente cinematografico, abbracciando gli stessi toni scanzonati che si alternano a momenti drammatici e sentimentali, ma anche sul piano della colonna sonora, che infatti guarda ancora una volta al passato. L’operazione attuata con la Immigrant Song dei Led Zeppelin, che accompagnava la disfatta di Hela (Cate Blanchett) in Ragnarok, viene qui riproposta e moltiplicata per 10 con un tappeto musicale che sembra un jukebox a tema Guns N’ Roses, spaziando da Welcome to the Jungle a Paradise City e da Sweet Child O’ Mine alla coda di November Rain. Senza contare incursioni in generi al di fuori del rock, come quella in Our Last Summer, degli ABBA (già sublimati nel musical Mamma Mia!), o quella nella Family Affair di Mary J. Blige.
Uno scenario più che plausibile vede uno spettatore di Stranger Things ultimare la visione della quarta stagione della serie e avere ancora impressa nella mente l’esibizione di Eddie Munson, che alla chitarra suona Master of Puppets dei Metallica, quando entrerà in sala per l’ultimo capitolo del supereroe-dio Marvel che scatena i suoi poteri solo a patto che sia il gruppo di Axl e Slash a venire in suo soccorso. E, ciò che è ancora più stupefacente, a quello spettatore piacerà perdersi in questo cortocircuito.
La nostalgia che vende
Non stupisce che i due colossi dell’intrattenimento audiovisivo, Netflix e Marvel Studios, abbiano deciso di far leva sulle emozioni che la musica (e non solo quella, in Stranger Things) del passato può stimolare negli spettatori: è una strategia che ha preso il nome di nostalgia marketing e che si basa, come si può intuire, sull’allineamento fra il marketing e l’esperienza personale del fruitore del prodotto. Vale a dire che le sensazioni legate a un ricordo del passato, che sia nella forma di un film, di un album musicale o di una console, vengono rese attuali attraverso un recupero attento dello stesso oggetto e la sua attualizzazione nel contesto culturale odierno. Per metterla nei termini di Scott A. Howard, la nostalgia è un’amalgama di quel particolare oggetto, per com’è preservato nella memoria, e il desiderio soggettivo nei suoi confronti. Non si tratta semplicemente di una fascinazione per il passato: perché si generi un vero sentimento di nostalgia è necessario che vi sia una differenza marcata – sia pure soggettiva, percepita – fra il presente e il passato, e che si avverta il forte senso di irrecuperabilità di quel passato, fondamentale nell’esperienza della nostalgia. Inoltre quel passato deve rappresentare una condizione di dolce ingenuità, di naïveté, da giustapporre a un presente disilluso, in cui gli oggetti si acquistano per necessità più che per diletto e in cui, sul piano collettivo, l’essenza delle cose digitali sembra evanescente.
Stranger Things ha esteso l’effetto nostalgia su ogni componente della serie ed è pionieristica, paradossalmente, nella rievocazione di un certo passato: è possibile imbattersi nel cartonato di Eddie Murphy in Beverly Hills Cop e in un monitor su cui passa una delle scene madri di Ladyhawke, oltre al già citato commento musicale in tema, nella stessa inquadratura. Oltre a ciò Stranger Things è una serie che si comporta come un film nostalgico in modo autoreferenziale: è un pastiche della cultura pop degli anni ottanta ed è una rievocazione filtrata attraverso la lente del cinema (degli eighties) stesso, più che un riecheggiamento realistico di quella decade.
Gli intenti di Thor: Love and Thunder sono leggibili a partire dal poster in cui, come ci si aspetterebbe da un film dell’MCU, signoreggiano i due Thor protagonisti delle nuove avventure (Chris Hemsworth e Natalie Portman); ma l’insieme è perfettamente calibrato in un packaging retrò dall’altissimo coefficiente nostalgico, dalla resa grafica al font scelto per il titolo.
Non solo una strategia di marketing
La nostalgia – che esclude tutti gli aspetti negativi di quell’esperienza, enfatizzando però quelli del presente – produce anche un senso di benessere legato al conosciuto, a ciò che è cristallizzato nel tempo e nella memoria individuale, soprattutto in un momento storico contraddistinto dall’estrema fluidità di contenuti sui social media e sulle piattaforme. Eppure c’è, nella formula “alla Stranger Things”, la consapevolezza che coccolando la generazione X si stia anche comunicando con le generazioni successive, principali artefici della diffusione capillare di video e contenuti che ripropongono i momenti musicali salienti dell’ultima stagione, ammiccando soprattutto a quelli di Kate Bush. In quest’ottica è davvero difficile interpretare l’effetto nostalgia come un vicolo cieco che comunica solo a una parte di spettatori, perché non si può tralasciare il risultato che produce sulla larga parte composta da Millennials e Gen Z.
Quella della nostalgia è certo una strategia (e di successo, anche) che mira a far sentire speciale chi può riconoscere nella rappresentazione di un’epoca il proprio vissuto, ma il cui effetto collaterale è la possibilità di preservare e rinnovare i miti del passato proiettandoli nel futuro. E così funziona a doppio senso: ciò che per alcuni è un ritorno confortante al vecchio, per altri è un’inebriante fuga verso nuovi lidi.
In cui tutti ascoltano i Metallica.
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