Forse l’Ari Aster di Hereditary e Midsommar è caduto vittima dell’intellettualismo autoriale. Forse ha lasciato che la sua arte vaghi verso derive completamente nuove, libere dal peso di giudizi o percezioni esterne: ogni nuovo appuntamento sembra diventato per il giovane cineasta un’occasione per mostrare al mondo il proprio grandeur. Un atteggiamento elusivo, elevato, che fa luccicare gli occhi a molti appassionati ed è capace di stuccarne altrettanti. Non sembrano esserci vie di mezzo: Aster ha uno stile riconoscibile, una tecnica sempre più affinata e le idee chiarissime. Oggi un regista così vive per dividere.
Chi si è innamorato del suo cinema prima dell’ascesa ha trovato in Ari Aster la voce di un disagio esistenziale, di un dolore purissimo. Uno sguardo deciso a raccontare la difficoltà di stare al mondo, il dolore di chi non riesce a vivere al di fuori di sé. Il suo Eddington, per certi versi, esaspera la sua poetica oltre ogni misura: quel profondo disagio resta intimo soltanto all’apparenza, avvolgendo l’America intera – in un periodo delicato e cruciale per l’umanità come il 2020, in piena pandemia. Con questo dramma (poi thriller) a tinte western, Aster si scaglia apertamente contro gli Stati Uniti, simbolo e forse sineddoche di una società assoluta e assolutista. Il ritratto filmico di quell’egemonia del consenso che sorregge gli ipocriti e galvanizza i potenti, che spinge i poveri a farsi la guerra e disorienta i fragili attraverso gli schermi.
Eddington fa tanto, probabilmente troppo, per ragionare sul concetto di libertà nella società di oggi (tra complottismi e negazionismi), ma emerge come l’imperfetta e avvilente dichiarazione politica di un autore che vuole spingersi oltre la satira per affrontare direttamente l’orrore più vero.
Genere: Thriller, Western
Durata: 145 minuti
Uscita: 16 Luglio 2025 (Cinema)
Cast: Joaquin Phoenix, Emma Stone, Pedro Pascal, Austin Butler
Vuoti d’America

Quella di Eddington è una storia estremamente reale: c’è la rabbia sociale, il disagio comune affrontato da diverse prospettive, ma c’è soprattutto l’ostinazione di chi subisce la controcultura e trova nel dissenso un comodo rifugio per le proprie fragilità. Quel disagio esistenziale si deforma al punto da diventare inadeguatezza: in un 2020 che mette in ginocchio il mondo, l’idea che tutti debbano passivamente adeguarsi scatena un caos senza precedenti. I media raggiungono l’apice della popolarità e del potere, trasformandosi in platee pronte a giudicare ogni cosa, poi in potentissimi strumenti di manipolazione del consenso. In Eddington la realtà diventa un concetto relativo, che cambia in base alle proprie verità e spinge il simbolismo di Aster verso una concretezza obbligata (e inesplorata).
Il personaggio di Joaquin Phoenix, uno sceriffo negazionista, rappresenta suo malgrado la figura apicale di un piccolo contesto americano pregno di incongruenze e criticità. Dove la legge tace e la pancia è pronta a prendere il sopravvento, il protagonista si lancia come un moderno Don Chisciotte in una crociata di principio che porta Eddington (comunità, ma anche film nella sua interezza) ad affrontare le conseguenze della propria negligenza. I principali ganci del film, almeno fino al plot twist definitivo, derivano da eventi reali: il lockdown prima, la morte di George Floyd poi contribuiscono a scaldare un clima già teso in partenza, portando il macro ad annichilire il micro in modi del tutto inattesi.
Forse il problema di Eddington è non riuscire a trattare a dovere tutte queste verità, ragionando sul consenso per osservare direttamente l’America di oggi, immersa in un abisso di orrore e delirio.
Cosa resta di noi

Diventa davvero complicato dare un giudizio su Eddington. Aster gira con maestria, costruisce la tensione in maniera esemplare, ma come spesso gli capita di recente crolla spesso sotto il peso di narrazioni inutilmente cervellotiche che si scontrano con la sua prospettiva intimista. Ciò che resta di quell’ardore è l’eco di una critica sociale, mascherata nella satira e smorzata nel mistero della brutaliità, che tenta di sfruttare situazioni anomale per esplorare ulteriormente il dedalo ambiguo e terrificante in cui sprofonda la gente comune. Al netto delle sue incongruenze, quello di Aster è un orrore più reale, concreto, preoccupante. Abbraccia esperienze da tutti vissute per mostrare cosa siamo diventati.
La realtà più pericolosa non è soltanto quella che uno si costruisce, ma quella che trova spazio (o modo) di risuonare negli altri attraverso la paranoia. Eccessivo, brutale come pochi, Aster presenta elementi diversi senza tuttavia esplorarne davvero nessuno – e lo stesso accade con alcuni personaggi, come quelli di Emma Stone e Austin Butler: balzando tra un genere e l’altro, lo sviluppo finale esplode nel surreale più assoluto e in una deriva estrema e provocatoria che tiene alta l’attenzione, ma stimola meno di quanto dovrebbe. Che si tratti di un’aspra critica al sistema o di una constatazione disperata di ciò che l’America è diventata, sarebbe inopportuno dare una risposta definitiva. Quel che è certo è che Eddington ha molto da proporre, ma davvero poco per cui gridare al miracolo.
Conclusioni
Eddington è un film di Ari Aster in tutto e per tutto: mescola generi diversi per mostrare qualcosa di profondo, analizzando certe dinamiche con l'intento di guardare in faccia l'orrore più reale. Un orrore che nasce anche stavolta dall'inadeguatezza, ma che grida al mondo il proprio rancore. Forse aprirsi così tanto a certe prospettive, senza scegliere una dimensione precisa su cui puntare, ha impedito al film di emergere come avrebbe dovuto.
Pro
- La portata di certe sequenze mostra il talento di Aster
- Alcuni frangenti riescono a stimolare più di qualche riflessione
Contro
- Eccezion fatta per Joaquin Phoenix, l'imponente cast del film appare sprecato
- Eddington vuole fare tanto, forse troppo, e non riesce a raggiungere l'obiettivo come dovrebbe
- L'aura provocatoria supera la satira e rischia di infastidire senza raccontare nulla di davvero funzionale
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Voto ScreenWorld